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Le case chiuse di Milano

case chiuse milanoUn tuffo nella storia della Milano di un secolo fa, che oltre ai quartieri belli ed eleganti della piccola borghesia, nascondeva un lato meno limpido, legato alle donnine allegre delle case chiuse.

La storia delle case chiuse di Milano iniziò nel 1859, quando Camillo Benso, conte di Cavour, varò una legge che permetteva la nascita di una serie di bordelli che erano direttamente gestiti dallo Stato italiano, che ne avrebbe curato l’aspetto sanitario e igienico, come aveva già fatto verso la fine del Settecento Napoleone Bonaparte dopo aver conquistato l’Italia settentrionale.
Nel 1861, dopo l’Unità d’Italia, la legge fu estesa a tutte le regioni italiane.
All’inizio del Novecento, la situazione delle case chiuse e delle donne che vi lavoravano era sempre più complicata da gestire per lo Stato, tanto che le finestre vennero incatenate, mentre le ragazze furono costrette a sottoporsi a una serie di regolari controlli medici per garantire il loro stato di salute.
A Milano la maggior parte delle case chiuse si trovava nei quartieri più poveri della città, come il Verziere, reso noto dalla poesia di Carlo Porta “La Ninetta del Verziere”, che sorgeva nel quartiere dove oggi si trova l’Università Statale, mentre in piazza Beccaria c’era il Castelletto, uno dei quartieri a luci rossi più popolari, dove la prostituzione era legale, anche se le donne non potevano avvicinare i clienti in pubblico senza il rischio di incocciare in una multa salatissima.

Alla fine degli anni Venti il quartiere fu riedificato come la sede della polizia locale. case chiuse milanoPresso piazza Santo Stefano c’era il Bottonuto, dove le prestazioni costavano 5 lire il giorno, che salivano a 10 nel caso di un albergo a ore e in via Vittoria Colonna le signorine costavano 50 lire, con il pranzo incluso, mentre a Porta Ticinese si doveva chiedere al menacapi, il protettore locale, se si poteva trascorrere qualche ora con una ragazza presso la Calusca, il bordello che si trovava dietro la chiesa di Sant’Eustorgio, dove le prostitute erano dette sparagnadolitt a causa dell’abitudine di mangiare a primavera le ciliegie per strada.
Ma le case chiuse più belle si trovavano presso via Disciplini, dove i clienti avevano un salottino privato, e in via San Pietro all’Orto, vicino alla chiesa di San Carlo, in cui le camere avevano degli specchi sul soffitto, mentre in via Chiaravalle gli alleati nella seconda guerra mondiale erano molto conosciuti e stimati presso le case chiuse della zona.
La storia delle case chiuse di Milano fini nel 1959, con la legge Merlin, ma ancora oggi il loro ricordo è ancora vivo presso i grandi vecchi del capoluogo lombardo.

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