“Vite sospese" di Pamela Bonomelli ci insegna come sopravvivere alle avversità della vita
“Poserò la testa sulla tua spalla
e farò un sogno di mare
e domani un fuoco di legna,
perché l’aria azzurra
diventi casa,
chi sarà a raccontare?
Chi sarà?
Sarà chi rimane.
Io seguirò questo migrare,
seguirò
questa corrente di ali”. (traduzione del testo in romanes De Andrè Khorakhanè)
Conosciamo Pamela Bonomelli, giovane scrittrice italiana. Nata il 21 novembre 1982 vive a Bergamo, insieme al figlio Ruben. Figlia di padre bergamasco e madre siciliana coltiva fin da piccola l’amore per la terra materna. Dopo una formazione di stampo artistico, ha portato avanti gli studi teatrali e la passione per la scrittura, come espressione d’arte pura. “Vite Sospese” è il suo primo romanzo per Porto Seguro.
Benvenuta su Milanofree, Pamela, come hai scoperto la tua passione per la scrittura?
La mia passione per la scrittura, credo sia nata con me: leggere, inventare, raccontare e scrivere erano i miei passatempi preferiti fin da piccola. Non mi sono mai soffermata troppo spesso a chiedermi perché scrivo, di solito lo faccio e basta, senza pensarci, mossa dalla necessità di comunicare qualcosa. È una terapia. Non ne posso fare a meno, ho in mente un'idea o un’immagine e devo per forza metterla per iscritto, poco importa se le farò prendere forma o porterò a termine un intero progetto, per me è importante raccontare quello che voglio trasmettere.
Nel tuo romanzo “Vite sospese” parli del rapimento della piccola Kamil. Chi è per te questa figura? A chi è ispirata?
Kamil, per me, è il simbolo della forza, della tenacia, pur mantenendo la fragilità tipica di una bambina. Impara fin da subito ad affrontare situazioni complesse, tenendo ben salde la sua umanità e una empatia verso il prossimo non comuni. Sopravvivere diventa un gesto violento di reazione. Come fa il topo quando è nell'angolo prima di essere ucciso, proprio un momento prima di essere colpito, il topo vinto, fa una cosa in apparenza insensata. L'unica cosa che può fare è attaccare ed attacca, non importa, se tu sei 100 volte più grande di lui e stai per ucciderlo, lui ti si avventa contro. Kamil è come quel topo: compromessi, umiliazioni e ricatti non hanno fatto altro che renderla ancora più forte.
Kamil è potenzialmente la parte migliore di noi, sicuramente la mia.
Quale emozione descritta nel romanzo ritrovi maggiormente come tua?
Sicuramente la fiducia, intesa come riconoscere affidabilità nell'altro nel momento in cui l'altro riesce ad entrare in empatia con la nostra visione conquistando la nostra attenzione, soprattutto la nostra stima; è un po' quello che succede tra Kamil e Nedzad.
Perché il titolo “Vite sospese”?
Perché racconta la vita di più personaggi in relazione alla tragica perdita di Kamil, dal momento della sparizione fino alla fine del romanzo.
Kamil una volta rapita dovrà accettare, tra i container del campo rom, una nuova famiglia, dei nuovi doveri e delle nuove tradizioni. E soprattutto l’aiuto di Nedzad, l’unico della “kumpania” che sarà in grado di alleviare la sua tristezza. Tra queste righe si possono leggere la solidarietà e l’attenzione che tu porti verso i popoli emarginati, verso una cultura diversa dalla nostra ….
Allora per quanto riguarda invece la solidarietà e l’attenzione verso i popoli emarginati, ho descritto il mondo Gagè , cioè il mondo non zingaro. Questa realtà sembra non avere problemi con i rom finché essi se ne stanno chiusi in una sorta di recinto folkloristico e non diventano troppo numerosi, cioè fin quando non diventa un avere una propria comunità con esigenze abitative, aspirazioni, ambizioni educative reali per i loro figli. Purtroppo, là dove non ci sono condizioni economiche dignitose, finché a livello europeo non ci sarà una volontà politica di affrontare la povertà e l'emarginazione in cui spesso vivono, la situazione non potrà che peggiorare. La figura di Nedzad rappresenta la parte buona di quel mondo e forse è la sua audacia, la sua forza e la sua perseveranza che è tipica dei ragazzi brillanti, a gettare luce su tutta la comunità nomade e a riscattarne un'identità che ormai è smarrita.
“Il cuore rallenta e la testa cammina, in un buio di giostre in disuso…. Saper leggere il libro del mondo, con parole cangianti e nessuna scrittura. Nei sentieri costretti in un palmo di mano, i segreti che fanno paura. finché un uomo ti incontra e non si riconosce, e ogni terra si accende e si arrende la pace”, questi i versi della canzone” Korhakhanè , a forza di essere vento”, di De Andrè. Ritrovi in essa l’eco delle tue parole?
Assolutamente sì. I rom qui vengono dipinti come un popolo senza una vera casa, per questo fatto totalmente liberi e privi di condizionamenti economici e sociali. Da qui si evince la metafora e senso del pezzo, cioè che la vita è come il viaggio di un rom che parte senza sapere la meta e senza soprattutto curarsi di questa, perché il fine diventa solo un interessante particolare, non lo scopo.
A tutti è capitato di smarrirsi, di venire rapiti da una situazione, da un fatto o da una persona, e poi ritrovarsi lì a domandarsi quali sono le nostre radici che ci tengono ancorati a terra o magari a chiedersi se è meglio lasciarsi andare e affrontare un volo nuovo. Che messaggio vuoi far passare attraverso la tua storia?
Proprio in questo periodo della mia vita questa domanda mi tocca e attraversa profondamente. Chi non si è mai sentito smarrito almeno una volta nella vita? Chi non si è mai domandato cosa ci tiene ancora ancorati a terra e soprattutto chi non si domanda se è meglio lasciarsi andare e affrontare un nuovo volo? Posso solo dire che ognuno di noi trova la forza nel momento in cui hai più bisogno e andare avanti a volte è l'unica possibilità che si ha. Per non subire la vita e non sentirci isolati da tutto ciò che abbiamo intorno. Credo che sia giusto aumentare i punti di contatto con il nostro mondo interiore e quello esterno, in modo da poter scollegare i contatti quando necessario senza sentirci intrappolati dentro noi stessi. Il messaggio della storia è sicuramente questo: sopravvivere alle avversità, farne tesoro e andare avanti per la propria strada. Spesso, come per la metafora della canzone di De Andrè, la vita è come il viaggio di un rom che parte senza sapere la meta e soprattutto senza curarsi di questa, perché il fine diventa solo un interessante particolare, non lo scopo dell'esistenza.
Un’ultima domanda: quali sono i tuoi progetti futuri?
Continuare questa meravigliosa terapia che è la scrittura. Una nuova idea mi solletica già da un po' e sto cercando di afferrarla, di coglierla in pieno. La trama è ancora tutta nella mia testa ma ancora deve prendere forma. Come ogni volta so, che appena si fermerà, inizierò a scrivere e non smetterò più finché non sarò arrivata alla fine.