Luchino Visconti: dalla nobiltà al cinema
Visconti, un cognome nobile, decisamente milanese, un genio della regia, un uomo che ci ha lasciato capolavori indimenticabili, che ci regalato figure e storie che ci sono entrate nel cuore.
Discendente per linea diretta di una nobile famiglia milanese, Luchino Visconti nacque a Milano il 2 novembre del 1906.
Fin da piccolo il giovane dimostrò un grandissimo interesse per la musica, la letteratura e il teatro, grazie anche all’affettuoso sostegno dei genitori, frequentò tra l’altro anche la Scala di Milano, di cui i bisnonni erano stati tra i finanziatori.
Verso la fine degli anni Venti, Luchino iniziò una serie di viaggi per tutta l’Europa, in particolare a Parigi, dove frequentò celebrità come Jean Cocteau, Coco Chanel e Jean Renoir, di cui fu assistente alla regia nel film Una partie de campagne, mentre iniziò ad avvicinarsi alle scelte politiche e ideologiche del Partito Comunista.
Fu cosi che al suo ritorno in Italia Visconti, che dopo la morte della madre si era trasferito a Roma, cominciò a lavorare come giornalista presso la rivista “Cinema”, oltre a frequentare altri giovani registi dell’epoca, tra cui Mario Camerini e Mario Mattioli, da cui imparò molti segreti del mestiere.
Il suo debutto nel mondo del cinema avvenne tra il 1942 e il 1943, quando girò in pochi mesi “Ossessione”, un noir d’atmosfera con Massimo Girotti e Clara Calamai, ispirato al romanzo “Il postino suona sempre due volte” di James M. Cain, considerato uno dei capolavori del thriller mondiale.
Superata la seconda guerra mondiale, durante la quale rischiò più volte di essere fucilati dai fascisti per le sue attività come partigiano comunista, Visconti intraprese la strada della regia teatrale, mentre contemporaneamente iniziò a lavorare su “La terra trema” che uscito nel 1948, venne accolto con freddezza dal pubblico, sia per la sua tecnica documentarista che per il fatto che era completamente girato in dialetto siciliano arcaico.
Ferito dalle critiche, il regista tornò sul set solo nel 1951 con “Bellissima” in cui la grande Anna Magnani interpretò il ruolo di una donna che fa di tutto perché sua figlia debutti nel mondo del cinema, per poi scoprire che era solo un’illusione.
Tre anni dopo, nel 1954, uscì “Senso” con Alida Valli, basato su di un racconto di Camillo Boito e imperniato sulla duchessa Livia, che tradì la causa dei patrioti veneziani durante la Terza Guerra di Indipendenza per amore dell’ufficiale austriaco Franz, in realtà un vile indegno del suo amore.
Sempre attivo su tutti i fronti Visconti girò nel 1957 “Le notti bianche” tratto dall’omonimo racconto di Dostoevskij, sul tema dell’amore che si rivela un sogno o un’illusione per un sognatore.
Gli anni sessanta si aprirono con due capolavori assoluti, accumunati dalla presenza di Alain Delon: nel 1960 “Rocco e i suoi fratelli”, basato sui racconti di Giovanni Testori, sulla tragica integrazione di una famiglia lucana nella Milano del boom, che sfocia in un delitto e tre anni dopo “Il gattopardo”, tratto dall’omonimo romanzo di Giuseppe Tomasi di Lampedusa uscito per la Feltrinelli nel 1958, ambientato nella Sicilia del 1960 con al centro la figura di Don Fabrizio Salina, ultimo discendete di una nobile famiglia che deve venire a patti con la fine dei Borboni e di un mondo intero.
Non mancano le opere minori, ma di gran pregio come “Il lavoro” uno degli episodi del film “Boccaccio 70" su una nobile milanese che si prostituisce per aiutare il marito, “Vaghe stelle dell’Orsa” del 1964, sulla relazione incestuosa tra due fratelli mantovani e nel 1967 “Lo straniero” dall’omonimo romanzo di Albert Camus.
Dal 1969 al 1973 il regista si dedicò alla trilogia germanica con i film “La caduta degli dei” su una famiglia di industriali tedeschi travolti dal nazismo, “Morte a Venezia” dall’omonimo racconto di Thomas Mann, sulla passione di un musicista in crisi per un ragazzo polacco e “Ludwig” sulla vita dell’ultimo sovrano bavarese, protettore di Wagner.
Rimasto paralizzato dal lato sinistro a causa di un ictus, Visconti non si arrese e riuscì a dirigere le sue ultime opere, “Gruppo di famiglia in un interno” su un vecchio professore la cui vita viene sconvolta dai suoi nuovi vicini e “L’innocente” tratto dall’omonimo romanzo di Gabriele D’Annunzio, su un adulterio e un infanticidio nella Roma degli inizi del Novecento, uscito nelle sale dopo la morte del regista, avvenuta il 17 marzo del 1976 nella sua casa di Roma.