1153 - 1176: Lega Lombarda. Verità e mito sulla grande alleanza

I liberi Comuni sorti nel cuore dell’antico regno longobardo, vassalli del Sacro Romano Impero da quattrocento anni, si erano appropriati dei diritti regi di amministrare la legge, battere moneta, portare le armi, non rispondere alla chiamata militare, non pagare le tasse, oltre a concedere feudi ed eleggersi un podestà: l’auto-assegnazione delle “regalìe” colmava l’effettivo vuoto di potere causato dall’assenza dei sovrani tedeschi sul suolo italico.
In un’epoca in cui il concetto di lotta contro il potere straniero non esisteva ancora (e così sarebbe stato per molti secoli ancora), prima i lodigiani, poi i cremonesi e i pavesi iniziarono a inviare ambascerie alla volta della Germania. Al cospetto di un ancor giovane Federico di Svevia, detto poi il “Barbarossa”, i messi lombardi fecero a gara nel dimostrare la loro insofferenza nei confronti della città egemone: Milano.

Nel 1154 Barbarossa scese in Italia e appiccò fuoco a Tortona. Nonostante l’alleanza con Brescia, Milano fu stretta d’assedio e ridotta alla fame; la città rinunciò ai suoi titoli e pagò le indennità dovute; Asti e Chieri furono distrutte, mentre Como e Lodi ritrovarono un’autonomia effimera sotto la supervisione del sovrano. Federico si incoronò re d’Italia in San Michele a Pavia: l’autorità imperiale sul suolo italico parve restaurata, ma il sogno dell’imperatore fu di breve durata.

La risposta non tardò a farsi attendere: Nel 1162 Federico tornò in Italia alla testa di un esercito di 6000 armati, col quale si prefiggeva di sottomettere l’intera Lombardia. Dopo aver occupato Brescia, le armate incrudelirono sulla piccola Crema: usando gli ostaggi come scudi viventi, li legarono a torri mobili, sottoponendoli “al fuoco amico” delle frecce dei difensori; infine costrinsero Milano, ancora una volta, alla resa: col sostegno degli alleati, le mura della città e le maggiori contrade furono rase al suolo; i cittadini, ridotti al rango di servi, furono deportati in quattro borgate esterne e umiliati.
Le reliquie dei re Magi, simbolo di autonomia, trafugate per fiaccare gli animi, furono traslate nel duomo di Colonia. Forte del consenso dei giuristi bolognesi, Barbarossa dichiarò Milano messa al bando: a tutte le città vicine fu proibito intrattenere rapporti con la ribelle.
Questa volta l’Hohenstaufen aveva superato il limite. Il nuovo papa, Alessandro IV, intervenne con la scomunica: Federico, non più imperatore, divenne semplicemente “il tedesco”: la bestia feroce, il nemico numero uno della Chiesa.
Dopo aver constatato che la presenza ingombrante del dominio straniero stava azzerando i privilegi consuetudinari di tutti, presto gran parte delle città lombarde cominciarono a tirarsi indietro e ad associarsi: nel 1164 in Veneto Padova, Vicenza, Verona e Treviso, stanche dei soprusi dei funzionari imperiali, si strinsero nella cosiddetta “Lega Veronese.” Mantova, Bergamo e Brescia, giurando di difendersi a vicenda e di far valere gli antichi diritti acquisiti prima dell’arrivo del Barbarossa, misero mano alla ricostruzione delle mura di Milano. Nel 1167, forse a Pontida, Lodi e Cremona voltarono le spalle all’imperatore, entrando a far parte di una nutrita coalizione di città lombarde, emiliane e venete.

In verità Federico di Svevia, inizialmente creduto morto in battaglia, non fu mai veramente sconfitto; con la pace di Costanza del 1183, trattò la sua resa come una gentil concessione. Tre anni dopo sarebbe addirittura entrato a Milano da amico, per celebrare il matrimonio del figlio Enrico VI con Costanza d’Altavilla, ultima erede del Regno di Sicilia: falliti i piani di conquista del Nord, la vecchia volpe si accingeva a tessere i fili per il futuro dominio del Meridione d’Italia. Grigio e imbolsito, presto il sovrano avrebbe pagato per i suoi misfatti, annegando senza onore in un fiume della Cilicia durante la Terza Crociata. Le imprese della Lega Lombarda, invece, cristallizzate dal mito, sarebbero passate per sempre alla storia.
Marco Corrias