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Walter Bonatti: vita, esplorazioni e imprese del re delle Alpi

  • Roberto Bombassei

bonatti“La montagna mi ha insegnato a non barare, a essere onesto con me stesso e con quello che facevo.”

WALTER BONATTI 

Nasceva 93 anni fa a Bergamo Walter Bonatti, iI più grande Alpinista, esploratore, giornalista, scrittore e fotoreporter italiano. Un uomo capace di prestazioni fuori dal comune. Aveva una tempra d’acciaio che gli permetteva di resistere fisicamente, ma soprattutto psicologicamente, a condizioni spesso drammatiche. Aveva straordinarie capacità, oltre che di uno spirito forte e deciso ma mai autoritario.

Soprannominato «il re delle Alpi», è stato una delle figure più eminenti dell'alpinismo mondiale. Oltre che alpinista e guida alpina, fu autore di libri e numerosi reportage nelle regioni più impervie del mondo, molti dei quali come inviato esploratore del settimanale Epoca. Nato nel 1930, figlio di Angelo Bonatti (1888-1973) e Agostina Appiani (1899-1951), aveva una sorella deceduta in giovane età.

Inizia la sua attività sportiva facendo il ginnasta nella società monzese Forti e Liberi. Nel 1948 compie le sue prime scalate sulle Prealpi lombarde, ma già dall'anno successivo inizia un susseguirsi di imprese dalle difficoltà estreme, cercando soluzioni ai problemi alpinistici dell'epoca e spostando sempre più avanti i limiti dell'umanamente possibile.

Per mantenersi in quegli anni svolge il duro lavoro di operaio siderurgico presso la Falck, andando sulle montagne lombarde solo la domenica dopo il turno di notte del sabato.

Nel 1950 tenta la sua prima grande impresa in apertura di una nuova via: la parete est del Grand Capucin, una parete di granito rosso mai scalata prima, nel gruppo del Monte Bianco.

Il 24 luglio parte alla volta di quella guglia di 400 m di granito, insieme con il monzese Camillo Barzaghi, ma una violenta tormenta li fa desistere dopo solo poche decine di metri e sono costretti a bivaccare vicino al Rifugio Torino, poiché quest'ultimo è troppo costoso per le loro tasche.

Dopo tre settimane, riprova la scalata, questa volta con Luciano Ghigi, che ha casualmente incontrato nello stesso campeggio in fondovalle.

Ma anche in questa occasione, dopo i primi tre giorni di bivacchi in parete, il tempo si guasta e una violenta tempesta di neve, complice un muro liscio e verticale di 40 m da superare, li costringe a una ritirata lunga e difficile per le condizioni in cui avviene. La conquista viene rimandata.

Nel 1951 ritenta con Luciano Ghigo il Grand Capucin. È il 20 luglio. Questa volta due giorni bastano per coprire la distanza scalata l'anno precedente in tre giorni e anche il muro verticale di 40 m viene superato.

Ma ancora una volta il tempo volge al peggio e sono costretti ad un ulteriore bivacco in parete, appesi alle corde, in mezzo alla tempesta. Il giorno seguente giungono in cima e riescono a raggiungere il Rifugio Torino solo la notte seguente, in mezzo alla tempesta.

È la prima volta che una via porta il nome di Bonatti. I festeggiamenti che seguono la riuscita di questa impresa però durano poco: Agostina, la madre di Walter, infatti, muore per l'emozione della vittoria del figlio.

Al ritorno dei due alpinisti, Gaston Rébuffat definirà questa scalata come "la più grande impresa su roccia realizzata fino ad oggi, un'impresa di cui l'alpinismo italiano può andare fiero."

IL K2

«Quella notte sul K2, tra il 30 e il 31 luglio 1954, io dovevo morire. Il fatto che sia invece sopravvissuto è dipeso soltanto da me...»

(Walter Bonatti, Le mie montagne)

Sempre nel 1954 partecipa alla spedizione italiana capitanata da Ardito Desio, che porterà Achille Compagnoni e Lino Lacedelli sulla cima del K2; con i suoi 24 anni è il più giovane della spedizione.

Il giorno prima che Lacedelli e Compagnoni raggiungano la vetta, Walter Bonatti scende dall'ottavo campo verso il settimo per recuperare le bombole d'ossigeno lasciatevi la sera prima da altri compagni. Con questo carico sulle spalle, insieme ad Amir Mahdi, risale fino all'ottavo campo e di lì, dopo una pausa ristoratrice, fino al luogo in cui Compagnoni e Lacedelli avrebbero dovuto allestire il nono campo.

I due però, soprattutto per scelta di Compagnoni, non allestiscono il campo dov'era stato previsto la sera prima di comune accordo con Bonatti, ma lo fissano circa 250 metri di dislivello più in alto.

Bonatti e Mahdi riescono ad arrivare nei pressi del luogo concordato poco prima del tramonto, ma non vengono aiutati da Compagnoni e Lacedelli, che invece d'indicar loro la strada per la tenda si limitano a suggerire da lontano di lasciare l'ossigeno e tornare indietro, cosa impossibile, visto il buio che incombe, l'enorme sforzo che già hanno sostenuto i due dalle prime ore del giorno, e vista soprattutto l'inesperienza di Mahdi a quelle quote e su quei terreni.

Il calare delle tenebre rende a Bonatti e Mahdi impossibile individuare la tenda dei due di testa. Si ritrovano così soli a dover affrontare una notte all'addiaccio nella "zona della morte" con temperature stimate intorno ai -50 °C, senza tenda, sacco a pelo o altro mezzo per potersi riparare.

Solo alle prime luci dell'alba del giorno successivo i due possono muoversi e ritornare verso il campo 8, dove giungono in mattinata; Mahdi riporta seri congelamenti alle mani ed ai piedi, ed in seguito subisce l'amputazione di alcune dita.

«Quello che riportai dal K2 fu soprattutto un grosso fardello di esperienze personali negative, direi fin troppo crude per i miei giovani anni.»

Bonatti rimase talmente deluso dall'atteggiamento dei suoi compagni da prediligere da allora in poi imprese alpinistiche condotte prevalentemente in solitaria.

La versione dei fatti secondo Bonatti venne divulgata solo nel 1961, con la pubblicazione del suo libro "Le mie montagne".

Nel 1955, a metà agosto, dopo due tentativi frustrati dal cattivo tempo, in sei giorni scala in solitaria il pilastro sud-ovest del Petit Dru, nel gruppo del Bianco, restando in parete per sei giorni. Questa è considerata un'impresa che segna una tappa indimenticabile nella storia dell'alpinismo. Dopo cinque giorni di arrampicata su verticalità assolute e con punti di ancoraggio aleatori, Bonatti si trova di fronte a una parete insormontabile.

Non c'è possibilità di traversare a destra o a sinistra in quanto la roccia è troppo liscia e non è possibile nemmeno ritirarsi in doppia, a causa delle caratteristiche della parete appena superata.

Bonatti collega tutti i cordini e il materiale da roccia che ancora gli resta a formare un grappino da lanciare alla fine di un lunghissimo pendolo. Lo tenta almeno una decina di volte e alla fine riesce a uscire dalla situazione di stallo e a raggiungere la vetta.

Dopo l'impresa del Cervino, che gli vale la Medaglia d'oro della Presidenza della Repubblica, a soli 35 anni, Bonatti si ritira dall'alpinismo estremo.

walter bonatti cover fb copySuccessivamente decide di trasferire il suo alpinismo estremo dalla verticalità delle pareti alle distese del mondo orizzontale, alla ricerca di una propria ragione d'essere, di un modo di vivere a misura d'uomo.

Il confronto leale con la natura rimane perciò elemento imprescindibile dal quale ripartire per i viaggi d'esplorazione in tutte le terre del pianeta, portando a conoscenza di molti, durante la lunga collaborazione con il settimanale Epoca (durerà fino al 1979), ciò che pochissimi potevano vivere.

La sua filosofia nell'affrontare un viaggio sarà sempre: storia, paesaggio naturale e avventura personale devono divenire un'unica cosa, devono fondersi così da vivere nella natura esperienze per ogni uomo uniche.

Nel 1965, tra maggio e luglio, Bonatti discende in canoa per 2500 km i fiumi Yukon e Porcupine (affluente), attraversando i territori del Klondike e dello Yukon (Canada e Alaska). 

Nel 1966 Bonatti si trova in Africa e sale il Kilimangiaro in Tanzania e in Uganda esplora il Ruwenzori ripercorrendo il percorso del Duca degli Abruzzi del 1906 e raggiungendone la cima. Inoltre, attraversa un territorio selvaggio di 1200 km da solo per provare la convivenza pacifica con gli animali feroci.

Nel 1967 Bonatti giunge sull'Alto Orinoco ed entra in contatto con la popolazione indigena dei waikas Yanomami. 

Con due spedizioni (1967 e 1978) andrà alla ricerca delle sorgenti del Rio delle Amazzoni.

Nell'ottobre 1968 si reca a Sebanga, nell'isola di Sumatra per studiare il comportamento della tigre al cospetto dell'uomo ed entra in contatto con i sakai, una popolazione di aborigeni provenienti originariamente dalle giungle malesi.

Nel 1969 visita le Marchesi, dove ripercorre nella giungla il viaggio-fuga di Melville (dai più ritenuto una semplice invenzione a fini novellistici), quando era scappato dall'imbarco della baleniera dove prestava servizio, ed era poi stato prigioniero dei cannibali. Ritrova i luoghi precisi narrati da Melville e comprova la veridicità di tale storia. 

Nel 1970 è a Capo Horn, sempre in solitaria. Sale anche il monte Aconcagua (6957m) la cima più alta delle Ande. 

Nel 1971 è in Australia, dove esplora il "centro rosso" e le sponde orientali del Lago Eire, nel Deserto Simpson. Nello stesso anno esplora per 500 chilometri i fiordi della Patagonia. Parte dalla Penisola di Taitao per arrivare fino alla Laguna di San Rafael, alla testata del ghiacciaio. Sempre nel 1971, col suo compagno Folco Doro Altan con cui ha già scalato le vette patagoniche nel 1958, naviga lungo l'intero corso del fiume Santa Cruz dal Lago Viedma fino all'Atlantico, con l'intento di ricordare la prima esplorazione del geografo Francisco Moreno avvenuta nel 1877, seguita a quella nel 1834 del giovane Charles Darwin che aveva dovuto rinunciare all'impresa dopo ventun giorni per le difficoltà incontrate nel risalire con le scialuppe del Beagle l'impetuosa corrente. 

Nel 1972 è in Zaire e in Congo, sul vulcano Nyiragongo e tra i pigmei.

Nel 1973 Bonatti decide di ripercorrere un celebre itinerario fluviale nelle regioni dell'Amazzonia venezuelana, quello compiuto tra il 1799 e il 1804 dal barone Alexander von Humboldt, descritto nei trenta volumi del “Viaggio nelle regioni equinoziali del Nuovo Continente”. L'avventura durerà due mesi e si snoderà lungo i corsi d'acqua Adabapo, Casiquiare, Padamo ed il grande Orinoco, a bordo di diverse imbarcazioni in uso nella zona. Le impressioni che ne ricaverà Bonatti sono sorprendentemente simili a quelle che Humboldt scriveva 174 anni prima nel suo diario. 

Nel 1974 è in Nuova Guinea tra i Dani.

Nel 1975 è sulle Terre Alte della Guayana.

Nel 1976 è in Antartide, dove esplora le Valli Secche McMurdo, con il prof Carlo Stocchino, oceanografo e meteorologo del CNR, leader della spedizione, il dott. Ivo Di Menno, tecnico elettronico, l'amm. Enrico Rossi, idrografo e ufficiale di Stato Maggiore della Marina Italiana e l'alpinista neozelandese Gary Ball.

Nel 1978 torna in Sudamerica, alla ricerca delle sorgenti del Rio delle Amazzoni. Trovandole dimostra l'errore di una precedente spedizione che ha cementato una targa commemorativa che segnala le sorgenti in un luogo sbagliato. 

Nel 1985-1986, con due compagni, ritorna in Patagonia sullo Hielo Continental, con l'intento di compiere una spedizione in completa autosufficienza, procurandosi il cibo lungo il percorso e senza utilizzare mezzi di trasporto. Ma le difficoltà si fanno insuperabili risultando impossibile procurarsi il cibo senza contravvenire ai divieti di caccia imposti dalle autorità (non potendo vivere di pesca perché tutte le acque della Patagonia sono oligotrofiche, cioè prive di qualsiasi forma di vita). I tre componenti del gruppo sono costretti a rinunciare a proseguire con il loro proposito originario e la spedizione assumerà per forza di cose caratteristiche alpinistiche, impegnandosi nella salita ad una vetta inviolata, alla quale verrà conferito il nome di Punta Giorgio Casari, in ricordo di un amico scomparso.

Quando nel corso dell'estate 2011 fu diagnosticato a Bonatti un cancro al pancreas, Rossana Podestà, sua compagna, scelse di tenergli nascosta la notizia per timore che egli si suicidasse.

"Il Re delle Alpi" muore nella notte tra il 13 e il 14 settembre 2011 all'età di 81 anni. 

“Il bello dell’avventura è sognarla, dare aria all'immaginazione, poi si potrà anche tentare di dare materia ai propri sogni.”

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