Alberto da Giussano e il Carroccio alla battaglia di Legnano. Miti e realtà
Per quanto tutte le fonti dell’epoca e perfino quelle posteriori narrino di uno scontro armato avvenuto tra i Comuni della Lega Lombarda e l’imperatore Federico Barbarossa, le notizie pervenuteci sulla battaglia di Legnano sono incerte e frammentarie: la sola certezza è data dalla vittoria lombarda, ammessa anche dai testi germanici.
La storia vera è un faticoso puzzle, risultato di cenni, allusioni e frammenti tratti da cronisti vari (genovesi, veneti, perfino bizantini e anglo-normanni!), fusi tra loro al fine di ricostruire uno sviluppo coerente dei fatti storici.
In particolare, attorno al cosiddetto “Carroccio” sono fiorite talmente tante leggende e vi si è addensata, in particolare in età romantica, un’impressionante carica di valori simbolici.
Certo è che la mattina del 29 maggio 1176 l’esercito della Lega si mosse alla volta di Legnano, a 20 chilometri da Milano, per bloccare la via d’accesso dell’esercito imperiale alla città. Con essi era presente il carroccio: un grosso carro sorretto da quattro ruote cerchiate in ferro, dipinto a tinte sgargianti e dotato di un albero maestro coronato da una croce o dal gonfalone cittadino. Era il glorioso simbolo di libertà comunale, insieme al quale scesero sul campo di battaglia i cittadini stessi, e non ancora i mercenari, per difendere le proprie libertà.
Il misterioso palladio medievale era apparso proprio a Milano già un secolo prima, col nome di “plaustrum”; carro scelto come simbolo di forza e libertà cittadine, voluto fermamente dal grande arcivescovo Ariberto d’Intimiano. Anche Bologna, nel 1170, si fornì di un simile mezzo. Nel mondo germanico, invece, la tradizione del “fahnenwagen” o carro portabandiera si conservò addirittura fino al XIII secolo, tanto che l’imperatore Ottone IV ne aveva uno a sua disposizione.
Qualcuno, in cerca di spiegazioni, ha ipotizzato che il carroccio comunale fosse figlio dei carri trionfali di Roma antica, trainati da buoi; d'altronde non solo i romani, ma anche i longobardi e i franchi trainavano catafalchi mobili, a ricordo del periodo in cui conducevano una vita da predoni nomadi.
Pure il fatto che il carroccio fosse abitualmente conservato tra le mura della cattedrale cittadina richiama alle sacre insegne da guerra di celti e dei germani, custodite nei boschi sacri in tempo di pace. Non a caso sul carro, insieme al gonfalone erano collocate anche altre bandiere, con trombettieri incaricati di dare il via alla battaglia al momento opportuno, e forse anche un condottiero incaricato all'arringa dei soldati, proprio come i capiclan celtici e i soldati muniti di carnix, grandi e roboanti trombe di bronzo modellate a di testa di cinghiale.
Se poi scopriamo che in età medievale, in sostituzione del presunto capoclan, il posto sul carro fu occupato dal potente arcivescovo attorniato da cori liturgici, la funzione sacrale di un carro simbolico nel corso dei secoli viene sancita definitivamente. Inoltre la sua perdita o distruzione, considerate come un’onta di cattivo auspicio, dovevano dar luogo alla ricostruzione immediata del manufatto.
Informazioni molto meno sicure sono quelle che riguardano la “Compagnia della morte”. Il catafalco mobile era attorniato dal più agguerrito contingente scelto: il Fiamma tramanda il ricordo di 900 cavalieri che, impegnati da un giuramento comune a non fuggire mai, pena la morte per mezzo dell’ascia, e “a contrastare l’imperatore in qualsiasi circostanza, in marcia, sul campo”, sarebbero stati decisivi ai fini della vittoria. Il loro intrepido condottiero sarebbe stato Alberto da Giussano, personaggio del quale non è stata ancora attestata l’esistenza storica e che è meglio ritenere come il frutto di una tradizione orale sorta dopo la battaglia.
A Legnano l’esercito lombardo, intento a difendere i propri confini, si trovò di fronte all'avanguardia dell’esercito germanico. Avvertito dello scontro in atto, il Barbarossa, rifiutando il consiglio di chi gli suggeriva di sottrarsi al combattimento, decise di irrompere personalmente sul campo di battaglia provocando la rotta degli avversari. A quel punto i cavalieri germanici tentarono una manovra di sfondamento, andando però a infrangersi contro la schiera di armi e scudi eretti da milanesi e bresciani a difesa del Carroccio. Man mano che le truppe italiane si riversavano sugli imperiali, si vide come il loro numero li sovrastasse. Abbandonato tutto sul campo di battaglia, i sopravvissuti riuscirono a riparare a Pavia, diffondendo la voce che l’imperatore era morto. Nell'annunciare la vittoria, i milanesi dissero di aver trovato le armi e i vessilli dell’imperatore; al saccheggio si sommarono ostaggi illustri, tedeschi e comaschi. Non c’è modo di stabilire la vera entità delle perdite degli imperiali.
Legnano non fu affatto una scaramuccia, come alcuni vollero far credere, ma nemmeno uno scontro che vide impegnate forze ingenti; probabilmente i combattenti coinvolti si assommano ad alcune migliaia, eppure anche le fonti germaniche insistettero nel commentare la “sfolgorante vittoria dei lombardi”. Di fatto, la sconfitta risultò assai dannosa per il prestigio del Barbarossa e per i suoi piani di una vita: i suoi tentativi di imporre il dominio dell’impero in Italia, in un ventennio di sforzi, non avevano piegato né il papa né i comuni. Proprio per questo la battaglia di Legnano viene rievocata ancora, ogni anno, con il famoso Palio, tra la fine di maggio e gli inizi di giugno.
Marco Corrias
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