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Uno spaccato di un’epoca. L’Arte di Giovanni Battista Moroni in mostra a Milano

Gallerie d’Italia, a Milano, ospita, per la prima volta in Italia, una grande mostra dedicata a un pittore tra i massimi esponenti del Cinquecento italiano, Giovan Battista Moroni.

Moroni (1521-1580). Il ritratto del suo tempo, questo il titolo dell’esposizione, è frutto delle ricerche di due tra i grandi studiosi del pittore, Simone Facchinetti e Arturo Galansino, che ne sono anche i curatori, e testimonia la magnificenza e la vastità della produzione dell’artista nativo della Valle Seriana. Dal 6 dicembre 2023 al 1 aprile 2024, nelle sale della sede espositiva di Intesa San Paolo in Piazza della Scala, è possibile osservare da vicino una collezione di circa cento opere, sia del Moroni che di altri grandi artisti suoi contemporanei, che hanno avuto un’influenza, anche solo parziale, sulla sua produzione. La mostra si inserisce all’interno di quella rete di eventi che ha visto protagoniste Bergamo e Brescia come capitali italiane della Cultura 2023 ed è realizzata in partnership con l’Accademia Carrara della città orobica e Fondazione Brescia Musei.

Chi meglio di Giovan Battista Moroni potrebbe essere ponte tra Bergamo e Brescia? Il pittore, nato nel 1521 ad Albino, è figlio di un artigiano edile con competenze, anche, di progettazione architettonica, a riprova di quanto, già da allora, la Valle Seriana fosse zona, come oggi, di muratori e, appunto, lavoratori dell’edilizia. Durante una commissione nella bassa bresciana, il padre, da quanto emerge, ha modo di affidare il figlio, del quale aveva già notato il talento nel disegno, alla più nota bottega del capoluogo, quella di Alessandro Bonvicino, detto il Moretto. Già negli anni ‘40, il giovane Moroni compare tra gli allievi del maestro bresciano in città. All’epoca, Brescia era uno dei centri nevralgici della Pittura rinascimentale del Nord Italia, con tre maestri attivi in città: Girolamo Romanino, Gerolamo Savoldo e, per l’appunto, il Moretto. Se i primi due sono più affini alle novità in arrivo da Venezia con Tiziano e a un certo titanismo legato all’esperienza mantovana di Giulio Romano, il Moretto appare più legato alla tradizione locale del Foppa e alle atmosfere dei Bellini, ma senza rinunciare, certo, alle novità in arrivo dalla Serenissima. Subito, entrando in mostra, le opere del Moretto colpiscono il nostro occhio per la loro grandiosità: tre pale d’altare, provenienti da Bergamo (Sant’Andrea), Brescia (San Clemente) e Milano (Santa Maria presso San Celso). Ne emergono colori cinerei e tinte scure, ma anche una monumentalità evidente sia nelle rovine della pala bergamasca, che rimandano a Giorgione, come nella meravigliosa nicchia del dipinto di Brescia, di palese ricordo belliniano. Moretto è pittore sacro ma anche discreto ritrattista, e ciò è stato un elemento molto importante per la formazione di Moroni che, per tutta la vita, si sarebbe mosso sui due binari paralleli tra sacro e profano. Dell’apprendistato bresciano, non restano dipinti, ma solo una serie di disegni, alcuni dei quali esposti, con cui il giovane Moroni copia alcuni dettagli dei dipinti del maestro.

Tornato a Bergamo, negli anni ‘40, Moroni inizia ad affermarsi come valente ritrattista per alcune tra le migliori casate cittadine. Un’altra occasione di confronto, in questo caso, è fornita dall’osservazione diretta delle opere di un artista che, negli anni precedenti, aveva lasciato il segno in città: Lorenzo Lotto. I suoi ritratti sono vivi, intensi e, allo stesso tempo, permeati di intime convinzioni, come provato dal Giovane della Carrara in mostra. Moroni, seguendo il filone Lotto-Moretto, intraprende una linea pittorica nuova, fatta di precisione nel dettaglio e intensità nell’interpretazione psicologica del personaggio immortalato, ottenuta con colori che si alternano tra quelli caldi cari al pittore veneziano e le tinte oscure tipiche del maestro bresciano. Dall’uno media la capacità di ritrarre il soggetto con particolare confidenza, mentre, dal secondo, quegli schemi visuali e interpretativi alla base della sua Pittura: esempio di questa fase è il ritratto di Marco Antonio Savelli, oggi a Lisbona, in cui questi elementi si fondono con il meraviglioso sfondo architettonico immaginario, simbolo dell’antichità della casata.

La seconda tappa fondamentale della vita di Moroni, al di fuori della sua Bergamo, si svolge a Trento. A partire dal 1545, la città, che, all’epoca, era un principato vescovile, ospita il Concilio Ecumenico destinato a fornire la risposta dell’Ortodossia cattolica alle tesi di Lutero e alle varie riforme avvenute nel Nord Europa. Il Concilio di Trento, all’iconoclastia luterana e, ancor più, calvinista, risponde con un culto sempre più forte delle immagini e, in un contesto del genere, i pittori sono i primi a ricevere laute commissioni per eseguire dipinti devozionali e grandi pale d’altare. Moroni giunge a Trento intorno al 1550 per iniziativa del principe vescovo della città, quel Cristoforo Madruzzo che è anche grande mecenate e appassionato d’Arte, con il cui entourage era già entrato in contatto. In quella grande palestra che è stata la Trento conciliare, Moroni ha modo di immortalare i Madruzzo, come provato dal ritratto di Ludovico, ma anche di conoscere un ambiente aperto, internazionale e cosmopolita, in cui gravitano Tiziano e il fiammingo Anthonis Mor, autori di grandiose commissioni ufficiali, come testimoniato dal ritratto del principe Cristoforo, opera del Vecellio. Moroni immortala, non solo i Madruzzo, ma anche artisti dell’epoca, come lo scultore Alessandro Vittoria, il cui ritratto, esposto in mostra, ce lo raffigura mentre, con sguardo fiero, sembra esaltarci con gli occhi un torso antico, quasi a dire “io sono il nuovo Fidia”. Di certo, la commissione più significativa del Moroni trentino, e anche la prima di carattere religioso, è la grande pala per la Basilica di Santa Maria Maggiore, del 1551-52, nella quale l’ormai maturo Moroni riassume ed evidenzia tutti quei dettagli da lui disegnati copiando le opere di Moretto, unendoli in una soluzione ascensionale molto legata al clima conciliare.

Definitivamente rientrato a Bergamo, dal 1555, per Moroni iniziano anni di intensissima attività ritrattistica, specie per le più nobili famiglie cittadine che avevano apprezzato Lotto e, ora osannano lui come suo successore. Moroni aumenta ancor più la dovizia di dettagli nei particolari, fino alla resa precisa dei gioielli, dei broccati e delle stoffe, su incarnati illuminati da luci forti. È il Moroni della maturità, dei suoi anni migliori. Ed è quell’artista che, da buon artigiano, figlio di artigiani, sa unire pezze e riesce a tessere ricami attraverso il colore: un “sarto con il pennello”, come, giustamente, lo chiama Giovanna Poletti nell’articolo sulla mostra pubblicato su La Lettura del 24 dicembre 2023. Giovan Battista ritrae i potenti, certo, ma vede di farlo con l’ufficialità necessaria, a volte ottenuta eliminando il taglio a mezzo busto in nome della resa a figura intera, mescolata a un’insolita confidenza nella resa psicologica e personale. Un esempio sono i ritratti dei podestà veneziani, da lui raffigurati senza quella gravità tipica del loro ruolo, ma con toni quasi amichevoli. Accanto a quelli dei potenti, però, Moroni lavora anche a ritratti “al naturale”, attraverso una curiosa tecnica: il pittore copia, senza passare dal disegno preparatorio, il modello su un formato a grandezza naturale, con un rispetto delle proporzioni che suscita, nell’osservatore, l’illusione di trovarsi di fronte a un soggetto reale. Ne emerge un risultato vivido, espressivo e intenso, con un tocco di naturalismo e realismo che, in questo senso, si colloca nel solco della tradizione veneta da Giorgione a Tintoretto. In mostra, prove concrete di tale prassi sono alcuni ritratti di ragazzi eseguiti negli anni ‘60 e oggi alla Carrara, ma anche quelli di due bergamaschi illustri del suo tempo, Bartolomeo Colleoni e Pietro Spino: il primo è esaltato per le sue virtù militari tramite la corazza che indossa, mentre il secondo è immortalato, in quanto letterato e poeta, tra i suoi libri, mentre legge e contempla.

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Giovan Battista Moroni, Ultima Cena, 1566-69, olio su tela, Romano di Lombardia, Chiesa prepositurale di Santa Maria Assunta e San Giacomo Maggiore

Ai ritratti, Moroni alterna, in questi anni, anche un’intensa attività come autore di soggetti sacri. Chi meglio di lui, che era stato testimone diretto di alcune sedute del Concilio, a Trento, poteva rappresentare la Controriforma in territorio bergamasco? A partire dagli anni ‘60, in virtù di ciò, per Giovan Battista è un fioccare di commissioni da parte delle parrocchie della provincia, tanto che, ancora oggi, nelle chiese di ogni angolo della bergamasca, dalle Orobie alla Bassa, si possono trovare sue opere. Varie di queste tele sono esposte in mostra e tre di queste sono degne di nota. La prima ci conduce a un piccolo paese, di nemmeno mille abitanti, all’imbocco della Valle Imagna, di nome Roncola. Per la chiesa, dedicata a San Bernardo, Moroni, nel 1561-62, dipinge un polittico incentrato sulla figura del santo protettore. Innanzitutto, la scelta più insolita è proprio il formato a scomparti, ormai superato negli anni di esecuzione e segno di quanto il luogo fosse periferico rispetto alla città sede diocesana, ma questa pare anche un omaggio ai grandi artisti bergamaschi di fine ‘400 – inizio ‘500, come Andrea Previtali e, perché no, anche all’opera eseguita da Tiziano per gli Averoldi in Ss.Nazaro e Celso a Brescia intorno al 1520. I colori e le atmosfere tornano quelle del Moretto, con colori scuri e cinerei, a cui si aggiunge un dettaglio quasi comico, ovvero un diavoletto in catene ai piedi di San Bernardo. Poco più a Sud di Roncola, troviamo Almenno San Bartolomeo, all’ingresso della Valle Brembana. Qui, nella chiesa parrocchiale, si trova un Matrimonio mistico di Santa Caterina, del 1568-70, che costituisce, forse, l’opera del Moroni più fedele al suo apprendistato bresciano: in tutto, l’opera rispecchia i dettami dell’Arte del Moretto, dalla nicchia sullo sfondo alla composizione della scena, fino alla posa della Vergine. L’opera, non a caso, ha, come pendant, la pala Rovellio del Moretto, a cui, palesemente, si ispira in tutti i suoi aspetti. L’ultima opera, invece, ci conduce nella Bassa, a Romano di Lombardia, dove, nella chiesa prepositurale, si trova la meravigliosa Ultima Cena, del 1566-69. La pala, forse tra i più significativi lavori del Moroni sacro, è ispirata, da un lato, alla tradizione dei cenacoli, ma, dall’altro, pare molto vicina alla quotidianità, viste le espressioni assorte dei presenti. Dietro il tavolo, una figura in piedi con un’ampolla ci guarda (molto probabilmente si tratta di uno dei preti che ha commissionato la pala), e ciò costituisce un ponte con la contemporanea produzione ritrattistica del pittore. L’architettura e il cielo, invece, guardano di nuovo al Moretto ma anche, in un certo modo, alle scenografie dei dipinti del Veronese. Accanto alle pale d’altare, Moroni riceve anche commissioni per la devozione privata: da piccole tele con crocifissi o temi legati alla Passione, fino a scene sacre realizzate in secondo piano appositamente per inserire, sul lato, quanto il pittore sapeva fare meglio di ogni altra cosa: un ritratto, spesso di profilo, che raffigura il committente orante mentre contempla, a mani giunte, quanto avviene sullo sfondo, in linea con i testi dell’epoca che esaltavano certi tipi di esercitazioni spirituali. Si tratta di una volontà di costruire un parallelo, insolito per l’epoca, tra reale e immaginario, marcando con una colonna o una balaustra il confine tra l’immagine del devoto che prega e la visione che si dispiega davanti ai suoi occhi. Un’ottima prova è il Devoto in contemplazione del Battesimo di Cristo, opera del 1566 ca.

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Giovan Battista Moroni, Ritratto di Gian Gerolamo Grumelli (Il cavaliere in rosa), 1560, olio su tela, Bergamo, Palazzo Moroni

L’ultima parte di mostra, interamente dedicata ai ritratti degli anni ‘60 e ‘70, rende ragione di quanto Moroni fosse “uomo del suo tempo” e dipingesse uno spaccato della società dell’epoca. Dopo l’esperienza trentina, Moroni diventa il ritrattista prediletto delle più note famiglie bergamasche, dai Brembati ai Vertova e agli Spini, in virtù della sua capacità, quasi sartoriale, nella resa di dettagli ed espressioni. Ormai, quello di Giovan Battista è un ritratto ufficiale, spesso a figura intera, che, però, esalta i personaggi nella loro semplicità come nella fierezza. La dovizia di particolari trionfa nella Dama con ventaglio, del 1570, ma anche nei ritratti di Isotta Brembati, mentre la caratterizzazione fisica è evidente in uno dei capolavori dell’artista, il bellissimo Cavaliere in rosa, del 1560, in cui Moroni ritrae il giovane Gian Gerolamo Grumelli con un’aria fiera, quasi da smargiasso, all’interno di un ambiente pieno di rovine, statue e bassorilievi classici, a evidenziare un possibile interesse del soggetto per la classicità. Anche i ritratti dei politici, come quello del futuro governatore spagnolo dello Stato di Milano, Gabriel de la Cueva, sono pervasi da questo stile confidenziale, accanto a una caratterizzazione spaziale che rimanda alla classicità. La conclusione è affidata all’opera attraverso cui tutti noi conosciamo Moroni, ovvero Il Sarto, del 1572-75, oggi alla National Gallery di Londra, che conferma quanto non solo i nobili, ma anche i semplici lavoratori abbiano dignità rappresentativa. Il sarto di Moroni è un “working class hero”, uomo semplice che, con lo sguardo assorto e segnato dalla fatica del lavoro quotidiano, con grande dignità, ci mostra le forbici con cui taglia la stoffa.

In conclusione, Moroni lascia, specie a Bergamo, una grandissima eredità: se, da un lato, la sua Pittura devozionale e le sue pale d’altare fanno da spunti per i grandi del Seicento orobico, da Gian Paolo Cavagna a Carlo Ceresa, i suoi ritratti segnano un punto di svolta e anticipano tendenze che si sarebbero sviluppate un secolo e mezzo dopo, con Fra Galgario e Giovanni Battista Nazari.

Moroni (1521-1580). Il ritratto del suo tempo
Gallerie d’Italia, Piazza della Scala 6, Milano
Orari: lunedì chiuso; martedì-mercoledì-venerdì-sabato-domenica 9.30-19.30; giovedì 9.30-22.30
Biglietti: 10,00 € intero, 8,00 €
Info: www.gallerieditalia.com

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