Primi vocabolari milanesi
Varon e Prissian, ovvero Capis e Biffi,
i due capostipiti dei linguisti milanesi
Vocabolari e dizionari non mancano alla cultura milanese, dal Francesco Angiolini, edito in Milano nel 1897, al Cletto Arrighi, (pseudonimo di Carlo Righetti, attore e commediografo) edito da Hoepli nel 1896, a un non meglio identificato lavoro del "Pinza", al secolo Otto Cima, al G. Banfi e ancora al quasi sconosciuto Gerardo Centemeri, che nel 1920 pubblica un dizionarietto ad «uso delle scuole e delle famiglie». Di tanto in tanto ne escono dei nuovi, con aggiunte, modifiche e regole ortografiche che si assumono il non facile compito di aggiornare una lingua antica e radicata.
Ma il primo, indiscusso ed insuperato, dal quale sono partiti ed hanno attinto tutti, è quello dato alle stampe dalla "Imperiai Regia Stamperia" nel 1839, opera insigne di Francesco Cherubini, riproposta, come sanno gli appassionati, da "Milano Sas Editrice", in una ristampa anastatica nel 1978. Non sono però in molti, anche tra i cultori di storia meneghina, a conoscere gli antichi studiosi che, con le loro pur primordiali fatiche, possono essere considerati, per ammissione del Cherubini stesso, gli autentici ispiratori dell'Autore di quest'opera basilare della nostra cultura.
Si tratta di due studiosi che, nel tardo Cinquecento, stamparono i primi lavori conosciuti sull'idioma meneghino.
Giovanni Capis, emerito anticipatore di studi etimologici sulla parlata milanese, con lo pseudonimo "Varon milanes", pubblicò in Milano nel 1606, per i tipi di Gio. Giacomo Como, il volumetto Varon de la Icngua de Milan, nel quale raccolse un abbozzo di vocabolario milanese illustrandone il significato e l'origine delle parole, correttamente traducendole in "lingua toscana".
Giovanni Antonio Biffi è l'autore de Prissian de Milan de la par-nonzia milanesa, pubblicato in contemporanea al Varon, con il dichiarato proposito di insegnare le giusta pronuncia del dialetto milanese.
Il Capis ed il Biffi, capostipiti delle sperimentazioni linguistiche dialettali, si prefiggono: il primo, più che di stendere un vocabolario vero e proprio, di nobilitare l'idioma milanese indicandone per molti vocaboli, origini greche o latine; il secondo, un sommario di ortofonia che vorrebbe insegnare la giusta pronuncia e la corretta accentuazione delle parole, e lo fa con un garbo che talora, grazie al buon senso e all'estro, finisce per diventare efficace, malgrado la dichiarata improvvisazione del grammatico stesso. Questi antesignani del vocabo-larismo meneghino, non si sa se ognuno per proprio conto o l'u-no seguendo l'esempio dell'altro, titolarono i loro scritti onorando due grandi studiosi dell'antichità.
Il Capis rese omaggio a Marco Terenzio Varrone, erudito poligrafo, vissuto nel I secolo aC, autore dei venticinque libri De lingua latina, dedicati a minuziose indagini etimologiche, scoperti e fatti conoscere dal Boccaccia, nell'Abbazia di Montecassino.
Giusto quindi che il Capis, primo etimologista "De la lengua de Milan", intitolasse la sua fatica a chi nell'antica civiltà l'aveva preceduto in studi similari. Il Biffi scelse come paradigma del suo lavoro il nome di un antico retore, vissuto nel VI secolo dC, il grammatico Prisciano da Cesarea, autore dei diciotto libri della htitutiones Grammaticae, opera universale per la quale divenne famoso e consultato in tutte le scuole del Medioevo.
Se il richiamo, da parte del Capis e del Biffi, a personaggi così illustri, insigni capostipiti della cultura antica, nasca da studi profondi e dalle personali convinzioni umanistiche, oppure adombri una sana vena parodistica, quasi a denunciare la pochezza della loro fatica, non è facile affermarlo. Alcuni illustri studiosi propendono per la seconda ipotesi, attribuendo la scelta dei due autori «al gusto preciso di una domesticità cordiale, di un discorrere estemporaneo, affettuoso e sorridente, che nello studio del linguaggio meneghino, colloca le due operette tra le più autentiche di tutto il milanese del cinquecento».
Qui di seguito, dal Varon Milanes riportiamo l'elenco dei vocaboli contenuti nel libro (consultato dal sottoscritto), il cui frontespizio originale, che appare in pagina, è conservato presso la Biblioteca Ambrosiana, alla segnatura: "G.VET. VAR. 78".
ALLAMINEE: voce usata dai fanciulli milanesi quando una sposa si conduce a casa. Chiara l'allusione "all'imeneo", per una corruzione del volgo.
AGGRESGAA: mettere fretta; aspettare nel senso di affrettare. E tolto dal latino "agesis" (ad verbium excitandi).
AL ME DUVIS: mi pare. È derivato dal latino "vi-detur", che sta come parere, "mihi videtur", mi pare.
ANCONA: tavola o tela sopra la quale sia dipinta una immagine.
ANTA: parte della finestra con la quale si chiude e si apre. Questa è voce latina, imperciocché, "anta" dice Vitruvio ed "antae", ed "ostiorum latere", dicono tutti i latini.
ARBION: piselli, legumi assai noti, deriva dal greco.
ARENT: appresso, vicino.
ARTICIOCCH: frutto, od ortaggio assai noto (carciofo ndr).
ASA: quell'anello di ferro col quale si sostenta e gira l'uscio sopra i gangheri.
ASCA: senza. È venuta dal latino, dalla preposizione separativa "absque" la quale significa "senza".
ASCORT: uno che faccia le sue cose presto e bene. Deriva dal greco.
AZACA: attaccare, appendere.
ACONS-ACONS: piano, piano.
BALTRESCA: luogo della casa quale si fa sopra i tetti.
BALTRESCANA: donna di dubbia moralità che si affaccia alla baltresca per mettersi in mostra.
BASLOTT: catino di terra. Dal latino "vasluteam".
BIGILAN: sorta di pane fatto a guisa di grosso anello. Per figura "un grossolano ignorante".
BICOCCA: arcolaio. Strumento per avvolgere il filo.
BOFETTON: percotere sulla guancia. Dare un bo-fetton.
BABION: goffo ignorante, ancorché molto corrotto sia, è tolto dal latino "bambalio", che significa, stupido e goffo.
BABAO: brutto babbeo. Demonio. Viso contraffatto e brutto. Viene dal greco.
BACIOCCH: uno senza giudizio. Parola tolta dal greco che equivale ad "insano".
BAGAA: bere smisuratamente. Con molta erudizione è tolta dal latino "bacchus", il quale non fu solo l'inventore del vino, conforme alle favole dei poeti, ma anche un gran bevitore, onde quelli che celebravano li di lui sacrifici, per il più si ubriacavano.
BAT EL FETON: fuggire velocemente.
BAGIAN: un tipo di poco senno ma di grande corpo. Uomo del contado.
BAIAA: gridare e cianciare forte.
BAJÀ: (dà la baja) burla; dare la burla: viene dal greco che vuol dire "adulator", perché quando si adula, allora si dà la burla, perché non corrisponde l'intero senso del cuore alle parole esterne dalla bocca.
BARAA, BARADOR: ingannare, ingannatore, di derivazione greca, significa, gravo, molesto, perché gli ingannatori ci aggravano coi loro inganni.
CARSENZA: pane schiacciato, detto focaccia, fo-gacina, schiacciata.
CAVEZAA: fare pulito, ornare.
CAVIGIA: legno lungo e rotondo.
CAVIGIOEU: legno piccolo lungo e rotondo.
CIAPOTTON: imbroglio fatto da uno che, volutamente, maneggi acqua od altro con malagrazia.
FRIS: fregio, stemma, marchio.
FARIOEU: piccolo mantello.
GABAN: mantello a ruota.
GADAN: ignorante.
GIUBIANA: fantasma, si dice anche di chi sia lungo di corpo ma sottile.
GALFIONE: ciliegie dure e grosse. Per metafora uno di poco senno.
LIZON: uomo pigro, fannullone, da poco.
MAROSSERA: sensale di matrimoni.
MORTADELLA: salsiccie (nel Seicento si chiamavano così nel milanese, ndr).
NAGOTT: dal latino «ne gutta quidem» che significa «meno non si può dire».
NAPPION: naso smisurato (anche oggi si dice "ca-nappia" di un naso grosso, ndr)
PASQUEE: piazza avanti qualche casa o chiesa, pavimentata a ciottoli ed erba.
PRIGUER: pericolo, rischio.
SAGOLL: satollo, sazio, gonfio.
SCIANFORGNA: strumento picciolo di ferro qual si suona ponendolo in bocca a battendo con un dito una linguetta di ferro, qual sta in mezzo dello strumento (stando a ciò che dice il Capis, lo scacciapensieri non è una invenzione siciliana, ma nordica, ndr).
SCIERVELLAA: budello ripieno di carne e spezie (ingrediente principe per la preparazione dell'autentico risotto alla milanese, ndr).
SCILOSTER: candela assai grossa di legno (a quel tempo la cera costava assai e le candele steariche erano spesso surrogate da fusti di legno ardente, ndr).
SCIOSTRA: luogo alla ripa di fiume o naviglio, adibito a scarico e carico di mercanzie.
SCISGIER E BUELL: ceci e budella. Per traslato «legame intrinseco, amici per la pelle».
STAMEGNA: impannata, cosa fatta con carta o tela, e posta alle finestre per difendersi dal freddo. Viene dal latino "stamineus/a/um" (di tela), perché le stamigne si fanno prevalentemente di tela. Si dice "stamegna" anche di chi, per risparmiare, anziché in vetri, chiude la finestra con carta e tela (oggi, per traslato, significa "tìrchio" e simili, ndr).
(A cura di Giampiero Zanchetta. Notizie e ricerche desunte da: Storia di Milano, edizione Trecccani)
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