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Intervista a Andy dei Bluvertigo: la mia arte, la mia musica

  • Eleonora Boccuni

andy bluvertigoDa Bruno Munari a David Bowie, ecco cosa c'è da sapere su uno dei fondatori dei Bluvertigo

Andrea Fumagalli, meglio conosciuto come Andy, ci racconta alcuni aneddoti della sua vita e delle sue passioni. L'arte e la musica scorrono nelle sue vene sin da quando era bambino e ciò gli ha permesso di concepire le innumerevoli opere d'arte che continua a creare nel corso degli anni.

Non solo, Andy è sicuramente un artista eclettico, non solo per ciò che concerne le raffigurazioni pittoriche, bensì anche in campo musicale. Difatti, lui è produttore e musicista, ideatore di brani e incisioni che prendono spunto da artisti che, ancora, oggi sono delle vere e proprie icone sacre della musica. Parliamo di Brian Eno (Roxy Music), dei Depeche Mode, di David Bowie, David Byrne (Talking Heads) e altri personaggi che sono passati alla storia per la loro genialità. A comprova di quanto asserito, appare doveroso menzionare anche Bruno Munari, artista milanese considerato dal fondatore dei Bluvertigo, un maestro di vita dal quale cerca sempre di apprendere sempre più nozioni, nonostante sia, ormai, passato a miglior vita da diversi anni e non abbia avuto occasione di conoscerlo. Ma, lo stesso Andy, esplica l'importanza di dare rilievo a ogni particolare, a ogni peculiarità e dettaglio anche grazie allo studio approfondito, portato avanti da Munari, descritto in un suo libro intitolato: “Arte come mestiere”.

Di certo l'arte non è solo espressione artistica, bensì è manifestazione, comunicazione e rivelazione di codici sempre nuovi e soggettivi che permettono di mettere in risalto sempre qualcosa di nuovo e mai uguale, soprattutto perché questa è “espressione soggettiva” del singolo. Non parliamo solo di pathos, ma di creatività, di fantasia, di visioni prospettiche della realtà, di ciò che è surreale, di ciò che la mente riesce a percepire e dei mondi paralleli ancora sconosciuti.

È alquanto affascinante poter interloquire con Andy, conoscere ciò che lo affascina, sapere da chi e da cosa prende spunto, cos'è che lo ispira e, soprattutto, diviene interessante ascoltare ciò che lui ha da raccontare in merito ai grandi artisti del passato. Infatti, ciò non determina soltanto l'evidente collegamento a grandi personaggi che hanno segnato la storia, ma, contestualmente, anche il suo spessore culturale di notevole rilevanza. Fattore fondamentale nel mondo coevo.

Artista poliedrico, sempre pronto a sperimentare e a conoscere quante più nozioni possibili e immaginabili, Andrea Fumagalli è, di sicuro, una delle personalità più intriganti del panorama artistico-musicale-culturale nazionale. Predisposto al confronto e con tanta voglia di apprendere, Andy ci racconta come e quando sono nate le sue passioni, come si sono evolute nel tempo, senza tralasciare i riferimenti tecnici che contraddistinguono la sua personalità artistica.

L'intervista

Arte e musica: quando nascono queste due passioni che sono, poi, divenute il tuo lavoro?
Dall'età dell'adolescenza; mentre studiavo grafica all'istituto d'arte, suonavo”.

È chiaro che la tua ispirazione prende spunto dalla cultura pop (nazionale e internazionale) e, dunque, dai grandi maestri dell'arte del passato - “Esatto” afferma Andy – Da dove emerge la scelta di utilizzare i colori acrilici fluorescenti nei tuoi quadri?
Sempre nella sfera della pop art, ma, soprattutto perché, quando ero bambino venivo molto colpito dai cartelli <<affittasi>> e <<vendesi>> che erano più evidenti di altri e, quindi, questo mi ha spinto a studiare. Perché chimicamente il colore fluorescente è molto più acceso di un altro. Perché da lì mi è sempre piaciuto molto il fatto che un dipinto stesso possa avere due vite; cioè uno a luce giorno e uno a luce blu con delle rifrazioni del colore che più ti interessa”.

Quindi, un qualcosa che è maturata da bambino e che, poi, si è evoluta nel corso degli anni?
Sì, poi una volta diventando grande e trovando un codice pittorico che mi rappresenta e mi fa sentire tale, sono riuscito a mettere il tutto a fuoco”.

Soprattutto perché ogni artista rappresenta ciò che lui sente e percepisce (per esempio, a seconda del suo pathos), quindi un qualcosa di soggettivo e personale.
Sì, a seconda del suo percorso. Ci sono artisti che hanno sviluppato diversi codici, se penso a dei mostri sacri come Picasso che è passato attraverso così tanti periodi – poi, con un tocco di ironia prosegue asserendo – Non è il mio caso, io sto lavorando nella messa <<sempre più a fuoco>> di quello che è questo mondo, per questa realtà parallela che vado a creare”.

A tal proposito, diviene indispensabile dire che nelle tue opere ritroviamo le bordature nere che marcano i soggetti e le prospettive ivi rappresentate che servono per sintetizzare forme e piani, siano essi narrativi che prospettivi.
Più che altro è per andare a isolarli, cioè è come creare un lavoro di sintesi sennò divago e, quindi, quel modo, quel metodo risulta essere un simbolo di sintesi. Anche in un volto se lo inquadri da vicino diventa un quadro astratto”.

Perciò, il fatto di delimitare gli spazi e, quindi, dare una forma a ogni cosa è rilevante al fine di non subentrare nell'astrattismo.
Sì, ma soprattutto perché sennò il quadro non li finisco più – replica sarcasticamente – è proprio una questione pratica. Grazie a Bruno Munari, sono un fan delle sue teorie sul percorso creativo grazie alle quali si stabiliscono delle tappe di quest'ultimo. Un quadro può iniziare proprio così. Nel mio caso, se ci mettessi l'aerografo, un po' di matita, un po' di sfumino, poi lo fotografo e ne ristampo sopra delle parti, penso che (magari) verrebbe fuori una bella opera, ma sicuramente interminabile. A me interessa, molto di più, produrre dei risultati abbastanza in fretta. Per cui, per me è importante sapere che l'ultimo bordo nero o l'ultimo bordo colorato (che hanno rappresentato già un'evoluzione) mi permettono di definire il quadro: socchiudere, iniziare e finire un lavoro”.

Eccezionale, soprattutto perché hai menzionato uno tra gli artisti più grandi: Bruno Munari. Per me sì” commenta Andy. Possiamo affermare che il binomio che hai creato “codici onirici e immagini che rappresentano personaggi noti” si ricollega a lui (Munari)?
Io sono stato molto ispirato da Bruno Munari; è un po' come <<Il Piccolo Principe>>. È in grado di parlare agli adulti e parlare ai bambini con la stessa chiarezza ed è leggibile in diverse chiavi di lettura”.

La scimmietta Zizì, oltre a essere una delle sue opere più famose ne è anche un chiaro esempio.
Un'opera molto bella. Ma più che altro è lo studio che vi è dietro. C'è un libro che per me è come il <<Il Piccolo Principe>> da rileggere ogni tot di anni; si chiama <<Arte come mestiere>> dove profila le regole di come scendere a fondo nelle cose. Per esempio, tu puoi rappresentare un'arancia o puoi avere in mano un'arancia e, poi, scendere nel dettaglio. L'analisi di un'arancia di Bruno Munari ti fa pensare che ogni cosa potrebbe meritare uno studio approfondito”. Praticamente, ogni peculiarità. Sì. Io ho bisogno di una persona così”.

È come se si sentisse, sostanzialmente, la sua mancanza.
Io, personalmente, non ho mai avuto l'onore di conoscerlo. Di certo, è stato importante.. come Brian Eno. Personaggi che quando leggi i loro libri o ascolti quello che hanno prodotto ti danno una spinta”.

Brian Eno nella fase successiva rispetto alla collaborazione con i Roxy Music.
Sì, ma è l'individuo che fa la differenza. Sono quegli individui che mischiano tutto”.

David Bowie invece?
Moltissimo e ho avuto, anche, l'onore di conoscerlo”.

L'arte concettuale di Piero Manzoni e la pop art di Andy Warhol: cosa hanno in comune questi due artisti?
L'irriverenza. È un atteggiamento molto importante. L'irriverenza consapevole di far parte di un filone e sovvertirne le regole, quello è il punto di comunione che, secondo me, possiedono”.

In un certo senso è, anche, ciò che contraddistingue quel periodo artistico.Sì, ma oltre al filone di Manzoni è indispensabile avere quel briciolo di cultura in più e la genialità che permette di avere delle marce in più”.

Passiamo alla musica: possiamo affermare che prediligi prevalentemente quella elettronica così come si denota e si evince dagli strumenti che usi e dalle scelte che fai durante i tuoi dj-set?
No, perché sono bilanciate al 50%. Una molto yin e l'altra molto yang se vogliamo dirla alla cinese. Il sassofono, la batteria, la chitarra elettrica sono molto yang, le macchine, poi, accolgono. Cioè entrano in ballo dei meccanismi di quantizzazione, messa a tempo e, quindi, sono molto più soggette ad auto-variazioni. Uno attacca e l'altro riceve.

Chi mischia il suonato all'elettronica, come i Nine Inch Nail o come l'album dei Depeche Mode “Songs of Faith and Devotion”, sono un esempio di come un qualcosa di suonato dal vivo, come le batterie le chitarre, poi interagiscono con le macchine e, quindi, questo è uno degli esempi migliori riusciti”. Soprattutto per l'alternarsi dei vari componenti all'interno della band, come per esempio Vince Clarke o lo stesso Dave Gahan, senza dimenticare il “genio” del gruppo, Martin Gore, Alan Wilder, Andrew Fletcher, ecc. il tutto ruota intorno al caso, così come nacque casualmente “Never Let Me Down Again” ottenendo (ancora oggi) il successo meritato.Ti potrei citare tantissime variabili positive di coincidenze piacevoli dei Depeche Mode. Diciamo che la forza, in quel caso, l'ha fatta l'equipe quindi il lavoro di squadra. Infatti, il tempo ha determinato che se togli qualcuno dalla squadra si ottiene poco a livello di risultati. Nel senso che se tu ci metti Dave Gahan, anzi Daniel Miller che è il primo perché è il discografico e sembra uno del gruppo, poi ci metti Martin Gore che scrive le canzoni, Andrew Fletcher che si occupa delle relazioni tra il discografico e le persone (magari musicalmente fa un po' meno, però è altrettanto fondamentale), Alan Wilder che fa i suoni, Anton Corbijn che fa le foto, complessivamente possiamo dire che l'equipe ha prodotto per anni un sacco di successi e brani interessanti. Poi, ognuno ha trovato lo spazio per le proprie possibilità”. Però, anche loro si sono rifatti un po' alla musica dei Kraftwerk. Da un lato sì, ma anche molto al blues e, anche, molto a David Bowie; cioè, hanno mischiato le carte e hanno dato la loro entità. E poi ci sono i vari percorsi di vita che identificano anche la loro musica”. La quale, fortunatamente, ascoltiamo ancora oggi.Altroché. Anzi, poi, oggi, da uomini maturi sono ancora in grado di fare dei dischi, nonostante le famiglie e i figli e riempire gli stadi. Ne è un esempio Dave Gahan”.

Sì, in particolar modo nel periodo in cui lo abbiamo visto da solista, sebbene i Depeche Mode non si sono mai sciolti. Soprattutto è sopravvissuto dal coma nel 1994 ed è un grandissimo esempio di come ne è venuto fuori come lo è, anche, il fatto di vederlo sul palco ancora più carico di prima”.

Oltre ai sintetizzatori e alle tastiere, hai mai suonato un theremin e/o uno stilofono?
Sì, anche il theremin, sebbene penso che sia uno strumento difficilissimo che richiederebbe uno studio approfondito come il violino. Mi è piaciuto vedere i documentari di Léon Theremin e stupirmi, rispetto all'invenzione che ha portato, poi, al sintetizzatore”. È, comunque, uno strumento affascinante proprio per il risultato sonoro dal quale si riesce a ottenere.Sì, sì, assolutamente”.

Invece, David Bowie ha cercato, molteplici volte, di pubblicizzare lo stilofono che ha utilizzato in alcune sue incisioni. Sì, lo ritroviamo per la maggiore nel periodo berlinese”. Così come è stato utilizzato dai Kraftwerk. Perché, secondo te, alcuni strumenti non vengono presi in considerazione come dovrebbero?
Non è facile rispondere, perché è un discorso molto vago e, alcune volte, parlare di strumenti con i musicisti non è sempre così divertente.

Io, personalmente, sento il bisogno di provare le cose e sperimentare. Quando la cosa diventa troppo teorizzata rischia di risultare pesante e, dunque, si sente la necessità e la voglia di suonare, provare e giocare con gli strumenti. Tante volte dalle coincidenze viene fuori qualcosa di singolare. <<Onora l'errore come se fosse un'intenzione nascosta>>, penso che sia una teoria pazzesca”.

La tua arte influenza la tua musica? Se sì, in che modo?
Ci sono due formule di risposta. Una è che quando mi sento <<bene>>, ben bilanciato, una disciplina alimenta l'altra. Nel senso che quando mi sento particolarmente bene, nascono creazioni pittoriche e creazioni musicali e cucino queste cose strane, perché questo è sintomo di benessere. Quindi, una influenza l'altro nella misura in cui tu stai bene.

Nello stesso tempo, il sogno di sempre è quello di poter mischiare i codici. È uno dei miei sogni che voglio cercare di sviluppare. È proprio un viaggio, in realtà virtuale, dentro i quadri e, in cuffia, ascolti quello che ho scritto.

Il meccanismo è uguale: i bordi neri o lo stile del piano, le frazioni di fotografia che vengono riprodotti su tela e i sample, cioè i campionamenti della realtà che viene messo a tempo, sono praticamente dei meccanismi che parlano la stessa lingua”.

Musicalmente parlando, a chi ti ispiri?
È un misto di personaggi, di culture, di idee diverse. Negli ultimi tre anni sto portando in scena un omaggio a David Bowie e lo sto studiando per imparare a fare il front-man. Quindi, quale miglior repertorio per mettersi in gioco? C'è il funk, c'è il crooner, c'è la melodia e, infatti, sto studiando approfonditamente la voce, il modo che ti permette di non affaticarti quando arrivi in alto gestendo due ore di concerto, come ti muovi, quando ti cambi d'abito...Bowie mi ha dato questa tavolozza infinita che porto in scena, molto volentieri, durante i miei concerti.

Ovviamente, dovrò portare avanti anche la mia musica inedita che è lì dal 2006. stavo producendo un disco che non è mai uscito e, magari, ora è arrivato il momento, grazie a questi nuovi aspetti da ri-arrangiare, per portare a termine quello in cui credevo”.

E, a tal proposito, sorge spontaneo chiedere quali sono i progetti in cantiere per il futuro? Il nuovo disco?
Sì, però non sto più ragionando verso un long play. Praticamente l'opposto di quello che ti dicevo a inizio intervista: volevo fare gli stessi brani con una versione prevalentemente suonata e nel cd affianco una versione completamente elettronica. Mi piacerebbe molto riuscire a dividere i due linguaggi. Oggi, penso che la cosa migliore sia il connubio, quindi unire i due linguaggi. Però non penso a un album, penso a diverse canzoni, progetti, mostre...”.

Praticamente, ogni cosa ponderata a suo tempo..
Mah...nel frattempo sono cambiati anche i tempi, anche il modo di divulgare, è cambiato completamento tutto: il web, le piattaforme… È cambiato, anche, il modo di pubblicare e mi piace adeguarmi a questa nuova strana epoca”.

Senti la nostalgia delle epoche passate o ti ci ritrovi in questo “ambiente” moderno, contemporaneo?
Io non mi lamento, non ho voglia di farlo. È chiaro che certe cose mancano: le emozioni di sognare i miei preferiti e quando li vedevi dal vivo sembravano degli extra-terrestri, cosa che, invece, non accade oggi”.

Eleonora Boccuni

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