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STARE IN SILENZIO. Riflessioni dell'artista e scrittore Roberto Bombassei

roserobertobombassei

Viviamo in un mondo rumoroso, veloce e iperconnesso che ci toglie il più grande lusso che abbiamo: il silenzio. E, cosa più preoccupante, non facciamo nulla per riprenderlo. Perché ne abbiamo paura.

Stare in silenzio porta irrequietezza. È difficile stare in silenzio, soprattutto con noi stessi. Ci vuole coraggio per farlo e, ai più, questo non piace. Irrequietezza del silenzio perseguita l’essere umano da sempre.

Per questo che le persone devono rimanere sempre connesse, sapere l’ultima novità, gli ultimi pettegolezzi, per questo funzionano i social: per soddisfare il nostro bisogno di non stare con noi stessi.

Sbaglio? Non lo so.

Io amo il silenzio. Penso che il silenzio sia il nuovo lusso. Essendo un lusso è per pochi. Il silenzio è l’unico bisogno che le persone che vivono virtualmente non possono permettersi. 

Io amo il silenzio. Ne ho proprio bisogno. Il mio silenzio lo trovo dove voglio, quando voglio, quando mi fa comodo, quando lo desidero. È dentro di me.

Anni fa, entusiasta dei nuovi modi di comunicare avevo cinque o sei pagine di social attivi, che facevano migliaia di visualizzazioni al giorno. Ma, dopo qualche anno, feci su di me una ricerca: quanto tempo passo al giorno sui social?

Per me era lavoro, non divertimento. E scoprii che io, solo per pubblicare news o articoli vari passavo in media tre ore al giorno. Tre ore al giorno? Tre ore al giorno della mia vita utilizzate per pubblicare notizie? Era troppo. Chiusi tutto.

Non potevo permettermi di rinunciare a tre ore della mia libertà personale per diventare una “risorsa” non per la comunità ma per le aziende che gestiscono i social.

 

Meglio stare con me stesso, mi dissi. Riscoprii il silenzio. E, da allora, sono felice.

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