Diario da un ordinario periodo di… lockdown: 5 aprile 2020
Rieccomi di nuovo,
siamo entrati in aprile, in quello che ci ricorderemo come il nostro secondo mese di “distanziamento sociale”.
Molte cose cambieranno, come avevo già scritto, e come continuo a ribadire. Non sta a me dire se “nulla sarà più come prima” o se “tutto, pian piano, riprenderà come prima, rispettando le norme adottate in questi mesi”, ma di sicuro bisognerà fare tesoro di quello che stiamo compiendo, per non ripetere gli errori alla prossima situazione di emergenza.
Parto su questo spunto, citando una delle foto iconiche della settimana, quella fila ordinata di persone in attesa di entrare in un grande supermercato di Prato, scattata da un ignoto autore e diventata subito popolarissima sui social, anche grazie a un celebre scrittore. Una fila ordinata, che stona, quasi, con lo stereotipo che, di noi italiani, hanno spesso all'estero, ovvero di chi rispetta poco le file o le fa, sempre o quasi, senza una regola ben precisa. Di questi tempi succede anche ciò. File chilometriche per entrare nei supermercati, ma sempre tenendo un metro di distanza, oltre che con i guanti e con la mascherina che, almeno qui in Lombardia, da ieri sono obbligatori. Scene analoghe a quelle che noi non abbiamo mai visto, ma che i nostri nonni ci hanno raccontato, avvenute durante la Seconda Guerra Mondiale, per procurarsi generi di prima necessità
Parlando di nonni, verrebbe spontaneo pensare a quel triste dato che, ogni giorno, rimbalza su giornali e social: una generazione sta scomparendo. Il coronavirus si sta portando via tantissimi anziani, che sono la nostra memoria storica. Senza memoria cosa possiamo diventare? Fortunatamente ci sono anche casi che ci danno speranza, come quelli di alcuni ultranovantenni guariti dal virus, ma tanti sono quelli che se ne stanno andando: personaggi famosi, come l’architetto Vittorio Gregotti, come il grande disegnatore di Asterix, Albert Uderzo, o come l’ex portiere dell’Atalanta, Zaccaria Cometti, ma anche tanti uomini e donne comuni. Leggere le loro storie è quasi una versione contemporanea della famosa Antologia di Spoon River, del poeta americano Edgar Lee Masters.
Vorrei concludere con una nota di speranza, legata a una foto divenuta, anch'essa, iconica in questi giorni. L'immagine è stata scattata all'interno dell'ospedale di Niguarda di Milano, e rappresenta un neonato che dorme nella sua culla a pancia in giù. Sul suo pannolino, è stato disegnato un arcobaleno accompagnato dal motto "Andrà tutto bene", divenuto simbolo della resistenza al coronavirus. Tanti se ne vanno, ma c’è anche chi nasce, durante questa emergenza: questo piccolo appena venuto al Mondo è simbolo di vita e speranza, segno che dobbiamo andare avanti, e non fermarci. Come recita il post condiviso su Facebook sulla pagina dell'Ospedale, "Più forte di tutto c'è la vita! Benvenuti a tutti i bimbi che stanno nascendo in questi giorni difficili... Siete la prova che la vita non si ferma"
Alla prossima!
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