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Il mio ricordo di Coca Frigerio: la storica collaboratrice di Bruno Munari che ci ha lasciato in questi giorni

img coca frigerioE’ scomparsa il 31 Maggio, pochi giorni prima di compiere 86 anni, che avrebbe festeggiato oggi, Coca Frigerio, artista scenografa e illustratrice, storica collaboratrice di Bruno Munari e Lele Luzzati, autrice di libri per bambine e bambini. 

Ha collaborato dal 1986 con Alberto Cerchi, che è poi diventato suo marito e insieme hanno regalato alla città di Genova, dove sorge il loro studio, arte gioco, molte iniziative artistiche. cocafrigerio alberto cerchi

Negli anni hanno progettato e realizzato percorsi darte, con laboratori di formazione, consulenze, mostre e relativi libri.  Laboratori creativi munariani in varie regioni d’Italia, progetti per scuole e musei, collaborando con la rivista Dada, specializzata sulle tematiche della didattica creativa.

Autori per Erga della collana “Arte e Gioco”, hanno collaborato con Gianni Soletta, (pittore, artista e grafico di Erga per anni),  e Coca ha dedicato a Bruno Munari il prezioso volume  "Munari, 100 idee in 100 pagine"

“Dovevamo fare un libro testimonianza su di lei, - dice Marco Merli - magari è già scritto in un cassetto, e cercheremo di realizzarlo assieme ad Alberto Cerchi, suo compagno di vita”. 

Qui di seguito il mio ricordo su questa straordinaria artista: Coca Frigerio. 

img cocafrigerioalbertocerchiAvevo da poco ultimato la mia tesi di laurea su Bruno Munari  “Fantasia, qualcosa che vale”. Era il 2004.  D’accordo con il mio tutor Ermanno Detti e la Casa editrice  “Valore Scuola” dovevo fare un’intervista per la sua rivista  a questi due  grandi artisti.

Alberto Cerchi e Coca Frigerio erano infatti, tra i soci fondatori di Giocare con larte, associazione nata per volontà di Bruno Munari nel 1976 e proseguita per diversi anni.

Mi recai quindi a Genova e grande fu la sorpresa quando seppi che loro non solo mi avrebbero ospitato nel loro studio in Vicolo del Ferro ma mi avrebbero permesso di aiutarli nella “Biennale Bambini Genova 2004”, che stavano organizzando . L’iniziativa si sarebbe svolta  dal 23 maggio al 6 giugno 2004 nell'ambito delle manifestazioni di "Genova, città d'arte2004. Il capoluogo della Liguria era quell’anno capitale europea della cultura. 

Avrebbero coinvolto le scuole dinfanzia nel progetto, con pubblicazione e mostra a S. Maria di Castello. 

Restai un po’ di tempo con loro. Vederli lavorare, aiutarli fu per me un onore. autografo coca
Tutto in loro era arte e creatività allo stato puro. Ogni cosa nelle loro mani si tramutava in nuova idea e nuovo progetto. Ogni giorno ero ubriaca di stimoli e felicità.img 9901

Organizzavamo i laboratori la mattina all’interno del Chiostro di Genova di S. Maria in Castello, dove venivano a trovarci scolaresche di bambini curiosi. Ogni insegnante sviluppava  un proprio percorso visivo, applicando le tecniche apprese e trasmettendole ai bambini. Il risultato era evidente visitando la mostra: ogni pannello rispecchiava il lavoro di una classe e non vi erano due esempi uguali in tutto il percorso. Questo fatto era indicativo della metodologia di Bruno Munari di cui Coca Frigerio e Alberto Cerchi continuavano la tradizione. Coca e Alberto non si stancavano mai.  Ricordo che stavamo li a curare laboratori e allestimento tutto il giorno fino a tarda sera. Un giorno Coca mi portò con lei a fare un giro per i vicoli della Genova vecchia , ricordo il suo sguardo attento a cogliere i particolari della sua amata città e  mostrarmeli.Fu un vero viaggio nella storia dell’arte, tra carruggi e palazzi a cercare volti e affreschi nascosti.

In  ogni città- mi diceva- ci sono tante città invisibili secondo i punti di vista dell’occhio di chi guarda.img genova

A Genova c'è una città che si vede solo dall'alto, dall'ascensore di Castelletto: profili di ardesia grigi e cordonature di tegole color mattone, cupole e campanili, in lontananza il mare e le sue navi che passano in continuazione. La città vista dal basso nasconde invece i giardini dei palazzi sui terrazzi e nei cortili interni, le “grottesche" e i camminamenti esterni, le facciate dei palazzi dipinte con figure allegoriche e rilievi di personaggi mitici che, visti da vicino, incombono su chi li osserva lasciando uno stupore che permane nella memoria”. 

Ricordo di lei la sua risata profonda, la sua dolcezza.  Di quei giorni ho in mano gli articoli che poi ne seguirono. In onore di Coca voglio riproporvi la parte di intervista che le feci.
Con tutto il cuore affinché arrivi sentito il mio grazie per quella stupenda esperienza che mi arricchì dentro, ispirò il mio lavoro futuro e mai dimenticherò.alberto cerchi coca frigerio

Questa intervista uscì nel settimanale “Valore Scuola” nel giugno 2004:

"Giocare con l'arte", il primo laboratorio di Munari per i bambini, rivive nelle scuole come metodo didattico.

-L'esperienza di Genova con Frigerio e Cerchi-a cura di Francesca Capri

Dopo essere rimasta a fianco di Munari come collaboratrice, Coca Frigerio ha continuato la sua strada, arricchita da questa esperienza:  ha avviato con Alberto Cerchi un'attività di laboratori dimostrativi nelle scuole materne, elementari e medie per la diffusione del«Metodo Munari'".

Il mondo di Coca Frigerio e Alberto Cerchi è Arte all'insegna della creatività. Attraversato da un gioco apparentemente semplice di immagini statiche o in movimento, in perenne trasformazione, originato da una didattica della Fantasia che arriva a chi è in grado di coglierne l'essenza.

Una didattica che deve la sua genesi all'estroso ingegno di Bruno Munari.

Siamo nel 1977 quando Coca Frigerio diviene coordinatrice del primo laboratorio di Munari "Giocare con l'arte". Un laboratorio rivolto ai bambini non per diventare artisti, né per imparare i segreti dei grandi maestri, ma solo per dare libero sfogo alla loro immaginazione e spontaneità, e attraverso il gioco dell'arte scoprire le regole della creatività.

Progetti, libri, mostre, eventi, la rivoluzione che Munari aveva iniziato, volta alla trasformazione di tutti quei comportamenti stereotipati ai quali siamo ancorati, sta continuando. Grazie all'opera senza sosta e creativa di questi suoi amati sostenitori.

Coca Frigerio, ci parli dei suoi percorsi creativi editoriali o di lavoro nei laboratori o in collaborazione con enti o con scuole?

Lavoro con Alberto Cerchi attraverso i nascenti laboratori ormai da quindici anni. La nostra attività principale èfare la formazione dei formatori.

Quest'anno, in occasione di Genova 2004 capitale europea della cultura abbiamo organizzato laboratori per bambini sulla moda di Rubens a Palazzo Ducale e una Biennale dei bambini che è una eloquente mostra sulle architetture di Genova costruite nei laboratori didattici, una mostra progettata con tutte le scuole con cui abbiano collaborato, istruendo gli insegnanti e andando direttamente nelle classi. Le nostre ultime proposte editoriali sono stati i libri  Arte e Gioco pubblicati da Erga, editore di Genova.  Ma non dimentichiamo quelli del passato, che sono stati una serie di libri sulle tecniche pubblicati da Giunti negli anni '90, e precedentemente, con l'editore Zanichelli, tutti i libri didattici primi in Italia nati dal 77-'78,quando è partita l'organizzazione del lavoro di Munari, di cui facevo parte come coordinatore.

Il libro "I segni" è stato proprio il primo della serie, sperimentato attraverso i nascenti laboratori del '77 sul gesto e sul segno in riferimento allarte. Poi seguirono quelli dedicati al paesaggio e i miei laboratori teatrali. 

Dal 1977 è iniziata, dunque, questa sua collaborazione con Munari. Come era l'uomo Munari, il suo temperamento, la sua idea di creatività?

Io ho intenzione di scrivere un libretto: "Bruno Munari: istruzioni per l'uso", spero di riuscire a farlo.

Come parlare di Munari?

Munari era un uomo semplice ma complesso, aveva le idee chiarissime e dava degli ordini molto precisi, per cui io non ho fatto nessuna fatica a fare il coordinatore dei suoi laboratori, ci siamo inventati via via il processo metodologico. Aveva degli altri collaboratori, ovviamente: Giovanni Belgrano e Piero Polato.

Il nostro gruppo era compatto ma non omogeneo, nel senso che ognuno era diverso dall'altro e questa era la caratteristica di Munari, che si avvaleva di temperamenti distinti e di criteri mentali diversi per avere uno sviluppo creativo più vasto, proprio perché nella diversità sta il confronto.

E' chiaro e lui lo diceva sempre: "Se tutti viaggiano sullo stesso metro di misura, si ottiene, sì, una linea retta, che però non ha varianti".

Infatti adesso che la "linea Munari" ha attraversato la nostra epoca, chi ha capito che il fatto creativo è un fatto di lavoro personale va avanti bene, chi invece non ha capito ripete.

lo mi rendo conto che vent'anni dopo, venticinque anni, trent'anni dopo, ancora tanti riprendono l'esempio che è stato fatto nel ‘78 nei laboratori di Munari: i colori, la prima storia del colore fatto di tanti colori, disegnare l'acqua piuttosto che colorare il cielo, eccetera. Ciò è un bene, basta che non si copi soltanto, ma si sperimenti: non si tratta solo di prendere lo stesso materiale, ma di analizzarlo fino in fondo e trarre da esso un personale percorso creativo.

Prendiamo l'esempio di una giapponese che riprende con una fotocamera un esempio visivo, poi cosa se ne fa? E' proprio questo: Tu copi, io reinvento, mi diverto di più, scusa! Cioè ti insegno come si fanno a guardare le cose, come si fa a guardare il mondo. E' chiaro che poi ognuno ha il suo metodo di interpretazione, per fortuna, e meno male! Perché altrimenti saremmo tutti fatti con lo stampino.

Una volta detto "si taglia una verdura e si fanno delle impronte inchiostrando, ad esempio, la cipolla piuttosto che il cavolfiore", è inutile continuare a rifare la stessa cipolla e lo stesso cavolfiore con gli stessi colori come ha fatto Munari, è demenziale e allora bisogna reinventare, come ha fatto lui.

Quando lui ha inventato Cappuccetto Verde era per provocare e ha ideato degli stampini meravigliosi che Danese ha tradotto in timbro e sono stati venduti, questa è stata un'operazione commerciale (chiaramente innovativa) per diffondere un'idea creativa.

Di Munari non c'è né in giro tanti, però attenzione, voglio dire che di persone creative che inventano una cosa che può essere utile e diffusibile non ce ne sono molte.

Quanti libri vediamo, quanti di questi libri d'arte che adesso usano esaminare l'opera d'arte per tradurla in immagine, in laboratorio, dicono qualcosa?

Pochissimi, zero. Si copiano, questa è la fesseria.

Allora se io sono un editore e invento il tascabile con qualche illustrazione, con una carta speciale, con una piegatura speciale poi me la copiano tutti, che senso ha?

Non si distinguono. Munari era una persona che faceva delle distinzioni nette con i suoi operatori, di cui mi vanto di essere stato il primo.

Insieme a Metta Gislon, che ha preferito dopo lavorare al comune di Milano per gestire altri laboratori e fare formazione, insieme a Marielle Muheim, che adesso fa l'esperta al Museo di Faenza. Insieme a Tonino Milite. 

Ci sono adesso gli allievi degli allievi: io lavoro da 15 anni con Alberto Cerchi, perché l'ho conosciuto che faceva una tesi su Munari, abbiamo fatto amicizia, lui è venuto nei miei laboratori ed abbiamo iniziato una collaborazione.

A vederci lavorare insieme ci si rende conto che il contatto tra me e lui è proprio la diversità: io taglio le cose in un modo diverso, attacco le fotocopie e lui non le vuole usare e fa il suo itinerario, è questo lo spirito: quello dell'andare insieme, percorrere un pezzo di strada ognuno con la propria libertà di interpretazione personale.

Per esempio, io conosco da trent'anni un certo Cavalli, l'ho conosciuto come scenografo, poi come animatore, mentre lavoravamo tutti e due in televisione (io facevo la scenografia dei pupazzi), adesso lui fa "Giocare con l'Arte" si messo in proprio con la sua famiglia per analizzare alcune opere d'arte, quelle che si prestano naturalmente ad essere tradotte oggettivamente. Ha fatto un'operazione intelligente. Poi dice che fa il metodo Munari, (insomma, bisogna vedere) perché Munari, parlava sempre di destrutturare l'opera d'arte per leggerla e leggerla nelle sue componenti e ha insegnato a tutti questa logica, che è la logica del design.

Il design cosa fa? Separa materiali, strumenti, funzioni e usi.

Con Munari abbiamo lavorato sempre con questo sistema, che chiaramente, se si applica nella scuola media per fare interpretare la lettura dell'opera d'arte (che comprende l'architettura, comprende la pittura, le tecniche, eccetera) funziona in un certo modo, se si fa all'asilo, come questo esperimento che abbiamo fatto della Biennale dei bambini, produce degli altri produce degli altri risultati. Sono ottimali in tutti i sensi, ottimali diversi, nel senso dell'educazione all'immagine che si lascia come eredità alle insegnanti.

Per cui la formazione dei formatori avviene su un tirocinio ben preciso di analisi, che è quella di tipologia munariana. Potrei dire, in effetti, che Munari è stato stranamente il  primo artista autodidatta che ha voluto creare degli autodidatti nella didattica (adesso sembra una follia quello che sto dicendo) non ci aveva mai pensato nessuno, cioè nessuno voleva insegnare sé stesso, lui invece voleva insegnare il metodo di lavoro che aveva appreso facendo il designer più che l'artista o l'artista e il designer contemporaneamente.

Artista, designer, educatore a tal punto da riuscire a portare il design anche nella didattica, Munari è stato prima di tutto un futurista. Lei vedeva nell'uomo Munari e nel suo ideale pedagogico di educazione passato futurista?

 O dadaista…

Dunque Munari diceva : "Io sono l'ultimo futurista del passato vivente nel presente".

Direi che la mentalità futurista forse non l'ha mai abbandonato.

Se andiamo ad analizzare che cosa è stato il Futurismo, è chiaro che Munari è diventato futurista dopo il 1907, e da tardo futurista ha ripreso, nell'analisi del lavoro il vedere da punti di vista diversi che è tipico del primo futurismo.

Una citazione zen che lo accompagnava era: "L'unica costante della vita è la continua mutazione".

E Munari era infatti un po' giapponese nell'analisi, nella puntualità, nella ripetizione e nella stilizzazioni del segno, ma come futurista tagliava, sconvolgeva, rompeva i piano e gli stereotipi. 

Munari credeva alla mutazione continua degli intenti: così nasce il discorso futurista della macchina che si muove nello spazio, delle cose apparentemente inutili, dell'animazione (animazione che troviamo anche nel futurismo).

Un'altra caratteristica di Munari è l'idea del progetto. Per lui progettare un laboratorio, progettare una scatola, progettare degli oggetti, progettare un libro, progettare le sue stranissime librerie, era sempre la stessa cosa: una questione di osservazione, di analisi dei materiali, di analisi dello spazio, funzioni e uso.

Se uno non entra in questa dimensione non capisce Munari, non capisce, ad esempio, perché ha fatto i quadri a esagoni moltiplicati per l'infinito, porzione dello spazio, non capisce perché si è messo a scrivere libri.

C'è un testo che ha raccolto Finessi intitolato "su Munari" dove ognuno di noi ha scritto un breve articolo riguardo questo eccezionale personaggio, io ho parlato del suo fare i libri per il figlio all'inizio della sua storia, perché l'aveva detto lui, me lo ricordo benissimo, che fino alla nascita di suo figlio i bambini erano degli sconosciuti poi improvvisamente, come spesso succede, ha cominciato a capirli.

Ha iniziato a voler dare in funzione di, e perciò come esperto di immagini ha tirato fuori quelle storielle meravigliose tra cui la più semplice è quella del pesce con le corna tratta dal libro "Mai contenti" tutta la serie vista alla rovescia dell'antropologo, che è una bizzarria: si scambiano i ruoli il pesce vuol mettere le corna e la mucca vuole avere le squame, eccetera.

Questa è anche la sua filosofia- io terrei presente quel librino che è straordinario-, è proprio la sua filosofia: la filosofia degli scambi, delle interculture.

Cosa sopravvive oggi della rivoluzione che Munari riteneva possibile lavorando "onestamente" con la mente del bambino?

Direi che, per fortuna, in questi venti anni si è sviluppato in una maniera enorme il concetto che l'immagine non solo serve, non solo è necessaria, ma proprio porta cultura; perché più che vedere, più che osservare, più che conoscere tramite le mani allora io guardo, osservo, ma penso e faccio, è stata la regola di Munari che hanno colto tutti. Tradurre l'immagine dell'arte in conoscenza personale.

Direi che il suo messaggio è andato a segno e speriamo che perduri nel tempo. 

Ha un ricordo particolare d Munari che le è rimasto impresso?
Ho dei ricordi assolutamente molto belli, perché ci vedevamo ogni tanto nel suo studio.

Mi ricordo che una volta siamo andati nella sua casa di campagna di Monte Olimpino e a me aveva colpito molto questa sua idea dell'albero trasparente, uno scherzo che lui aveva fatto quando si era spezzato un piccolo albero nel suo giardino e lui aveva creato un gioco ottico che lo divertiva molto: nel punto in cui l'albero si era spezzato aveva messo una corda di plexiglas trasparente e l'osservatore che passava da dieci metri vedeva un albero che arrivava fino ad un certo punto, poi si interrompeva e poi continuava.

Questa cosa mi colpi molto, perché era un gioco visivo, un intelligente gioco di percezione visiva. Sempre c'è ancora l'albero e, guarda caso, c'è l'intervento di un materiale. E' un po' una sintesi: c'è il gioco e c'è anche chi ci sta dietro.

Quindi Munari anche negli ultimi anni della sua vita ha sempre saputo tirar fuori da se stesso la creatività?

Sì. Io ho un'immagine, l'ultima immagine che ho di Munari è molto bella e anche commovente: me lo ricordo nell'ultimo anno, non camminava perché aveva problemi e la cosa che mi colpì tantissimo era vederlo contornato di penne, pennarelli e tutto quello che aveva, come un bambino che tiene vicino tutti i suoi giocattoli lui aveva tutte le sue varie cose, per essere sempre pronto a fare uno schizzo, per essere sempre pronto a creare e sempre disposto ad imparare.

Un esempio giocoso per tutti noi.

Ritorno ad oggi e leggo nel giornale  il Secolo XIX le parole di Alberto Cerchi :Abbiamo vissuto la vita quando cera, dice commosso. Porterò le ceneri a casa nostra e, siccome voleva una piramide, ne farò una in ardesia. La creatività che lei ha insegnato al mondo sarà sempre parte di noi.  Grazie .  Buon viaggio Coca ti giungano i miei auguri. Con affetto.

Francesca

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