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GayPride Milano: il senso di una provocazione

gaypride2015Ed ecco alla fine che, a poche ore dall'emissione della sentenza della Corte Suprema americana con cui le nozze gay sono diventate un diritto in tutto il territorio U.S.A., il GayPride è giunto anche da noi, dove ancora si lotta con le unghie e con i denti per il riconoscimento di qualche tutela fondamentale.

Il 27 giugno a Milano, un tripudio di bandiere arcobaleno ha accompagnato i carri e la folla da piazza Duca d’Aosta fino a Porta Venezia, mentre parate gemelle avvenivano a Palermo, Torino, Perugia, Cagliari, Bologna e in tante altre città d’Europa. Marchi come Google e Microsoft hanno sfilato insieme alle associazioni e ad alcuni movimenti politici (Radical Italiani, M5S, Sel). Spiccano, se non altro per originalità, coloro che hanno organizzato lo sciopero dei fiori d’arancio, promosso da coppie etero che, considerandosi privilegiate, dichiarano di non sposarsi fino a che non verrà approvato il matrimonio egualitario per tutti.

Varie personalità hanno poi fatto sentire la propria voce, prima fra tutte il sindaco Giuliano Pisapia e l’assessore Pierfrancesco Maiorino. Non è mancato l’ospite vip, l’ex calciatore Alessandro Costacurta ha infatti prestato la sua notorietà per fare un appello contro l’omofobia nello sport. Sul palco è stato anche ricordato che quest’anno parte dei guadagni delle varie iniziative della PrideWeek saranno devoluti alle associazioni che si occupano di accoglienza profughi.

Nel frattempo, mentre da corso Buenos Aires si propagava un clima di festa sulle note di “It’s raining man”, a poca distanza, i manifestanti di ForzaNuova constatavano il flop generale del loro FamilyPride a piazza San Carlo.

Questo è stato il GayPride di Milano. Ma perché si fa il GayPride?

Ci sono sempre, anche tra gli stessi omosessuali, quelli che si lamentano dell’organizzazione dell’evento. Quelli che dicono che sono d’accordo con i diritti per i gay, con il matrimonio omosessuale, ma per cui il Pride in sé urta la sensibilità della gente perché è una carnevalata e danneggia la stessa causa che, di per sé, avrebbe un fondamento nobile. A onor del vero bisogna dire che quello di quest’anno a Milano è stato forse il Pride più sobrio degli ultimi tempi. Detto ciò è nella natura di questa manifestazione che ci sia anche qualcosa di anticonvenzionale. Ricordiamo che il motivo per cui si organizza l’evento in questo periodo è che il 27 giugno 1969 a New York, per la prima volta i clienti e il personale del bar gay di Stonewall Inn, comprese drag queen con piume e tacchi a spillo, fecero resistenza all’ennesima retata della polizia. Questo episodio segnò simbolicamente l’inizio del movimento di liberazione omosessuale.

Inoltre “pride”, come tutti sanno, vuol dire “orgoglio”, parola che implica di per sé la volontà di affermarsi e non di omologarsi. Il riconoscimento giuridico della diversità non va infatti confuso con l’appiattimento delle differenze, ma va inteso invece come la loro accettazione e semmai maggior libertà generale. Parliamo quindi di una manifestazione che pretende, in cui il messaggio non è:” siamo come voi, per favore accettateci”, ma è piuttosto “noi siamo così, accettateci!”. Se si parla di accettare qualcosa, non si implica che questa debba per forza piacere o essere condivisa, ma semplicemente che venga rispettata. Nel caso del GayPride, oltre che rivendicare l’uguaglianza dei diritti civili, pretendere di essere accettati vuol dire che nessuno è legittimato a offendere o usare violenza contro una persona omosessuale per ciò che è o per come si veste. Il principio può essere spiegato con un esempio forse più vicino alla sensibilità di ognuno di noi: se una donna viene abusata sessualmente, il fatto che fosse andata in giro in minigonna o abiti succinti non può essere un'attenuante per chi l’ha molestata. Quando succedono queste cose in Italia si sentono spesso discorsi che hanno come sottotesto: ”se l’è andata a cercare”.  Il GayPride esprime la libertà di essere se stessi e questo non può che portare all’eterogeneità, sia nei modi talvolta anche eccessivi che i telegiornali amano riportare, che in quelli pacati che in genere rappresentano la maggior parte dei cortei.

D’altronde la piazza non è il luogo della mediazione, per quello c’è il parlamento.

Giacomo Vitali

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