Cannabidiolo e cannabis: cosa dice la legge italiana in merito?
Poiché a Oggi non esistono delle leggi esplicite che regolamentano l’uso del cannabidiolo (CBD), è giusto chiedersi se questa sostanza sia legale o no.
Per non infrangere la legge, è tassativo acquistare prodotti che abbiano un bassissimo contenuto di tetraidrocannabinolo (THC). In questo caso, è possibile trovare online la migliore canapa light su Justbob.
Contrariamente a quanto alcuni affermano, il CBD non è una droga: si tratta piuttosto di una sostanza che presenta svariati benefici.
Ma vediamo di fare maggiore chiarezza in merito.
In questo articolo esamineremo il quadro normativo di riferimento e la situazione attuale alla luce della recente bocciatura della proposta del referendum.
Il CBD è legale? Ecco cosa dice la normativa italiana
CBD: farmaco che dà dipendenza o sostanza sicura?
Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 309 del 1990 è sicuramente una tra le normative principali a cui si fa riferimento in materia di cannabis.
Il cosiddetto Testo Unico degli Stupefacenti raccoglie al suo interno una classificazione completa ed esaustiva di farmaci e sostanze psicotrope.
Se dapprima queste ultime erano agevolmente divise in due tabelle, alcuni anni fa sono state apportate delle modifiche nel sistema di classificazione.
Al momento, ci sono cinque tabelle, quattro delle quali contengono la lista di tutte le sostanze stupefacenti (inclusa la cannabis indica). La quinta, chiamata ‘Tabella dei medicinali’, è a sua volta divisa in cinque parti e raccoglie tutti i farmaci in ordine decrescente sulla base del loro potenziale abuso.
Con questa riclassificazione, il Ministero della Salute aveva emanato il decreto dell’1 ottobre 2020 in cui catalogava il CBD nella sezione dei medicinali che possono causare uno stato di dipendenza psicofisico e che quindi si possono reperire con previa ricetta non ripetibile.
Dopo nemmeno un mese però, è lo stesso ministero a fare marcia indietro, facendo tirare un sospiro di sollievo ai venditori di CBD.
OMS e WADA: il CBD non causa dipendenza
Secondo alcuni studi condotti dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) è emerso che il CBD è una sostanza sicura e naturale, incapace quindi di causare dipendenza nei pazienti che la consumano. Addirittura, sono numerosi gli effetti benefici riscontrati (seppur ci sia bisogno di ulteriori approfondimenti).
Queste affermazioni entrerebbero indubbiamente in netto contrasto con quanto affermato dal Ministero della Salute.
Come se non bastasse, la World Anti-Doping Agency (WADA) ha deciso nel 2018 di eliminare il cannabidiolo dall’elenco delle sostanze stupefacenti, garantendo il consumo agli sportivi nel pieno rispetto della legge.
È emerso da varie analisi che l’olio di CBD sarebbe benefico proprio per dolori di natura muscolare di cui soffrono gli atleti dopo un particolare sforzo fisico.
Ad avvalorare la tesi è infine la sentenza emessa dalla Corte Europea nel 2019. Due imprenditori sono stati scagionati dalle accuse di aver venduto delle sigarette elettroniche con del liquido a base di CBD.
È stato decretato che “uno Stato membro non può vietare la commercializzazione del cannabidiolo legalmente prodotto in un altro Stato membro, qualora sia estratto dalla pianta di Cannabis sativa nella sua interezza e non soltanto dalle sue fibre e dai suoi semi”.
Nonostante questi accadimenti sembrino in qualche modo andare a favore dei sostenitori della cannabis legale, la posizione del governo italiano sembra di tutt’altro avviso.
Perché la Corte Costituzionale ha rifiutato la proposta di depenalizzazione della cannabis
Non tante settimane fa, la Consulta ha rifiutato la proposta di referendum per la depenalizzazione della cannabis.
Ma cos’è andato storto?
Com’è possibile che dopo aver raccolto più di 630 mila firme la proposta non sia andata a buon fine?
Il presidente della Corte Costituzionale dichiara alla stampa che non era possibile accettare il quesito referendario perché si riferiva anche alle droghe pesanti. Se lo avessero fatto, ci sarebbe stato il via libera per il commercio di ogni sostanza stupefacente.
Andiamo con ordine.
La proposta era di apportare una modifica all’articolo 73 del Testo Unico degli Stupefacenti che, lo ricordiamo, recita così:
“Chiunque, [...], coltiva, produce, fabbrica, estrae, raffina, vende, offre o mette in vendita, cede, distribuisce, commercia, trasporta, procura ad altri, invia, passa o spedisce in transito, consegna per qualunque scopo sostanze stupefacenti o psicotrope [...], è punito con la reclusione da sei a venti anni e con la multa da euro 26.000 a euro 260.000”.
I sostenitori del referendum chiedevano di eliminare il verbo ‘coltiva’ dalla lista delle attività legalmente punibili. Così facendo si sarebbe ottenuta la depenalizzazione della cannabis.
Ma secondo Amato, questa eliminazione avrebbe permesso di produrre sostanze stupefacenti come papavero e coca, violando in questo modo gli “obblighi internazionali”.
D’altro canto, alcuni replicano che il verbo in questione può riferirsi ad altre piante, ma la cannabis è l’unica da cui poter ricavare una sostanza senza altre procedure, come ad esempio la raffinazione.
Se dunque la coltivazione di canapa permette lo sviluppo di infiorescenze di marijuana a base di CBD, dalla sola coltura di papavero non sarà possibile ricavare direttamente dell’eroina.
Conclusioni
In questo articolo si è parlato del quadro normativo italiano sulla legalità della cannabis e sul CBD.
Si è visto come diversi organi europei stiano prendendo una strada a favore dei suoi sostenitori, mentre l'Italia si trova ora in una condizione di ‘stand-by’.
La speranza è che il governo decida lentamente di adeguarsi e di riconoscere che il consumo di cannabidiolo a uso terapeutico e personale può apportare numerosi benefici e che quindi non lo si può considerare pericoloso.