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Francesco Cavestri, il più grande pianista jazz giovane italiano 2023 racconta i suoi live e l’esperienza in America

L’amore per la musica nelle sue origini più intime e l’improvvisazione sono le caratteristiche del giovanissimo talento “jazz” Francesco Cavestri.

Classe 2003, Francesco studia e si dedica allo strumento del pianoforte classico dall’età di 4 anni, per poi entrare a soli 16 anni al corso accademico pianoforte jazz del Conservatorio di Bologna.

Sbarca giovanissimo negli Stati Uniti, dove ha modo di frequentare la scena musicale newyorkese, esibendosi a New York in contesti d’eccellenza come il Fat Cat e lo Smalls Jazz Club. Oltreoceano Francesco ottiene importanti risultati, tra cui un percorso di studi al Berklee College of Music di Boston, dove conosce un gruppo di musicisti americani che si esibiranno con lui in importanti rassegne estive a Bologna e a Boston.

Il 18 marzo 2022 esce il suo album d’esordio Early 17 con 9 tracce inedite e i featuring di Fabrizio Bosso e Silvia Donati, una combinazione di hip-hop, soul e R&B, con elementi del jazz contemporaneo.

Cavestri ha poi presentato l’album in due serate al Bravo Caffè, con Fabrizio Bosso come special guest. Ad agosto 2022 partecipa al Festival “Time In Jazz” diretto da Paolo Fresu, portando la sua lezione concerto dal titolo “Jazz / hip hop – due generi fratelli” che presenta anche in diverse scuole e teatri in collaborazione con l’associazione Il Jazz Va a Scuola e dove è ritornato anche questo anno con due eventi.

Da settembre 2022 Francesco sta presentando il suo album “Early 17”, registrando il sold out in alcuni luoghi di grande importanza come l’Alexanderplatz Jazz Club di Roma o la Cantina Bentivoglio di Bologna, il Wally’s Jazz Club di Boston e la Casa del Jazz di Roma, il Festival Time in Jazz in Sardegna e   in Piazza Maggiore a Bologna con il suo concerto per il Festival “Strada del Jazz 2023”.

Di recente ha anche registrato la sua prima colonna sonora per un podcast di produzione Rai e ha ricevuto il “Premio Strada del Jazz 2023” come il più grande pianista jazz giovane italiano.

Oggi Francesco ci porta nel suo mondo per raccontarci il fascino del jazz.

cavestri diretto

Come è nata la tua passione per la musica jazz?

La mia passione per il jazz è nata alle scuole medie grazie a una professoressa di musica che ha accesso la mia passione. Sono rimasto folgorato dall'ascolto dei dischi di Miles Davis e da quel momento ho iniziato a studiare in autonomia e improvvisare.   Successivamente mi sono iscritto al Conservatorio con indirizzo jazz e a luglio di quest’anno mi sono diplomato. Ho avuto modo di approfondire i miei linguaggi, la conoscenza del jazz e di scoprire tanti artisti: questo mi ha permesso di   creare un’espressione personale, che propongo nel mio album e nei live.

Nel tuo percorso di formazione artistica hai avuto un’importante esperienza in America, uno stato che ha sempre avuto un ruolo quasi “primeggiante” primario nella musica mondiale?

Oggi c’è una quantità di musica all'avanguardia in diverse parti del mondo e non esiste più la centralità americana come avveniva in passato. Credo che sia importante andare negli Stati Uniti per 2 ragioni, non prettamente didattiche, perché anche in Italia livello è molto elevato: in primis, la fortuna di conoscere e scoprire dei musicisti straordinari della mia età e non solo. A Berklee ne ho conosciuti alcuni tra i più talentuosi, li ho portati in Italia e abbiamo fatto dei concerti l’anno scorso; in secundis, la possibilità di studiare tutte le evoluzioni e il percorso che ha fatto il jazz nel corso degli anni.  Per esempio, sono stato a New York e ho fatto delle esibizioni in alcuni locali del Village, e in un club ad Harlem.

In Italia la musica viene vista un po’ come un passatempo e non come un fattore di cultura, se pensiamo all’Inghilterra, con prodotti pop molto standardizzati. Tu sei un musicista di avanguardia e capace di mischiare i generi. Cosa ne pensi dello scenario attuale?

Io ascolto tanta musica elettronica, non mi fossilizzo su un genere ma cerco di allargare i miei orizzonti e questo si riflette anche nella mia musica.

Sono un grande appassionato di più generi e noto che in Italia il pop è molto uniformato e nonostante ci siano tanti artisti e produttori di talento, c’è un linguaggio standard che funziona e viene riproposto, in modo molto martellante. Complessivamente c’è poca varietà.

Mentre in Inghilterra oltre la presenza di artisti trap, c’è anche una scena R&B molto convinta e solida che ha grande seguito, con una platea di ascolto in grado di accogliere stili e tendenze diverse.

Il 31 ottobre sarai in Triennale a Milano   per un tuo spettacolo da titolo “Jazz e Hip-Hop due generi fratelli” Raccontaci questo curioso live?

Io propongo due eventi separati, ma sono legato l’uno all’altro. Ci sarà una lezione concerto in solo piano dalle 18.00 alle 19.00 in sala Agorà con ingresso libero fino a esaurimento posti.

Dalle 19.30 ci sarà il concerto in trio all’interno della Triennale con due musicisti tra i più promettenti della scena musicale hip-hop ed elettronica: il bassista Riccardo Oliva e il batterista Joe Allotta.

La lezione-concerto (talk) attraverserà le origini del jazz e dell’hip hop, passando per gli artisti che più hanno navigato tra i due generi, sviluppando momenti teorici volti alla trasmissione delle conoscenze accompagnati da momenti concertistici e di ascolto che avvicinino i partecipanti all'essenza di questa musica.

Spesso si pensa che il jazz e l’hip hop siano 2 generi apparentemente diversi con pubblici diversi, quello del jazz dagli over 50 e 70 anni, mentre quello dell’hip hop più vicino ai 20 anni.

Io, invece, voglio sradicare questo pensiero perché racconto come in realtà i due generi musicali siano simili: non esiste hi pop senza jazz perché sono nati dalle stesse condizioni e condividono le stesse origini da un punto di vista sociale, storico e politico. Hanno le radici nelle minoranze e nelle situazioni di disagio e povertà, nonché di schiavismo nel caso del jazz, e nell’apartheid nel caso dell’hip pop.

Da un punto di vista musicale, ci sono tante ingerenze dell’hip pop nel jazz. È importante capire questa relazione.

Durante i miei spettacoli cito dei nomi di Eminen e Snoop Doog vicini al linguaggio della musica dei giovani e faccio vedere una clip di una premiazione di Herbie Hancock durante la quale Snoop dice “grazie Herbie per aver inventato l’hip pop”.

Fa specie vedere uno dei più grandi esponenti della musica rap ringraziare un pianista jazz per aver inventato l’hip hop: di conseguenza, anche il trap che è sottogenere del rap trae origine dal jazz.

cavestri trio

Alcuni musicisti jazz a volte sono un po’ troppo concentrati sulla tecnica e sui virtuosismi, trascurando l’empatia e l’emozione che la musica jazz trasmette. Cosa ne pensi?

Il jazz è un genere musicale che richiede un livello tecnico molto elevato, alla base del quale c’è uno studio di diversi anni, soprattutto di altri artisti e di altri linguaggi.

Durante i miei studi ho incontrato dei docenti che avevano un pensiero diverso, secondo il quale lo sviluppo del proprio linguaggio è subordinato allo studio di altri artisti: è più importante studiare gli altri, piuttosto che sviluppare la propria personalità musicale.

A mio avviso la tecnica deve essere posta al servizio di qualcos'altro o di uno sviluppo di una propria identità personale in questo modo, assume un’altra prospettiva di emotività che non è fine a sé stessa, come anche suonare velocemente o eseguire delle scale complesse.

Contatti social:

https://instagram.com/fracavestrii?igshid=MzRlODBiNWFlZA==

cavestri piano

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