Garegnano e la sua Certosa
Chi esce da Milano utilizzando il cavalcavia del Ghisallo, collegato alle autostrade dei Laghi e alla Torino–Venezia, non potrà notare un curioso edificio di foggia rinascimentale seminascosto ai margini della strada.
Si tratta delle Certosa di Garegnano, una delle più belle e meno note architetture religiose dell’epoca Viscontea.
La sua origine risale al 1349, quando l’allora signore di Milano, Giovanni Visconti, donò un apprezzamento di terreno che si trovava al di fuori delle mura della città a un piccolo gruppo di monaci cistercensi, decisi ad aiutare gli abitanti del Bosco della Merlata, che faceva parte della strada postale che collegava Milano a Gallarate e Varese e che era continuamente battuta da ladri e briganti, che aggredivano i mercanti in viaggio verso la Brianza.
In poco tempo il piccolo monastero divenne un punto di riferimento per i pellegrini e gli abitanti della zona, tanto che nel 1353 vi venne a far visita al fratello Gherardo, che si era fatto monaco, il poeta Francesco Petrarca, con il suo amico San Bernardino Da Siena.
Con la morte improvvisa, nel 1354, di Giovanni Visconti, i suoi terreni vennero suddivisi tra i suoi tre nipoti, Matteo II, Galeazzo II e Bernabò.
Poco tempo dopo Matteo morì misteriosamente, forse avvelenato dal suoi fratelli, e le sue proprietà vennero suddivise tra Bernabò, diventato signore di Milano, e Galeazzo, che nel 1367 assistettero alla consacrazione definitiva della Certosa.
Per tutto il Quattrocento l’edificio ricevette molti doni e speciali sanzioni, da parte prima del Visconti e poi dagli Sforza, che collaborarono nell’ampliamento della biblioteca locale, con rari e preziosi volumi e un laboratorio per il restauro.
Nel Seicento il complesso venne modificato in stile barocco, mentre i monaci dovettero abbandonare tutto nel 1782, quando Giuseppe II fece abolire tutti gli ordini contemplativi.
Mentre i vari edifici venivano venduti all’asta o adibiti ad uso militare, la chiesa nel 1784 divenne la parrocchia di Garegnano, per poi, nel 1923, essere inglobata nel territorio del comune di Milano.
All’edificio si entra tramite un portone monumentale, che conduce al rinascimentale Cortile delle Elemosine, dove un tempo, a destra, si trovano la foresteria e la portineria, oggi andate distrutte dopo la soppressione napoleonica.
La pianta della chiesa è a un’unica navata, che si suddivide nei cori dei monaci e del conversi, oltre ad avere un piccolo presbiterio, il tutto con affreschi di Daniele Crespi sulla storia dei Certosini e a quelli barocchi di Simone Peterzano.
Sulla facciata in stile barocco della chiesa, divisa in tre ordini, si possono ammirare una serie di coppie di paraste in granito divise da capitelli in pietra gialla d’Angera, oltre a pregevoli statue, decorazioni e bassorilievi.
Nel complesso vi è anche un chiostro piccolo, dove visse negli ultimi anni della sua vita il nobile milanese Galeotto Brivio, oltre a un refettorio e alla sala capitolare.
Attigui alla Certosa ci sono anche vari locali che erano condivisi dalla comunità, come il forno del pane, il torchio del vino e le stalle.