Rogoredo. L'oasi del disagio. Un inferno a 5 km dal Duomo
C’è un posto, a meno di 5 km da Piazza Duomo, il Salotto di Milano, che tutti conosciamo, ma di cui proviamo vergogna: Il boschetto della droga di Rogoredo.
A meno di 200 metri da quella che doveva diventare un’area residenziale esclusiva, e che oggi è una cozzaglia di casermoni informi, sorge una vasta area verde che non è il parco dove bimbi e nonni trascorrono i pomeriggi (come dovrebbe essere), ma il supermarket di droga più grande d’Italia.
Basta dare un’occhiata fuori dal finestrino dei treni che transitano dal vicino scalo ferroviario di Milano Rogoredo, per accorgersi di come quel bosco, apparentemente innocuo, sia una vera e propria “palestra del disagio sociale”.
Gente sporca di fango circondata dai cani, uomini e donne che fingono di sbagliare strada, ma che invece la strada la conoscono bene, spacciatori, prostitute, persone sole.
Questo è il popolo del boschetto che quotidianamente, 24 ore al giorno, calca i prati infangati di quella oasi del disagio.
Quel che acuisce il problema e che lo tinge di tragedia, è che la droga, di qualsiasi tipo, lì, costa poco più che un caffè.
In questi anni, quello spazio rubato ai cittadini, è stato strumentalizzato, violentato, banalizzato dalla peggior faccia della politica, diventando merce elettorale.
“Radiamolo al suolo”, “costruiamo un muro” “isoliamolo”.
Queste, le ricette, proposte.
Inutile dire che nessuna può essere risolutiva.
Da qualche mese, però, l’impegno di chi, concretamente, “serve il nostro Paese”, ha dimostrato che le soluzioni si trovano, senza voli pindarici, o chiacchiere da osteria (con tutto il rispetto per le osterie).
L’anno zero del boschetto di Rogoredo è avviato.
Grazie, infatti, allo straordinario impegno di forze dell’ordine, terzo settore, Croce Rossa italiana, Regione e Comune, Città Metropolitana, ora c’è un progetto che ha il sapore del riscatto.
Pattugliamenti capillari, e continui, presidi socio sanitari nelle aree adiacenti alla stazione ferroviaria, sono i mattoni su cui ricostruire la via del rilancio non solo dell’area ma, soprattutto di chi la popola.
E’ solo l’inizio, o forse non ancora, ma, il disagio sociale, le fragilità di cui la droga si nutre, si combattono, così.
Con la comprensione del fenomeno. E con l’azione mirata.
Chi frequenta cronicamente il boschetto, è tendenzialmente diffidente.
Perde le inibizioni solo quando cerca la carità, perché in astinenza.
Per questo risulta fondamentale l’approccio coordinato, messo in campo dalle forze dell’ordine, insieme al volontariato sociale; le due “facce sane” di un Paese, l’Italia, dove è persa ogni certezza, se non quella che nutriamo nelle divise, e nelle attività di volontariato.
Facciamo il tifo, tutti insieme, perché questo progetto possa restituire uno spazio verde ai bambini, o, a chi voglia passare una giornata in relax, e soprattutto possa dare un futuro alle migliaia di ragazzi che hanno perso la bussola della vita.
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