Milano è una città grigia, frenetica, fittamente edificata e popolata. Milano si sveglia alle 6 e alle 7 già lavora, sfreccia per le strade, pronti via, col mondo in pugno. Patria della finanza, dell’economia e della moda, spesso non sorride — o sembra non farlo.
Molti turisti, abituati a città tiepide e mitigate dal mare, trovano Milano arida; molti pendolari, che arrivano da zone più tranquille e ordinate, la percepiscono caotica e poco accogliente. È vero: la capitale ad honorem del Nord è veloce, imprevedibile. Ma nel suo vociare confuso, tra le ombre che la disegnano, Milano ci parla. E a Natale, sì, ci sorride anche: allunga le sue vie fumose verso tutti noi per stringerci in un abbraccio di luci e colori, in un sogno delineato da Boccioni. Vivere a Milano è un po’ come trovarsi in “Rissa in Galleria”: caos che prende ordine, energia liquida e tempo compresso, alla ricerca di un futuro che è già presente.
Natale in centro: desideri dietro una vetrina
Passeggio per le vie del centro, la gente si affolla vicino alle vetrine e gira vorticosamente nei negozi. Dalle vie del Lusso ai megastore, il comun denominatore è uno: naso appoggiato alle vetrate, occhi lucidi e poi una dignitosa retromarcia sul corso principale. Eh già, brutta storia questa crisi!
Voi direte: che scoperta! Se da anni, per far tornare il bilancio familiare, ci si “veste a lutto”, nel 2012 — e non solo — siamo arrivati a fare i conti “in mutande”. Mutuo, tasse, assicurazioni, spesa, scuola dei figli… e quando restano gli ultimi 10 euro della tredicesima, ecco l’ultimo salasso: luce, riscaldamento, spese condominiali. Quest’anno niente regali: scusateci, ma i 5 watt delle lucine dell’albero ci hanno dissanguato!
Lettera (ironica) a Babbo Natale
CARO BABBO NATALE… abbiamo un piccolo problema: quest’anno non vorremmo tanti pacchetti sotto l’albero, ci basterebbero tanti biglietti… da 100, 200, 500 euro e qualcuno in bianco — al conto corrente pensiamo noi!
Sospiriamo, benestanti e meno benestanti, desolatamente. Tutto l’anno si lavora, si corre per fare e guadagnare, dilatando le giornate a 36 ore per poi non riuscire a mettere via quasi nulla. No, non è materialismo e non è un inno al consumismo natalizio: se tutto l’anno “tiriamo la cinghia”, poter fare almeno a Natale un piccolo regalo a una persona cara è il nostro modo per dare senso a tante corse quotidiane.
Donare è un modo per regalare un sorriso, per farsi perdonare il tempo perso. Non poterlo fare fa sentire inutili e insufficienti. Ma poi alzo lo sguardo: chi esce a mani vuote non è solo — scherza col partner, ride con gli amici, morde una brioche “da passeggio” con i genitori. La crisi ci ha derubato della forma, non della sostanza: gli affetti restano, e sono più veri.

Sul sagrato del Duomo: oltre il prezzo, il valore
Mi siedo sul sagrato del Duomo. Georg Simmel, in La filosofia del denaro, spiega come abbiamo imparato a trattare cose e persone con una giustizia formale che a volte sconfina in durezza spietata: il denaro riduce ogni qualità a una domanda: quanto? Eppure la risposta, per la vita di ognuno, è: tanto. Molto più di quanto la crisi potrà portar via.
CARO BABBO NATALE… visto che sarà difficile sfamare tutti, se finisci banconote e assegni, portaci un po’ di coraggio e perseveranza. Noi ci metteremo quel che di cuore ci resta.

