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Il Messico di Tina Modotti in mostra al MUDEC di Milano

Un reportage fotografico dal Centro America è il protagonista della nuova mostra in corso al MUDEC di Milano.

Dal 1 maggio al 7 novembre 2021, negli spazi di Via Tortona, è ospitata un’esposizione di un centinaio di fotografie di Tina Modotti, molte delle quali dedicate al periodo che lei visse in Messico. Curata da Biba Giacchetti, l’esposizione si muove su due binari paralleli, quello della vicenda biografica della Modotti e l’altro riguardante il Messico e la sua popolazione contadina e rurale.

modotti fioriTina Modotti nacque a Udine nel 1896, ma già nel 1913, giovane lavoratrice, fu costretta a emigrare negli Stati Uniti al seguito del padre.

I primi anni della sua vita, fatti di stenti e povertà, lasciarono sempre un segno indelebile nella sua opera. La giovane Tina, a San Francisco e a Los Angeles, lavorò in una fabbrica tessile e, grazie a un innato talento artistico, entrò in contatto con il fervente ambiente culturale californiano, e si legò in modo particolare al suo primo compagno, il fotografo Edward Weston, che fece della ragazza friulana la sua musa.

In virtù della sua bellezza mediterranea, lunghi capelli neri e occhi scuri, venne scelta per recitare a Hollywood, ma la sua carriera da attrice durò poco, in quanto Tina mai apprezzò veramente il suo ruolo, giocato esclusivamente sulla sua bellezza. La Modotti preferiva essere un’artista libera, indipendente e intraprendente, una donna emancipata e libera dagli stereotipi sul suo fascino mediterraneo, e, per tale motivo, proseguì la sua carriera sia come modella per Weston che come fotografa. Nel 1923, Tina si trasferì in Messico, entrando in contatto con Diego de Rivera, Frida Kahlo e gli altri artisti dell’epoca e sviluppando un percorso personale come fotografa sociale, tutto dedicato alla denuncia delle condizioni di vita delle classi proletarie e contadine del Paese centroamericano.

Questa sua attenzione per gli “ultimi” si legò al suo attivismo politico, per l’emancipazione delle classi più umili, spesso indie, dalle oligarchie e dallo strapotere degli USA sulla regione, ma anche fortemente antifascista. Si iscrisse al Partito Comunista messicano, grazie al quale conobbe l’amore della sua vita, l’esule cubano Antonio Mella. Furono gli anni più felici della sua vita, bruscamente interrotti nel 1929, quando, mentre passeggiavano insieme, due sicari spararono ad Antonio, uccidendolo davanti ai suoi occhi. Fu un trauma, e solo la fotografia poté aiutarla a riprendersi dallo shock. Espulsa dal Messico nel 1930, riparò a Mosca, dove lavorò nel Soccorso Rosso Internazionale, e poi a Parigi. Durante la Guerra di Spagna, si prodigò per aiutare gli orfani e la popolazione civile: in questo periodo, conobbe personaggi del calibro di Pablo Neruda e Robert Capa. Rientrata in Messico nel ’39, morì nel 1942 per un attacco cardiaco. Per la sua morte, Neruda le dedicò una poesia, Tina Modotti ha muerto.

Senza tali premesse biografiche e questi accenni al suo attivismo sociale e politico, risulta difficile capire il percorso di mostra, che muove da una serie di memorabilia custoditi dalla sorella Jolanda, riguardanti le vicende dei Modotti in Friuli, insieme ad alcune foto che la ritraggono ragazza, durante i suoi primi anni negli Stati Uniti. Molto interessanti sono i due fotogrammi del film The tiger’s coat, del 1920, unica pellicola superstite della carriera hollywoodiana di Tina, accostati ai due meravigliosi nudi di Edward Weston, che mettono in evidenza la bellezza quasi scultorea della Modotti, immortalata in ritratti memori della lezione surrealista di Man Ray. 

Seguono le prime immagini che Tina, ormai artista libera, indipendente e raffinata, iniziò a immortalare a partire dal ’23, anno del suo arrivo in Messico, tra cui spiccano due istantanee di un corteo del Primo Maggio, a cui partecipavano, ben riconoscibili, sia Diego de Rivera, il più grande artista del Rinascimento messicano, accanto a colei che, allora, non era ancora un mito globale della Storia dell’Arte: Frida Kahlo.

Le sue prime sperimentazioni in Messico si mossero in direzione di un accentuato realismo, legato allo spirito che animava anche il contemporaneo Muralismo di Rivera, Orozco e Siqueiros, mediato, però, dalla lezione della fotografia surrealista e dal Cubismo, come provato dalle serie dedicate ai cactus e alle piante tipiche delle campagne messicane. Il realismo di Tina si manifestò ancora di più in immagini come Prospettiva con fili elettrici, suo capolavoro, in cui mescolò il tocco illusorio del punto di fuga dei cavi, con la rappresentazione naturalistica dell’elettricità, simbolo del progresso.  

Dal 1926, anno della partenza di Weston, la Modotti iniziò a lavorare a soggetti più marcatamente “politici”, come rappresentazioni di cortei del Primo Maggio oppure lavoratori con bandiere. Non  a caso, furono gli anni in cui si iscrisse al Partito Comunista, e in cui il suo realismo raggiunse l’apice, diventando una fotografia di denuncia, un vero e proprio reportage dal Messico più profondo, arretrato e ancora contadino, in cui emerge un’umanità più semplice e genuina, segnata nel fisico e nella mente dal duro lavoro nelle campagne, come provato dalle serie rappresentanti le mani callose dei lavoratori della terra. Alle raffigurazioni del lavoro, si alternarono prove più sperimentali che calavano il concetto classico di “natura morta” in una dimensione contemporanea, allusione all’impegno politico di Tina, rappresentata dalla falce e dal martello.

Il suo lavoro di denuncia si approfondì ulteriormente dopo la morte di Mella, quando Tina iniziò a girare la parte occidentale  dello Stato di Oaxaca, alla ricerca dell’etnia zapoteca, nota per la struttura fortemente matriarcale della sua società. Donne che comandavano, donne che avevano il potere su un’intera etnia: niente di più azzeccato per una figura libera e intraprendente come Tina, che fece sempre della sua emancipazione dagli stereotipi un marchio di fabbrica. Di questo periodo è un altro capolavoro della Modotti, la bellissima Donna di Tehuantepec che reca sulla testa una zucca dipinta, autentico manifesto etnografico ma anche simbolo di una condizione femminile che si riscatta con il lavoro. 

La conclusione della mostra sono le istantanee dei suoi ultimi anni, segnati dal dolore per la vicenda Mella e dall’espulsione dal Messico in seguito a un mai dimostrato “complotto”, ma che attestano la fortuna che ebbe su alcuni artisti a lei contemporanei. Il cerchio si chiude con quella poesia, autentico epitaffio, che le dedicò  Pablo Neruda nel giorno della sua morte, accanto a una vera chicca: il ritratto di Tina eseguito, riprendendo una fotografia, nel 1973, dal grande Renato Guttuso.

Tutto ciò è segno che questa donna ebbe un ruolo determinante nella Storia dell’Arte mondiale, ma anche nell’emancipazione del ruolo femminile nel mondo della Fotografia, allora appannaggio maschile. L'Arte di Tina Modotti, e le immagini in mostra lo testimoniano, è stata anche il superamento di una barriera, quella del concetto di Realismo, che, nel suo lavoro, non è più solo sociale, ma anche, totalmente etnografico. E ciò è la prova che tutti coloro che si aspettano una mostra sul personaggio Modotti si sbagliano di grosso, perché l’esposizione del MUDEC è uno spaccato di Messico tra gli anni ’20 e i ’30, sulle donne di questo Paese e, in generale, per far fede al titolo della mostra, sulla libertà, concetto molto caro alla fotografa friulana, in un momento storico in cui iniziavano a muovere i primi passi varie dittature in tutto il Mondo. 

Tina Modotti. Messico, donne, libertà

MUDEC, Via Tortona 56, Milano

Orari: lunedì 14.30-19.30; martedì-domenica 9.30-19.30

Biglietti: Intero 12,00 €, ridotto 10,00 €

Info: https://www.mudec.it/

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