Skip to main content

Quattro opere del Rinascimento bergamasco e bresciano a confronto a Palazzo Marino di Milano

Come ogni anno, nel periodo natalizio, il Comune di Milano mette a disposizione del pubblico la meravigliosa Sala Alessi, all’interno di Palazzo Marino, per ospitare un quadro o una serie di opere inseribili in un determinato momento della Storia dell’Arte.

Nel 2021, il protagonista è il Rinascimento a Bergamo e Brescia, con quattro opere, provenienti dai due grandi musei di queste città, l’Accademia Carrara e la Pinacoteca Tosio Martinengo. Dal 2 dicembre 2021 al 16 gennaio 2022, all’interno del municipio, si possono, pertanto, vedere da vicino, accompagnate da una valida spiegazione, quattro tele dei grandi maestri del Cinquecento nella Lombardia veneta, ovvero Lorenzo Lotto, Giovanni Battista Moroni, il Moretto e Giovanni Gerolamo Savoldo. Curata da Francesco Frangi e Simone Facchinetti, la mostra intende ricostruire non solo il pantheon dell’Arte bergamasca e bresciana nel ‘500, ma anche far emergere come, da questi autori, sia nato quello stile a cui avrebbero attinto molti posteri, a partire dal giovane Caravaggio, punto di partenza della Pittura moderna. La mostra intende anche celebrare la recente nomina di Bergamo e Brescia a capitali della Cultura italiana 2023, un traguardo sacrosanto, ottenuto dalle due città che, più di altre, hanno pagato un altissimo tributo di vite umane durante i giorni drammatici della primavera 2020 e della prima ondata del covid-19. E, ancor di più per questo, l’esposizione intende anche essere un omaggio ai due territori più orientali della Lombardia. Un altro omaggio è quello al grande Roberto Longhi, che, per primo, ricostruì la genesi della Pittura caravaggesca facendone risalire le origini alla produzione cinquecentesca bergamasca e bresciana.

Come tutti sappiamo, Bergamo e Brescia, con i loro territori, insieme al Cremasco, dalla fine del ‘400, passarono sotto il dominio della Serenissima, e rimasero sotto Venezia per tre secoli. In queste zone, le committenze iniziarono a essere affidate ad artisti veneti oppure a quello stuolo di pittori locali che, spesso, venivano inviati in Laguna a scopo di apprendistato e formazione. Per tre secoli, Bergamo e Brescia videro svilupparsi scuole artistiche locali, in stretto contatto con quella veneta: in queste città, non a caso, arrivarono opere dei pilastri della Pittura della Serenissima, come Tiziano, Veronese e, nel Settecento, i Tiepolo e Piazzetta, ma sempre sviluppando delle fiorenti botteghe locali che seppero creare uno stile autonomo.

Così avvenne anche nel Cinquecento, specie nella prima metà del secolo, quando, a Bergamo, giunse da Venezia Lorenzo Lotto, stabilendovisi e creando una bottega, e, a Brescia, l’influsso di Tiziano segnò le vicende dei tre grandi locali, Moretto, Romanino e Savoldo. La Pittura bergamasca e bresciana della prima metà del Cinquecento accentuò la carica realistica già evidente in quella contemporanea veneta, spesso scegliendo soggetti popolari per rappresentazioni religiose oppure privilegiando quelle soluzioni notturne che avrebbero suggestionato il giovane Caravaggio. I pittori bergamaschi e bresciani, però, vollero anche cercare una mediazione con l’altra grande scuola pittorica con cui erano in contatto, quella milanese, anche per una ragione storica, visto che, in quegli anni, quei territori, specie lungo l’Adda e nella Bassa, erano, spesso, contesi tra il capoluogo lombardo e Venezia. Questi artisti crearono un linguaggio pittorico marcatamente realistico, orientato al quotidiano, che rivoluzionò l’iconografia religiosa dell’epoca, segnando uno spartiacque per i successivi sviluppi caravaggeschi. Proprio il Merisi, di questi artisti, riprese le ambientazioni molto semplici e gli studi sulla luce, che sarebbero stati alla base del suo stile: ecco perché è corretto parlare di “terza via” pittorica, a Bergamo e Brescia, in alternativa alla milanese e alla veneta. 

Lorenzo Lotto, Matrimonio mistico di Santa Caterina, 1523, Bergamo, Accademia CarraraLa prima opera è Matrimonio mistico di Santa Caterina, opera di Lorenzo Lotto (1480-1556/7), veneziano, ma bergamasco d’adozione, proveniente dall’Accademia Carrara e datata, sulla base del seggio su cui siede la Madonna, al 1523. Il dipinto fu commissionato dal mercante Niccolò Bonghi, ritratto sulla sinistra del dipinto, per la devozione privata nel palazzo di famiglia, anche se, successivamente, passò, prima nella vicina chiesa di San Michele al Pozzo Bianco e, poi, alla Carrara. Una piccola curiosità risiede nel fatto che il Bonghi fosse il proprietario della casa in cui il Lotto visse e che la tela sia stata eseguita come ringraziamento per l’ospitalità ricevuta. L’opera, purtroppo, fu danneggiata da un soldato francese, e la lacuna è evidente nella parte alta della tela, dove venne asportato il paesaggio che costituiva il fondale dell’opera, forse una veduta del Sinai oppure, secondo altri, un panorama della stessa Bergamo. Di questo rimangono solo uno stipite e il delizioso tappeto orientale alle spalle di Santa Caterina. Nella fase bergamasca, l’artista realizzò opere disarmoniche, con pose forzate e movimenti spesso drammatici, evidenti anche in questo dipinto. Fa da pendant la ricchezza dei broccati e dei tessuti indossati dalla Madonna e dalla Santa, i quali fanno pensare a un’altra allusione all’attività del committente. Quest’opera, per la brillantezza della gamma cromatica, fu un punto di rottura per la scuola pittorica locale, ancora legata ai modi lombardi.

Giovanni Battista Moroni, Madonna col Bambino, i santi Caterina e Francesco e offerente, 1555 ca., Bergamo, Accademia CarraraLa seconda tela è Madonna col Bambino e i santi Caterina d’Alessandria, Francesco d’Assisi e offerente, eseguita da Giovanni Battista Moroni (1520/24 – 1578/9), nel 1555 circa e proveniente dalla Pinacoteca di Brera. Si tratta di una tela di piccolo formato, dipinta per il convento di Sant’Alessandro in Captura a Bergamo su richiesta di un ignoto committente raffigurato sulla destra. Questo dipinto inaugura un filone in cui Moroni, da buon ritrattista, eccelse, ovvero la rappresentazione di un devoto colto in atto di pregare davanti a una scena sacra. I protagonisti sono tutti ritratti a mezzo busto, oltre una balaustra che ci fa immaginare l’offerente in ginocchio mentre prega davanti alla scena in cui Santa Caterina, identificata dalla ruota simbolo del suo martirio, suggella il suo matrimonio mistico con Gesù bambino porgendogli una rosa e San Francesco gli esibisce una Croce. In quest’opera, Moroni rielabora alcune soluzioni del suo maestro, il Moretto, e, non a caso, coincide con il suo definitivo rientro a Bergamo dopo gli anni a Brescia e a Trento.

Moretto, San Nicola di Bari presenta gli allievi di Galeazzo Rovellio alla Madonna col Bambino, 1539, Brescia, Pinacoteca Tosio MartinengoLa terza opera in mostra è la pala d’altare del Moretto (Alessandro Bonvicino, 1498-1554), raffigurante San Nicola di Bari presenta gli allievi di Galeazzo Rovellio alla Madonna in trono, eseguita nel 1539 per la chiesa di Santa Maria dei Miracoli a Brescia e proveniente dalla Pinacoteca Tosio Martinengo. Il dipinto venne commissionato al Moretto da Galeazzo Rovellio, maestro di grammatica, e si svolge in una cornice classicheggiante, con un grandioso fondale architettonico, ispirato alla Pala Pesaro di Tiziano per la Basilica dei Frari a Venezia. Notevole è l’espressione quasi trepidante di San Nicola mentre si rivolge a Maria, presentandole i bambini in primo piano, mentre la Vergine cerca di attirare lo sguardo di Gesù Bambino verso di loro, senza ottenere lo scopo. I bambini recano gli attributi di San Nicola, ovvero la mitria e i simboli di alcuni dei miracoli del santo, ma portano, in mano, anche dei libri, allusione all’attività scolastica del maestro Rovellio. La scena è sicuramente di derivazione tizianesca, anche se Moretto ne accentua il realismo, come provato dai dettagli dell’abbigliamento dei bambini, raffinati nella resa sartoriale del dettaglio. 

Giovanni Gerolamo Savoldo, Adorazione dei Pastori, 1540, Brescia, Pinacoteca Tosio MartinengoL’ultima opera, forse la più “moderna” delle quattro, è l’Adorazione dei Pastori di Giovanni Gerolamo Savoldo (1480 ca. – post 1548), dipinta nel 1540 e, anch’essa, proveniente dalla Tosio Martinengo. Committente dell’opera fu il nobile bresciano Bartolomeo Bargnani, il quale la volle per la Cappella di San Giuseppe nella chiesa di San Barnaba. L’opera appartiene all’ultima produzione del Savoldo, caratterizzata da colori pastosi e tonalità intense, spesso in grado di simulare broccati e velluti. La scena si svolge all’interno di una capanna fatiscente, nella quale il bue e l’asinello sono appena percettibili e realizzati con un’unica macchia cromatica.  Il realismo dell’artista si evidenzia nello sfondo, di matrice fiamminga ma anche leonardesca, e nella resa dei due pastori che contemplano la scena da dietro una finestrella o del terzo che si appoggia a un muretto. Savoldo, in quest’opera, evidenzia anche attenti giochi di chiaroscuro: la veste di uno dei due pastori affacciati alla finestrella appare illuminata dalla fonte proveniente dall’apparizione dell’angelo in alto a sinistra, intento a dare l’annuncio della nascita di Cristo, in un effetto di verità ottica che avrebbe influenzato, negli anni a venire, il giovane Caravaggio. Sia i pastori che la Sacra Famiglia presentano tratti quotidiani, genuini e semplici, figli del Realismo del Pittore, come provato dalle scarpe usurate che Giuseppe indossa. Da notare come Giuseppe e Maria siano figure dipinte senza aureola, in linea con una scelta di semplicità, e in atteggiamento contemplativo verso la figura di Gesù Bambino, perno della scena nonché centro luminoso dell’opera, visto il riverbero che produce il lenzuolo bianco su cui il piccolo Cristo è disteso.

Il Rinascimento di Bergamo e Brescia. Lotto Moretto Savoldo Moroni
Palazzo Marino, Sala Alessi, Piazza della Scala 2
Orari: tutti i giorni 9.30-20.00; giovedì 9.30-22.30
Ingresso gratuito
Info: www.comune.milano.it

Pin It