Milano, le mamme, la moda, la carriera …. e la serenità?
Milano, le mamme, la moda, la carriera …. e la serenità?
Parto con qualche citazione:
“Essere mamma è un privilegio … c’è chi nasce figlia e rimarrà figlia per tutta la vita.”
“ … e’ prendersi la responsabilità per qualcuno che per tutta la vita dipenderà da me e io non sarò mai più quella di prima.”
“… non riuscire a godersi le bambine per quello che sono …. ti attanaglia la depressione ma non te lo perdonerai mai!”
“… voglio guarire dal senso di colpa, non ne posso più ….”
“ho cercato di strapparti fuori da me per vivere una vita solo mia, senza il segno della tua presenza”
“Tutti quanti dispensano consigli e si aspettano che tu li segua alla lettera, invece c’è bisogno di qualcuno che ti veda come persona e ti chieda come stai tu.”
“I bambini possono essere più forti di noi”
“… avevo bisogno dei tuoi occhi dentro i miei …”
“…. l’aggressività non si è mai manifestata con una azione violenta, però quando emerge qualcosa di diverso dall’amore ti sembra che tutto crolli.”
“ero troppo concentrata sulla mia sofferenza …“cercavo di guardare oltre per ancorare i miei occhi a qualcosa di vivo”
Citazioni tratte da cosa, mi direte.
Il film si intitola Tutto parla di Te (in programma al cinema Anteo) con Charlotte Rampling, l’ultimo della regista Alina Marazzi: un docu-film incentrato sulle esperienze e i problemi delle madri di oggi, in particolare la depressione post partum. E’ il prosieguo e la conclusione di un lungo discorso sulle madri iniziato con Un'ora sola ti vorrei (2002), in cui Alina Marazzi raccontava, attraverso fotografie, lettere e anche filmini della sua stessa famiglia, la storia di sua madre Liseli Hoepli , una donna bella e disperata, malata, colma di dolore al punto da commettere un gesto imperdonabile, suicidandosi lei stessa.
In quest’ultima pellicola, girata da una regista ormai diventata madre lei stessa, sembra superato finalmente il sentimento dell’odio per lasciare spazio l'amore, l'indulgenza e addirittura la comprensione che nel profondo ha fatto sì che «ti abbia portata dentro di me, proteggendoti».
E’ un film crudo, che solo chi è mamma può comprendere, perché solo chi ha vissuto un’esperienza unica e forte come il parto e la maternità può capire, ma non per questo giustificare, il perché di gesti altrimenti inspiegabili, come il rigetto della propria creatura.
Fa riflettere parecchio, perché è inevitabile che il parto segni un prima, e un dopo che anche a provarci non è possibile cancellare per far ritornare le cose a come stavano prima. E va da sé che l’essere madre porti con sé una dose di responsabilità aggiuntive per qualcuno che è altro da sé ma che dipende (all’inizio) in toto da loro. Ed è palese che la nuova creatura occupi uno spazio fisico, uno spazio mentale, uno spazio sentimentale che non può essere coabitato da altro, e quindi che richiede di operare delle rinunce (ma solo momentanee), di stilare una scala di priorità. E logica vuole che si maneggi con cura, pazienza e amore un qualcuno che non ha chiesto niente, si è ritrovato con la vita tra me mani.
Però poi, a ben pensarci, si sa che non c’è scuola, né libro, né teoria che insegni ad essere madri: dall’oggi al domani (già, i nove mesi canonici della gravidanza non fanno testo) ci si ritrova catapultate in una dimensione nuova che cambia le prospettive di veduta e di gestione, ma dove non è così immediata la messa a fuoco, l’adattamento. Comprensibile quindi la fragilità che si prova, la paura di non essere all’altezza, la solitudine con cui fare i conti. L’attenzione è spostata su qualcun altro, ma non è quella di cui si sente l’esigenza, quanto piuttosto di comprensione, di supporto silenzioso e preventivo, intuitivo, che non necessita di essere richiesto esplicitamente.
Sicuramente quanto vissuto da figlie in prima persona nel rapporto con la rispettiva madre, si rifletterà un domani sull’essere a propria volta madri, o replicando, oppure capovolgendolo. Molto però vuol dire anche il grado di accettazione personale, di serenità interiore, di pace verso se stesse, di soddisfazione raggiunte prima di un’esperienza travolgente come la maternità. Perché allora non ci sono rimpianti, le rinunce non sono poi rinunce ma solo slittamenti, gli isolamenti servono per scremare l’inutile che affollava le relazioni precedenti, la sensibilità smisurata smussa le asperità e le critiche e giustifica.
In una città come Milano, un film così fa riflettere doppiamente, perché le “tentazioni” sono tante e forse si fa sentire di più il cambio radicale di vita, vuoi a livello di lavoro, vuoi a livello di tempo libero, vuoi a livello di stato sociale. Però poi basta passeggiare un po’ per le strade con occhio vigile e si scorgono flottiglie di passeggini, pancioni che spuntano come pratoline, gruppi di neo-mamme che si ritrovano ai tavolini dei bar o nei parchi a condividere le loro emozioni, le loro difficoltà. E allora il primo pensiero che sorge spontaneo è: vale davvero la pena fare la mamma.
Chiara Collazuol