Gian Paolo Lomazzo, genio moderno. Un ciclo pittorico torna all’antico splendore
Pittore e scrittore, Giovan Paolo Lomazzo (1538 - 1592) fu un genio moderno.
Artista tra i più bizzarri della nostra Storia dell’Arte, si formò nella prima metà del ‘500 in una Milano in cui grandi artisti come Leonardo e Michelangelo (quest’ultimo, mediato attraverso la maniera severa del Tibaldi) avevano lasciato un segno indelebile.
Dopo aver esordito nel Varesotto (affreschi a Caronno Pertusella del 1560 e parentesi piacentina), il giovane Lomazzo tornò a lavorare in pianta stabile nella città natale con un gruppo di opere sperimentali quanto poco note (l’Orazione nell'Orto di S. Carlo al Corso e le Stigmate di S. Francesco in San Barnaba, entrambe datate 1568). In queste tele andò collaudando rigidi criteri stereometrici, volti alla creazione di modelli per figure umane già pronte; i suoi sfondi erano già avvolti in un tenebrismo di matrice lombarda, anticipatore delle future soluzioni del Caravaggio.
Alla perdita, causata dai bombardamenti della Guerra, di un certo numero di pale d’altare, sopperì la grande impresa realizzata nella Cappella Foppa (1570-1), l’opera più complessa del Lomazzo: il banchiere Agostino Foppa aveva scelto il pittore, allora trentasettenne, perché affrescasse la prima cappella a destra della Basilica di San Marco, attualmente a pochi metri da Brera, affinché la trasformare in un mausoleo di famiglia.
Qui il Lomazzo mise da parte il precoce tenebrismo a favore di cromie più intensi e vivaci: con un michelangiolismo corsivo e colorista, adatto a esibire arditissimi scorci sulle volte e nell’abside della cappella, il milanese seppe reinventare da capo il suo stile pittorico.
La parete di sinistra inscena la caduta di Simon Mago, l’eretico per antonomasia. La composizione appare violentemente affollata: è un groviglio di corpi compressi in uno spazio ristretto, dove il trattamento dei personaggi, scenograficamente chiusi da monumentali architetture e logge aperte su scorci arditi, accentua il sottinsù della narrazione.
La parete di destra (San Paolo resuscita Eutico), invece, è pressoché illeggibile a causa d’infiltrazioni di umidità dovute al vicino naviglio coperto, che resero necessari seri interventi di restauro al fine di mettere in salvo l’intera cappella. I lavori si sono stati portati a termine tra il 2002 e il 2003.
La presa di posizione del pittore, allineato su temi scelti dalla Controriforma, è chiara: la caduta dell’eretico, che si staglia in cielo in tutta la sua drammaticità, contrasta con la scena a lato del vero credente, che vince la morte per mezzo della Fede. Figure dai corpi geometrizzanti mostrano svariate tipologie facciali vivacemente espressive, secondo un repertorio che porta agli estremi la deformazione dei volti, tipica del tardo ambito leonardesco: non va dimenticato l'influsso del lato “grottesco” dell'eredità del grande toscano, cui Lomazzo e compagni spesso trassero ispirazione.
Sui pennacchi e sulle volte campeggiano immagini di profeti e sibille; nel catino absidale un fitto vortice di cherubini sovrasta la pala, anch'essa del Lomazzo: una Madonna con Bambino coronata d’ Angeli.
Nel catino absidale, nella Gloria d’Angeli le regole basilari del Rinascimento sono del tutto stravolte, a favore di uno sfondato prospettico e turbinoso che prelude al barocco.
Conclusa la cappella Foppa, il destino del Lomazzo pittore era già segnato. Divenuto cieco nel 1572 per via di una malattia, il milanese si dedicò a scritti teorici e letterari; opere in grado di fornire un’insostituibile testimonianza della cultura lombarda del ‘500: dal Trattato dell’Arte della Pittura (1584) all’Idea del tempio della Pittura (1590).
Proprio in quest’ultima opera il Lomazzo offrì la descrizione di un utopico tempio, le cui colonne erano niente meno che i “Sette Governatori dell'Arte”: Leonardo, Michelangelo, Raffaello, Polidoro da Caravaggio, Andrea Mantegna, Tiziano e Gaudenzio Ferrari. La presenza di due pittori lombardi e due veneti già da sé sarebbe stata più che sufficiente a scardinare i criteri dell’allora imperante “toscanocentrismo”; invece il contributo letterario del Lomazzo, intriso com'era di esoterismo e metafisica, diede alla critica artistica dell’epoca qualcosa di più fresco della solita ricognizione di meraviglie e aneddoti tipica del celebre ma ormai antiquato Giorgio Vasari.
Ecco perché l’importanza del Lomazzo come trattatista spesso ha preceduto quella del pittore. Bizzarro intellettuale, Giovan Paolo palesò perfino un lato recondito e trasgressivo, con la fondazione dell’Accademia segreta dei “Facchini della Val di Blenio”. Dietro false identità di montanari scesi dalle valli svizzere si celava in realtà un conciliabolo di artisti vari; un cenacolo letterario, dove ciascuno, provvisto di pseudonimo dialettale, usava comporre rime bizzarre e goliardiche in "Rabìsch" (arabesco): misto inventato di dialetti settentrionali, incomprensibile ai non affiliati. Intrattenimento rischioso, a quei tempi di roghi e caccia alle streghe.
Graziato da san Carlo Borromeo e dall'inquisizione, Giovan Paolo Lomazzo si spense nel 1592, nella sua amata Milano.
Marco Corrias
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