Rally for Dummies: da Milano a Dakar per un charity rally
Esistono dei viaggi che permettono di immergersi nella cultura dei luoghi, e danno la possibilità di esplorarne attrattive e tesori, vivendo delle esperienze di conoscenza e di relazione con le comunità locali. Sono molti i viaggi di questo genere, che potremmo riassumere con il termine “turismo responsabile”.
Si tratta di un tipo di turismo che va ben oltre il pacchetto all inclusive nel resort a 5 stelle, in cui lusso e ricchezza non sono contemplati se non in quello che resta nel cuore una volta tornati a casa.
Quello che vi raccontiamo in questo articolo è un charity rally, si chiama così, anche se di gara ha ben poco perché gli unici premi in palio sono la soddisfazione di aver raggiunto la meta e la gioia di aver contribuito a un progetto di solidarietà.
Irene Dell'Atti, Emanuela Grasso, Alessandro Mignone, Marcello De Matteis, Benedetto Lo Cicero, sono partiti da Milano il 27 dicembre 2013, con due Fiat Punto, alla volta di Dakar, capitale del Senegal, per donare le due auto a due associazioni operanti ne Paese. Mi fermo qui e lascio la parola a uno dei protagonisti.
D: Alessandro, mi racconti bene in cosa consiste un Charity Rally? E qual è stato l’obiettivo del vostro?
R: Un Charity Rally è un evento benefico, nel nostro caso organizzato in forma autonoma, in cui i partecipanti compiono un viaggio con l'obiettivo di sostenere un'associazione nel paese di destinazione. Le forme di sostentamento sono svariate: noi ci siamo proposti di donare ai nostri charity partner i mezzi con cui abbiamo compiuto il viaggio. L'idea è nata dopo aver partecipato nel 2011 alla Silk Road Race: coprendo in auto il percorso da Milano a Dushanbe, capitale del Tajikistan (8.000 km in 20 giorni), abbiamo contribuito a sostenere il CESVI (Ong italiana attiva in Asia centrale) nella riabilitazione di un pozzo che ora dà acqua potabile a 3.000 persone nelle province meridionali dell’ex stato sovietico.
D: Quali associazioni avete sostenuto quest’anno? A chi avete donato le due vetture?
R: La prima auto è stata donata a Sunugal-Italia, un’associazione fondata negli anni '90 da un gruppo di cittadini senegalesi e italiani con l’obiettivo di favorire iniziative di scambio tra i due paesi. È un soggetto che lavora tanto in Africa quanto in Italia e funge da rete di collegamento tra gli immigrati nel nostro paese e le famiglie rimaste in Senegal. In particolare in Senegal opera in diversi villaggi con l’obiettivo di promuovere la scolarizzazione, il turismo sostenibile e lo sviluppo socio-economico delle aree di provenienza degli immigrati. In particolare, la nostra auto verrà utilizzata per distribuire giornalmente nei villaggi il pane prodotto da una scuola per panificatori, costruita e avviata nei pressi di Thies dalla stessa associazione.
Il secondo mezzo è stato invece donato, a Dakar, all'Association des Acteurs de l’Assainissement du Sénégal (AAAS), che svolge ormai da tempo progetti in partnership con lo stato senegalese per sradicare il “vidange manuelle”, cioè la pulizia manuale degli scarichi fognari e dei pozzi neri.
L'auto verrà utilizzata per dare un lavoro alternativo (ad esempio il tassista, o cmq nel settore dei trasporti) ad uno dei tanti lavoratori che, nei villaggi, svolgono questo mestiere pericoloso che rende oltretutto l'ambiente insalubre perche' il materiale raccolto viene poi sotterrato nei pressi del villaggio.
D: Quali sono state le vostre tappe?
R: Abbiamo percorso circa 6.500 km suddivisi in 10 tappe. Esperienza impegnativa ma meravigliosa. Impegnativa non solo per il viaggio in sé, ma anche per i mesi passati a pianificarlo.
Abbiamo attraversato l'Europa in un'unica tappa: da Milano a Siviglia in 30 ore di marcia, dormendo appena tre ore in auto in un autogrill.
Poi il Marocco, meraviglioso! Le città imperiali di Fes, con le sue maleodoranti concerie e la medina più grande al mondo, e di Marrakech, con la sua disordinata e ipnotica piazza Jemaa El-Fna, riconosciuta dall'Unesco come “patrimonio orale e immateriale dell'umanità”.
Poi è stato il turno del Western Sahara. La capitale, El Aaiun, è una città militarizzata, con una massiccia presenza dell'esercito marocchino e le forze Onu a controllare la situazione. Qui il primo impatto con il deserto, ancora roccioso, e il passaggio dal tropico del cancro. L'intero territorio è disseminato di snervanti posti di blocco, uno ogni 20-30 km: l'unica soluzione è di armarsi di tanta pazienza e di tante, ma tante, “fiches de renseignements”! Un pensiero particolare al popolo sahraui, che chiede la libertà.
La Mauritania ci ha regalato meravigliose albe e fantastici scorci lungo il deserto del Sahara. Restano nella mente i villaggi dei nomadi mauri nel mezzo del nulla e Nouakchott, tipica capitale dell'africa nera: sporca, polverosa, caotica, ma tremendamente affascinante! Una meraviglia anche il parco nazionale di Diawling, vicino al delta del fiume Senegal, attraverso cui passa una pista che porta alla frontiera di Diama, per l'ingresso in Senegal. Rimane impresso indelebilmente il ricordo dei villaggi nomadi, del silenzio più assoluto e del tramonto sulle dune, quando il sole che cala dona un nuovo colore alla sabbia.
Lasciatoci il deserto alle spalle siamo entrati in Senegal, dove Modou e a Mamadou, rappresentanti delle associazioni a cui abbiamo donato le auto, ci hanno accolti fraternamente facendoci sentire a casa.
D: Cosa avete provato quando avete raggiunto la meta?
R: Una sensazione indescrivibile: un misto di gioia, euforia, felicità, ma anche amarezza! Perché raggiungere la meta significa concludere un viaggio. E ciò che conta di più per noi è la strada, perché ci permette di vedere i colori delle terre che ci separano dalla meta non dall’alto del finestrino di un aereo ma dalla stessa altezza di chi in quelle terre ci vive da secoli.
D: Mi hai descritto i luoghi, qual è stato l’impatto con le persone?
R: Sono stati gli incontri con le persone lungo la strada, che ci hanno aiutato a capire meglio alcuni aspetti dell'Africa, ad aver dato valore aggiunto al viaggio.
Eccone alcuni: mamma Timou e la sua famiglia, che ci ha ospitati nella sua casa a Fes preparandoci buonissimi piatti berberi; Ahmeida, giovane mauro che ci ha accompagnati nella terra di nessuno tra Marocco e Mauritania e che ci ha trovato un posto dignitoso x la notte a Nouadhibou; Babacar, pescatore di Saint Louis che – dichiara orgogliosamente – ha un amico che lavora per radio popolare, che ci ha fatto comprendere la vita e le difficoltà dei pescatori senegalesi; Luciano, italiano da 25 anni in Senegal, che ci ha ospitati nella sua grande casa dove vive ormai da solo con la sola compagnia della radio italiana sempre accesa nel suo taschino. Belle le serate passate sul suo terrazzo, davanti ad un bicchiere di vino, a spiegarci l'Africa; monsieur Ibra, direttore generale dell'AAAS, orgoglioso delle sue radici, che ha voluto a tutti i costi presentarci alla sua gente, invitandoci nel suo quartiere, Pikine, dove è nato e cresciuto.
Poi si ritorna a casa, con le immagini ancora vive negli occhi, pronti a ripartire.
Dopo un'esperienza del genere i tuoi compagni di viaggio diventano tuoi fratelli.