Il fotogiornalismo di Margaret Bourke-White in mostra a Milano
Una delle più grandi figure del fotogiornalismo mondiale è la protagonista della nuova grande mostra di Palazzo Reale.
Prima, donna. Margaret Bourke-White è il titolo dell’esposizione, curata da Alessandra Mauro, promossa da Comune di Milano, Palazzo Reale e Contrasto, con la collaborazione di Life Picture Collection, che comprende anche l’archivio storico della celebre rivista statunitense. La mostra accoglie, dal 25 settembre 2020 al 14 febbraio 2021, nelle sale del piano nobile di Palazzo Reale, una raccolta di fotografie di quella che è stata una delle pioniere, se non la pioniera per eccellenza, del fotogiornalismo mondiale al femminile, in un settore che, fino a qualche decennio fa, era ancora appannaggio maschile. E questo è il punto di partenza per capire il titolo della mostra, che si colloca all’interno di un programma di rivalutazione del talento femminile, fil rouge delle esposizioni della stagione invernale milanese 2020-21. Prima, donna, proprio in quanto affermazione del carattere femminile della produzione della Bourke-White in un contesto “da uomini”, ma anche Prima donna (volutamente senza virgola) perché Margaret fu una figura di rottura, rivoluzionaria, in quanto prima fotografa della Storia a seguire direttamente le vicende belliche della Seconda Guerra Mondiale, così come a entrare nell’India di Gandhi e nel Sudafrica dell’apartheid.
Il percorso della mostra si snoda su due binari paralleli: la vicenda biografica di Margaret Bourke-White e quello cronologico della sua produzione fotografica. Non a caso, le prime immagini sono proprio lavori degli esordi della famosa fotografa americana. Margaret Bourke-White nacque a New York nel 1904. Dopo la laurea, nel 1928 aprì uno studio fotografico a Cleveland, dove iniziò a lavorare a vari progetti, dalle immagini delle industrie a quelle pubblicitarie. Furono proprio le acciaierie della zona dei Grandi Laghi ad attrarla per i primi suoi lavori, a cui è dedicata la prima sezione: le sagome imponenti delle ciminiere e degli altiforni dei grandi impianti, soprattutto quelli di Buffalo e di Pittsburgh, così come le montagne di ferro e carbone, sono immortalate in foto che si potrebbero definire “politiche”, perché la stessa fotografa le considerava provenienti dal suo cuore e perché vedeva un tutt’uno tra la fabbrica e gli operai che vi lavoravano.
La seconda sezione è dedicata agli anni drammatici della Grande Depressione, seguita alla crisi del 1929. Nel 1936, Margaret tornò a New York, dove aprì un suo studio e iniziò a lavorare al suo primo libro di fotografia, You have seen their faces, realizzato in collaborazione con lo scrittore Erskine Caldwell. Il volume, autentico capolavoro dell’editoria fotografica, descrive, in maniera realistica e diretta, le condizioni della classe povera e operaia del Sud degli Stati Uniti durante la grande siccità del 1934: ne nacquero foto in cui la centralità era conferita ai volti, secchi e segnati dalla crisi e dalle calamità naturali, ma anche dignitosi nella loro semplicità. Queste immagini riflettono perfettamente il carattere irrequieto di Margaret, che, dopo tale esperienza, abbandonò il settore pubblicitario, ma anche le sue idee progressiste e aperte a una nuova America, senza divari di classe, razza e religione.
In quello stesso 1936, l’editore Henry Luce, con cui Margaret aveva già collaborato all’inizio del decennio per la rivista Fortune, la invitò a partecipare a un nuovo progetto, in cui le sue foto sarebbero state basilari per questo periodico, che avrebbe segnato la storia: Life. Margaret lavorò per questa rivista finché le forze glielo permisero, e fu l'esperienza di una vita. Per il primo numero, Margaret realizzò copertina e reportage di rilievo. Questa nuova rivista, per cui avrebbe realizzato alcuni dei suoi capolavori, sarebbe diventata la sua “casa” lavorativa. Per Life, Margaret eseguì servizi e ritratti, ma anche foto che sarebbero diventate vere e proprie icone. A queste è dedicata la terza sezione, in cui spicca la celeberrima immagine della sala da ballo nel Montana, del 1936, frutto di un reportage negli Stati del Midwest, sempre alla ricerca di quella working class colpita dalla crisi.
La fortuna ottenuta per Life portò Margaret in Europa. Fu la prima fotografa americana a entrare in Unione Sovietica per documentare il piano d’industrializzazione della Russia e la sua metamorfosi da Paese rurale, quasi feudale, a potenza mondiale. A più riprese, tra gli anni ’30 e il 1941, Margaret realizzò servizi sull’URSS, da cui sarebbe nato un altro libro, Eyes on Russia, ma anche foto storiche, come quella di Mosca sotto i bombardamenti nazisti o il celeberrimo ritratto di Stalin, poi pubblicato su Life, che attestano, ancora una volta, il carattere pionieristico del lavoro della fotografa, ma anche la sua irrequietezza nella voglia di scoprire, per uno scoop, quella che lei stessa definì una terra misteriosa improvvisamente divenuta potenza industriale.
La sezione successiva è dedicata alle poche foto superstiti del reportage che Margaret eseguì al seguito delle truppe alleate durante la Seconda Guerra Mondiale, dalla Germania al Nord Africa e all’Italia: Bourke-White fu la prima corrispondente di guerra della Storia del fotogiornalismo. Dall’Italia realizzò foto memorabili, come il panorama di Cassino bombardata o i soldati americani che, dall’alto della facciata di San Pietro, osservano la Roma appena liberata, in cui notiamo forti accenti neorealisti. Margaret fu “donna in un Mondo di uomini”, come scrisse lei stessa, anche se le sue pellicole furono in gran parte distrutte dai bombardamenti in cui più volte rischiò la vita. Nel 1945, Margaret fu, tra Germania e Polonia, al seguito della Terza Armata del Generale Patton, che liberò alcuni dei luoghi simbolo dell’orrore nazista e della Shoah, come Dachau e Buchenwald. Le sue foto, tra le più crude testimonianze della barbarie e della macchina del male creata dai nazisti, attestano come, dopo la liberazione dei campi, non solo la stampa, ma anche i civili delle cittadine vicine ai lager venissero condotti, dalla Military Police americana, a vedere le cataste di corpi dei prigionieri uccisi dai gas, dalla fame e dalle fatiche per far capire loro cosa fossero veramente i campi di sterminio.
Seguono due sezioni dedicate ad altrettanti reportage storici e rivoluzionari. Il primo condusse Margaret in India, a scoprire un’altra Terra misteriosa. L’India si era, da poco, resa indipendente dall’Impero britannico, ma stava andando incontro a una guerra tra le due componenti etniche e religiose, che avrebbe portato alla nascita del Pakistan, a maggioranza musulmana, contrariamente all’India, a prevalenza Indù. Ne nacquero altri capolavori, dai ritratti dei profughi musulmani in fuga verso Occidente al celeberrimo ritratto di Gandhi all’arcolaio. Con il Mahatma instaurò una solida amicizia, che la portò a scoprire molte cose sull’India e sulla sua società, rigidamente divisa in caste. Il secondo reportage fu quello dal Sudafrica, un Paese che la segnò profondamente per la brutalità dell’apartheid ma anche per la prassi quotidiana di sfruttamento di una maggioranza, i neri, da parte della minoranza bianca di origine olandese e inglese. Per immortalare il Sudafrica, entrò, dal 1950, nelle compagnie minerarie del Transvaal e nelle grandi fattorie: ne nacquero immagini di forte impatto, come gli sguardi persi dei minatori nelle cavità del sottosuolo o i bambini di Soweto che, da dietro il filo spinato, guardano verso i grattacieli di Johannesburg: con queste foto, Margaret descrisse la sua indignazione per un Paese che praticava la segregazione razziale attraverso le leggi dello Stato.
La sezione successiva è dedicata a un altro reportage conseguente a quello dal Sudafrica: nel 1956, a Margaret venne affidato un lavoro fotografico sulla segregazione razziale nel Sud degli Stati Uniti, proprio nel momento in cui iniziarono le lotte per l’uguaglianza tra neri e bianchi. Ne uscì uno straordinario corpus di foto a colori da Greenville, nel South Carolina, in cui immortalò sia la vita degli afroamericani, come prova la bellissima foto della piscina, ma anche l’atmosfera domestica, chiusa e diffidente, dei bianchi, quasi impauriti da una mutazione dell’ordine sociale.
Segue una parte dedicata alla passione di Margaret per il volo e, in generale, per le vedute dall’alto. Si tratta di foto da lei sviluppate nella sua casa di Darien, nel Connecticut, in cui si ritirò dal 1957, quando iniziarono i primi sintomi del Morbo di Parkinson, che l’avrebbe portata alla morte, ma che, nel loro ampio respiro, costituiscono delle note di autentico naturalismo. Memorabile è l’immagine del DC-4 che sorvola Manhattan, così come quella della tempesta in arrivo nelle campagne del Colorado.
Conclude la mostra una sezione dedicata alla Margaret malata di Parkinson. Si tratta di un reportage eseguito, sempre per Life, da Alfred Eisenstadt sulla sua condizione di donna malata ma indomita e che lotta contro il mostro con tutte le sue forze. Sono le ultime, commoventi, immagini di una donna che ha fatto la Storia, che ci ha lasciati nel 1971, a 67 anni, dopo aver raccontato, in foto, molti dei grandi eventi che hanno segnato il XX secolo
Prima, donna. Margaret Bourke-White
Palazzo Reale, Piazza Duomo 12, Milano
Orari: martedì – mercoledì – venerdì – sabato – domenica 9.30-19.30; giovedì 9.30-22.30; lunedì chiuso
Biglietti: Intero 14,00 €, ridotto 12,00 €