Istituto dei Ciechi di Milano: ente dedicato alla disabilità visiva
L'Istituto dei Ciechi di Milano, che sorge in via Vivaio, 7 è storia di Milano e dei milanesi che lo hanno voluto e sostenuto a partire dal 1840. Tutto si deve a tale Michele Barozzi il quale iniziò il suo incarico presso la "Pia Casa di Industria", allora sita in via S. Vincenzo, dove organizzò un reparto per i non vedenti.
L'idea ebbe successo, tanto che Sebastiano Mondolfo ne divenne il principale benefattore, infatti acquistò alcuni terreni presso Porta Nuova e vi trasferì l'Istituto. Nel 1864 l'Istituto milanese, primo in Italia, aveva deciso di adottare l'alfabeto Braille, che assunse una importanza sempre maggiore per i non vedenti. Il sistema Braille permette la scrittura e la lettura tattile a rilievo per non vedenti e ipovedenti, e ideato dal francese Louis Braille. Nell'ottobre del 1892 l'Istituto si spostava nella nuova sede di via Vivaio.
Milano ancora una volta, prima in Italia, aveva aperto una "via nuova" con una istituzione così meritoria, facendo nascere anche l'Asilo per i bambini ciechi. La sede dell'Istituto poté essere costruita grazie a un importante lascito, e fu affidata all'architetto Giuseppe Pirovano, nato a Milano nel 1846. Nel 1925 l'Istituto realizzerà il pensionato Casa Famiglia, mentre un anno dopo l'Istituto dei Ciechi è dichiarato Istituto Scolastico.
Tredici anni dopo nasce la Scuola di Avviamento Professionale per ciechi con laboratori di falegnameria, maglificio e lavorazione di vimini, che sappiamo essere i rami giovani di alcune specie di salici e che si prestano all'intreccio. La seconda guerra mondiale obbliga l'Istituto ad effettuare uno sfollamento generale degli ospiti, e solo nel 1946 L'Istituto riaprirà riprendendo la sua normale vita, apportando tutte quelle modifiche migliorative che il progresso offriva.
Oggi l'Istituto si sviluppa intorno a quattro cortili di area quadrata; i due cortili di sinistra ospitano la scuola media statale a indirizzo musicale, mentre in quello di destra è stata allestita una struttura mobile che ospita la mostra Dialogo nel buio. Al piano terra vi erano i laboratori e le mense; al primo piano gli uffici amministrativi e le aule per lo studio della musica; al secondo piano vi erano le camerate. Vi era poi il salone dei concerti e la Chiesa, queste accessibili al pubblico. Un ambiente di prestigio è la Sala Stoppani che si trova al primo piano.
L'Istituto possiede anche un proprio stemma che ora vado a descrivere. È un ovale dorato che racchiude uno sfondo blu punteggiato di stelle anch'esse in oro; il colore blu vuole simboleggiare la notte, il buio. In primo piano vi sono raffigurate tre lingue di fuoco rosse e gialle, simbolo del sapere, della conoscenza, che illuminano una ruota dentata, uno spartito musicale e un libro. Questi tre elementi vogliono simboleggiare il lavoro, con la ruota, il libro per la conoscenza e il sapere, e lo spartito per l'amore e l'interesse che i ciechi hanno per la musica. Posto in basso vi è un cartiglio con il motto latino "in tenebris opera solacium", che è possibile tradurre in due modi diversi, ossia: " nel buio il lavoro è conforto", oppure " che l'operare sia sollievo anche nelle tenebre".
Termino l'articolo raccomandando una visita all'Istituto, non solo per la parte architettonica, ma anche per le opere artistiche in esso presenti.