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L’Arte di Giorgio Morandi in mostra a Milano

Uno dei grandi della Pittura del Novecento italiano è il protagonista della nuova grande mostra allestita a Palazzo Reale di Milano

Giorgio Morandi (1890-1964) è stato uno dei massimi esponenti dell’Arte italiana del XX secolo, soprattutto per quanto riguarda il genere della Natura Morta. A lui, dal 5 ottobre 2023 al 4 febbraio 2024, è dedicata, nelle sale del palazzo di Piazza Duomo, la retrospettiva curata da Maria Cristina Bandera, promossa da Comune di Milano e prodotta da Palazzo Reale, Civita Mostre e 24Ore Cultura, con l’obiettivo di privilegiare la parte “milanese” della produzione del pittore emiliano: non a caso, erano milanesi molti dei galleristi che gli dedicarono esposizioni o gli commissionarono opere, dagli Scheiwiller ai Boschi-Di Stefano, dagli Jucker ai Vitali, così come quella Galleria del Milione, con la quale l’artista bolognese intrattenne, per sempre, un rapporto privilegiato, era di Milano. Per celebrare questo rapporto elettivo tra Milano e Morandi, la mostra ospita un corpus di opere provenienti, in parte, dal museo a lui dedicato a Bologna, ma anche da collezioni italiane e straniere. Tramite queste centoventi opere in mostra, è possibile ricostruire la vicenda artistica di Morandi, cinquant’anni di intensissima produzione, dal 1913 al 1963, nei quali spaziò attraverso i riferimenti a movimenti differenti, innovando un genere che era, ancora, legato all’Arte dei secoli precedenti.

La Natura Morta ha origine nell’antichità, ma comincia a diffondersi, in Italia, come genere pittorico autonomo, nel XVII secolo, soprattutto tra Roma e Napoli. Nel Seicento, i maestri di questo genere sono fiamminghi e olandesi, anche se artisti come Caravaggio trasformano questa tipologia rappresentativa in un genere vero e proprio, smarcandolo dal puro esercizio stilistico. Il genere continua a essere ampiamente diffuso nel Settecento, come provano la vasta produzione napoletana di Giuseppe Bonito, ma anche le opere di artisti francesi, come Chardin, spagnoli, come Melendez, e olandesi, come Rachel Ruysch. Con gli inizi del XIX secolo, però, il genere cade in disuso. Ed è proprio Giorgio Morandi a riscoprirlo per farne una versione personale e adattata ai tempi. Bisogna fare una premessa: la Natura Morta barocca è figlia dell’estetica seicentesca, impregnata di Controriforma e moralismo e ricca di riferimenti alla caducità della Vita e al monito chiamato "memento mori" ("ricordati che devi morire"). Bene, Morandi stravolge questa premessa e trasforma questo genere in un’espressione profonda del proprio stato d’animo, esattamente come i Romantici facevano con il Paesaggio. Natura Morta è, quindi, per Morandi, interiorità unita a lavorio stilistico con cui rimanda alle novità artistiche del Suo tempo e alle grandi correnti/avanguardie che lui ebbe modo di conoscere.

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Giorgio Morandi, Natura Morta, 1918, Milano, Piancoteeca di Brera, © Giorgio Morandi, by SIAE 2023 

Non è un caso che la mostra parta con le prime prove di un giovane Giorgio alle prese con i riferimenti al Cubismo e al Futurismo. Siamo negli anni ‘10, prima della Grande Guerra, e il pittore guarda con entusiasmo all’esperienza francese di Picasso e Braque così come alle opere di Balla e Carrà, tanto che una delle prime opere esposte è l’Autoritratto del 1914, fortemente influenzato dall’Avanguardia, che lui conobbe attraverso riviste e disegni. Negli anni successivi, Giorgio virò, dal 1916, verso una stagione metafisica, influenzata da De Chirico e popolata di manichini. La bellissima Natura Morta del 1916 va oltre la Metafisica, in quanto è collocata nello spazio indeterminato, ma è, nello stesso tempo, ricca di oggetti quotidiani che segnano le forme del primo piano e abitano uno spazio che essi stessi rendono concreto, insieme alla luce fredda e al tonalismo dei colori. Con i primi anni ‘20, Morandi, come molti altri artisti del suo tempo, subisce una volontà di “Ritorno all’Ordine” verso la figura, dopo la temperie dell’Avanguardia. Avvicinatosi alla rivista Valori Plastici, Giorgio subisce l’influenza di Giotto ma anche del Quattrocento toscano, come provato dalla Natura Morta con tavolo rotondo, che pare quasi un affresco, ma anche dai Fiori, del 1920, in cui il fondo oro rimanda alle Maestà fiorentine e senesi del ‘300. Successivamente, Morandi inizia ad affermarsi come pittore tonale, con opere dei primi anni ‘20, ispirate a Caravaggio e al Seicento romano, ma anche a Rembrandt, come testimoniano non solo le Nature Morte del periodo, ma anche alcune scene di paesaggio, come quella oggi alla Camera dei Deputati, di una quotidianità estrema, al limite del Realismo, ma nella quale emerge anche un rimando alla produzione di Cezanne e alle sue vedute della Provenza. Inizia ad affermarsi lo stile che Morandi non avrebbe più lasciato, fino alla morte.

Ormai la produzione del bolognese è composta quasi esclusivamente di Nature Morte, anche se non mancano dipinti di paesaggio, vasi di fiori oppure (rari) ritratti. Morandi, giovi saperlo, non si è mai mosso dalla sua Bologna e ha lavorato, instancabile, per tutta la vita, nel suo studio di Via Fondazza, nel Centro Storico della città, spostandosi solo per recarsi nella casa di campagna, in Appennino, a Grizzana, oggi ribattezzata “Morandi” in suo onore. Dopo una notevole produzione incisoria negli anni ‘20, il decennio successivo segna, per Giorgio, il passaggio a toni monumentali, in linea con i valori estetici dell’epoca. In questi anni, il pittore lavora molto al paesaggio, senza tralasciare la Natura Morta, soprattutto in Appennino, per testare la pratica del plein-air e dell’osservazione diretta delle sue amate colline e del verde che le popola, ma anche in città. La luce è ormai diafana e crea un tutt’uno tra cielo e Natura. Monumentali sono anche le Nature Morte del decennio, con toni solenni e visioni frontali, come provato da quella di proprietà del FAI, che, però, sembrano astrarre il contesto rappresentato dalla realtà. Negli anni ‘40, durante la Guerra, Morandi dipinge più di ottanta opere, tra paesaggi e Nature Morte. Ormai, il suo stile tende a lasciare la monumentalità per un’essenzialità creativa evidente nei paesaggi, nei quali gli oggetti rappresentati sono semplici parallelepipedi, quasi elementi inanimati e collocati in una dimensione senza tempo. Anche nella Natura Morta, Morandi procede a una semplificazione figurativa che, dalla visione frontale, la stravolge verso soluzioni modulate e con una luminosità più intensa. Alcune delle tele in mostra evidenziano, anche, la fascinazione che Morandi ha per le Conchiglie, mediate dalle incisioni di Rembrandt e riprese, come espressione di un Mondo fossilizzato e di un tormento personale dell’Anima, durante il periodo della Seconda Guerra Mondiale: ne nascono le Nature Morte con Conchiglie, tele di piccolo formato, collocabili tutte tra il 1940 e il ‘43, in cui il colore pastoso mette in evidenza, insieme alle differenti collocazioni dei molluschi, significati al limite del misterioso ma sicuramente evidenti simboli di tormento interiore per le vicende belliche, ma anche di isolamento e solitudine.

Gli anni ‘50 sono, per Morandi, un periodo di intensissima sperimentazione cromatica, stilistica e formale. La novità principale è la moltitudine di piani d’appoggio degli oggetti, sui quali cade una luce studiata dal pittore e regolata da un sistema di velari posti sulla finestra del suo studio, come provato dalla Natura Morta del 1952, proveniente dalla GAM di Milano, ma anche dall’esemplare del 1953 custodito alla Fondazione Magnani-Rocca di Traversetolo. In questo periodo, le tele divengono di piccolo formato e gli oggetti, ormai posti sempre su fondali geometrici, perdono verosimiglianza: protagoniste assolute di questa stagione sono le bottiglie con il collo lungo, insieme a quelle spiraliformi di ricordo classico. In questa sempre maggiore astrazione della scena, i colori si raffreddano e diventano sempre più irreali. Se, per la Natura Morta, ci si sposta verso l’astrazione, il paesaggio, a cui Giorgio ritorna dopo un decennio, a partire dal 1954, resta ancorato alla Realtà: sia gli scorci del centro di Bologna visti dalla finestra dello studio che le vedute appenniniche presentano una certa volumetria nella resa delle superfici.

Gli ultimi anni, per Morandi, sono l’apice della semplificazione creativa verso l’astrazione: i volumi sono ormai compressi e le figure sovrapposte, mentre la luce e i colori sono talvolta complementari nelle scelte e nella resa. Di conseguenza, i soggetti diventano qualcosa di secondario. Le ultime opere dell’artista, del 1963, rappresentano, nel paesaggio, superfici svuotate e semplificate all’ennesima potenza, e, nella Natura Morta, un’unica figura geometrica nata dall’unione dei vasi e delle bottiglie, collocata in uno spazio immobile.

Morandi, 1890-1964
Palazzo Reale, Piazza Duomo 12, Milano
Orari: lunedì chiuso; martedì – mercoledì – venerdì – domenica 10.00-19.30; giovedì – sabato 10.00-22.30
Biglietti: Intero 15,00 €, ridotto 13,00 €
Info: mostramorandi.it

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