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Il collezionismo delle banche e dei banchieri in mostra a Milano

Gallerie d’Italia ospita una grande mostra dedicata all’importanza e al ruolo che hanno avuto, nella Storia, le banche e i loro fondatori nell’evoluzione del collezionismo e del mecenatismo di opere d’Arte.

Nelle sale dello spazio espositivo di Piazza della Scala, dal 18 novembre 2022 al 26 marzo 2023, è possibile osservare una selezione di opere, dipinti, sculture e oggetti di Arte applicata, provenienti da tutto il Mondo ma legati a collezioni appartenute a banche o a famiglie di banchieri. Curata da Fernando Mazzocca e Sebastian Schütze, la mostra è realizzata in partnership con il Museo del Bargello di Firenze e la Alte Nationalgalerie di Berlino e raccoglie circa 120 opere suddivise in undici sezioni, ognuna dedicata a una famiglia di banchieri che ha segnato, in un modo o nell’altro, la Storia del collezionismo d’Arte mondiale.

Le banche e i banchieri, da sempre, sono legati a doppio filo all’universo dell’Arte. Già i Fugger di Augusta, in Germania, per acquisire prestigio, grazie alla propria attività, coinvolsero molti dei più noti artisti tedeschi del Rinascimento con laute commissioni, ma, già da prima, in Italia, le banche erano non solo simbolo di potere economico, ma anche di prestigio culturale: siamo a Firenze, nel ‘300, e i primi banchieri della Storia, quei Bardi e Peruzzi che tutti conosciamo dai libri di Storia e che, per primi, con la loro attività, varcarono le Alpi, furono notissimi committenti di opere d’Arte. La testimonianza migliore di ciò sono le loro cappelle in Santa Croce, affrescate dai big della Pittura fiorentina del tempo, come Giotto o Taddeo Gaddi.

Da quel momento, il rapporto tra banche/banchieri e Arte non si sarebbe più sciolto e, anzi, divenne sempre più stretto. I banchieri, come simbolo di ascesa sociale, vedevano l’Arte come un modo per gareggiare con l’aristocrazia nella volontà di emergere nella Società e per rivangare i loro titoli nobiliari freschi di nomina nonché frutto della loro attività finanziaria. Pertanto, il mecenatismo delle banche si è sempre mosso su binari paralleli, a volte quasi tangenti, rispetto a quello dell’antica nobiltà e della parte religiosa della società. Così sono nate molteplici collezioni, alcune disperse e altre confluite nei grandi musei, con le quali i banchieri intesero trasformare il capitale finanziario in una testimonianza materiale e culturale per i posteri.

4. ritratto di lorenzo il magnifico

Non a caso, la mostra si apre con una sezione dedicata alla famiglia che, per antonomasia, rappresenta il passaggio della borghesia bancaria allo status di aristocrazia: i Medici. La famiglia fiorentina utilizzò la propria attività come mezzo di ascesa sociale, acquisendo un sempre maggiore peso politico e fino a impadronirsi della città nel 1434, con Cosimo il Vecchio, che instaurò quella signoria durata, tra alterne vicende, fino al 1737. Divenuti signori di Firenze, i Medici si affermarono anche come notevoli mecenati e promotori di giovani artisti locali destinati a una fortuna internazionale: facendo un paragone con il mondo dello Sport, la loro attività, a livello artistico, fu pari a quella di un vivaio di una squadra. Cosimo il Vecchio era dotato di una spiccata cultura umanistica e collezionò, in modo particolare, pietre preziose romane ed ellenistiche, anche se non mancò di promuovere grandi cantieri in città.

Fu, però, suo nipote, Lorenzo il Magnifico, a creare il mito dei Medici e di Firenze come capitale artistica e culturale. Lorenzo, abile politico ma anche grandissimo mecenate, seppe sfruttare il suo ruolo per diffondere la fortuna nella Penisola degli artisti da lui protetti, dal Verrocchio a Botticelli, dal Pollaiolo al giovane Michelangelo, ai quali affidò commissioni epiche, destinate a rimanere nella Storia. La sua morte, nel 1492, fu un trauma per molti artisti e uno spartiacque nella Storia di Firenze. Da appassionato di Cultura classica, Lorenzo promosse l’Accademia neoplatonica e indirizzò verso la romanità gli orientamenti degli artisti che lavoravano per lui. E ciò è provato dalle opere in mostra, tra cui spicca il piccolo ritratto di Lorenzo eseguito da Agnolo Bronzino, che immortala il Signore in una posa fiera, con lo sguardo fisso mediato dalle monete antiche, così come ispirato ai busti degli imperatori romani è quello, grandioso, in legno, del Verrocchio. Rimanda alla scultura ellenistica, invece, il fantastico bassorilievo raffigurante la Madonna della Scala, eseguito da un giovane Michelangelo intorno al 1490. Il ritratto del Bronzino, eseguito circa sessant’anni dopo la morte di Lorenzo, testimonia la fama e il mito che, nella Firenze manierista, aleggiava intorno alla figura del Magnifico, inteso come simbolo della gloria del potere mediceo sulla Toscana intera. 

Un’altra grande famiglia di banchieri divenuta parte dell’aristocrazia grazie alla propria attività furono i Giustiniani. Di origine genovese, questa famiglia si affermò nella Roma dei Papi di fine ‘500, in particolar modo grazie al marchese Vincenzo, che si fece costruire un grande palazzo alle spalle di Piazza Navona. Qui svolse un’intensissima attività di mecenate, favorendo, in modo particolare, e siamo ai primi del XVII secolo, i contemporanei. Vincenzo aveva un debole per un pittore all’epoca molto in voga, ma “maledetto”, con un carattere difficile e rissoso: costui si chiamava Michelangelo Merisi, detto Caravaggio. Ebbene, Vincenzo Giustiniani fu tra i pochi a riuscire a tenere a bada il temperamento fumantino del pittore lombardo, apprezzando la sua opera fino ad accettare, nelle sue collezioni, tutte quelle opere rifiutate dagli ordini religiosi in quanto ritenute immorali. Di Caravaggio, i Giustiniani possedevano una quindicina di opere, insieme ad altre di artisti a lui vicini, italiani ed esteri, come Jusepe de Ribera, Valentin de Boulogne e Gherardo delle Notti. I Giustiniani tennero la collezione fino ai primi dell’800, quando, con l’occupazione francese di Roma, la loro attività entrò in crisi e furono costretti a vendere i dipinti. Testimonianza straordinaria della passione per il Merisi è il San Girolamo in mostra, del 1605, oggi a Montserrat, in Catalogna, intenso nel chiaroscuro tipico del maestro.

Se nel Seicento e nel Settecento emersero figure di banchieri in contatto con Luigi XIV o con la Corte imperiale a Vienna, con il primi del XIX secolo, in piena epoca neoclassica, un banchiere come Giovanni Raimondo Torlonia, a Roma, sborsando una cifra colossale e abbattendo la spietata concorrenza papale e dell’antica aristocrazia romana, riuscì a far eseguire il gruppo di Ercole e Lica al grande Antonio Canova per celebrare la rapida ascesa della famiglia, che, grazie a questo boom, indissolubilmente legato alle vicende politiche della città, sarebbe divenuta, lei stessa, parte dell’aristocrazia dell’Urbe. Da quel momento, i Torlonia si affermarono come mecenati e collezionisti, polarizzando l’attenzione sul proprio palazzo di Piazza Venezia (oggi non più esistente), per la cui decorazione chiamarono artisti contemporanei, e tra questi un giovanissimo, ancora poco noto, Francesco Hayez. I Torlonia acquisirono molte opere della collezione Giustiniani, ma anche quelle appartenute al cardinale Albani, sempre grazie al ruolo di Giovanni Raimondo. Degno di nota, in mostra, è il bellissimo busto, eseguito dopo la morte del grande mecenate, con cui Berthel Thorvaldsen fissò nel marmo la figura di Giovanni Raimondo, con una posa fiera, tipica dell’uomo orgoglioso della sua fortuna e della sua attività, ma anche ispirato ai ritratti imperiali che lui stesso amava. 

In piena epoca romantica, a Milano, seppe affermarsi una figura come Heinrich Mylius, industriale e banchiere di origine tedesca, ma trasferitosi in Lombardia giovanissimo, nel 1788. I Mylius furono il simbolo di un mecenatismo tipicamente romantico, figlio dell’Illuminismo ma anche intriso di storicismo e valori cristiani miranti a una società senza esclusi, esattamente in linea con gli ideali del maggiore intellettuale milanese del tempo, Alessandro Manzoni. Mylius fu un tramite, grazie alle sue origini, con il mondo austriaco e tedesco, e, con la sua attività industriale, seppe tessere rapporti con la Germania. Tali rapporti, però, non furono solo economici, ma anche culturali. A testimonianza della sua attività di mecenate e in memoria del figlioletto Giulio, morto prematuramente, Mylius fece realizzare una villa a Loveno, sopra Menaggio, nella quale ospitare numerosi dipinti e sculture di artisti contemporanei, a cui il suo collezionismo si orientò: alcune di queste opere sono in mostra e testimoniano tale interesse, dai ritratti di famiglia eseguiti da Francesco Hayez al brano di Storia industriale con cui Giovanni Migliara raffigurò la filanda Mylius a Boffalora, descrivendo le condizioni di vita delle operaie.

A cavallo tra Ottocento e Novecento, iniziò ad affermarsi un nuovo collezionismo figlio della borghesia imprenditoriale statunitense che, tra New York e Boston, aveva fatto affari scalando la nuova, ed emergente, società americana. Uno di questi scalatori fu il banchiere John Pierpont Morgan, che fondò la celebre banca che, ancora oggi porta il suo nome, ma che fu anche un agguerrito collezionista di Arte antica, dal Medioevo fino al Settecento. Per ospitare le collezioni, raccolte tra il 1890 e il 1913, anno della sua morte, Morgan allestì la sua biblioteca a New York, sulla Madison Avenue, con dipinti, manoscritti e sculture aventi un preciso intento: educare la giovane Nazione americana e offrire dei modelli per accrescere la società e le industrie in rapporto con le Arti. Morgan raccolse di tutto, ma amò, in modo particolare, il Rinascimento italiano. Molte delle opere da lui raccolte confluirono al Metropolitan Museum of Art, di cui lui stesso fu presidente. Tra le opere in mostra, degno di nota è il bellissimo foglio disegnato da Giambattista Tiepolo e raffigurante Il Tempo che scopre la Verità: si tratta, molto probabilmente, di un bozzetto preparatorio per l’opera destinata alla Villa Cordellina a Montecchio Maggiore ed eseguita tra il 1744 e il ‘47 e, oggi, a Palazzo Chiericati a Vicenza.

Un altro tassello importante è la figura di Raffaele Mattioli, banchiere illuminato al vertice, dal 1933, della Banca Commerciale Italiana, avente sede proprio nel palazzo dove oggi si trovano le Gallerie d’Italia. Mattioli, amico di intellettuali come Benedetto Croce e Roberto Longhi, animò la sua dimora milanese di Via Bigli sin dal 1927 con salotti destinati a incoraggiare l’Arte in tutte le sue forme. Il banchiere fu anche un grande collezionista, tanto da portare, nelle raccolte COMIT, opere tanto dell’Ottocento quanto del secolo precedente, come le vedute di Napoli di Gaspare Vanvitelli in mostra. Il banchiere apprezzò molto anche i contemporanei, da Giorgio Morandi a Renato Guttuso e a Giacomo Manzù, autore dell’Angelo della Resurrezione proveniente dall’Abbazia di Chiaravalle, dove Mattioli è sepolto

Logica conclusione della mostra è la sezione dedicata ai Rotschild, famiglia di banchieri originaria di Francoforte sul Meno che, sfruttando le trasformazioni politiche seguite al congresso di Vienna, divenne tra le maggiori finanziatrici dell’aristocrazia europea. I Rotschild, però, furono anche grandi mecenati. In particolar modo, si affermò Nathaniel Mayer von Rotschild che, a Vienna, tra il 1870 e l’80, si fece costruire un grandioso palazzo dove iniziò a raccogliere una vastissima collezione di opere. Il palazzo venne decorato secondo un gusto neobarocco in linea con la tendenza dominante nelle collezioni, visto che Nathaniel amava, in modo particolare, il Seicento e il Settecento francese. In mostra, non a caso, spiccano le opere di François Boucher, ma anche quelle di Francesco Francia e di Rembrandt, figlie della passione del mecenate per l’Arte italiana del Rinascimento e olandese. Con la confisca dei beni ai Rotschild, da parte dei nazisti nel 1938, dopo l’annessione dell’Austria, molte opere andarono perdute. Nel dopoguerra, alcune vennero restituite e, ancora oggi, fanno parte di collezioni pubbliche e private.

Dai Medici ai Rotschild. Collezionisti, mecenati, filantropi
Gallerie d’Italia, Piazza della Scala 6, Milano
Orari: lunedì chiuso; martedì-mercoledì-venerdì-domenica 9.30-19.30; giovedì-sabato 9.30-22.30
Biglietti: intero 10,00 €, ridotto 8,00 €
Info: gallerieditalia.it

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