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Milano si racconta: sui delitti e sulle pene ai tempi dei Visconti

delitti e pene viscontiNella società odierna si dibatte sulla situazione delle carceri e dei carcerati, sulla giusta necessità di offrire a chi ha commesso delitti di potersi redimere e ritornare a pieno titolo nel consorzio umano. Altro dibattito aperto è la questione della "giusta pena", interrogativo a cui dare una giusta risposta. Problematiche ancora da risolvere. Tralasciamo questi problemi e andiamo a vedere come era risolta la questione nella Milano al tempo della signoria dei Visconti, signori di Milano dal 1277 al 1395.

Le sentenze erano lette dal podestà, che era il titolare della più alta carica civile nel governo della città, dal balconcino della loggia degli Osii, così chiamata perchè edificata su terreni appartenenti alla nobile famiglia degli Osii, in piazza Mercanti, leggeva il verdetto al popolo che ivi si era radunato smanioso di conoscere la sorte dello sventurato. La piazza dei Mercanti era, all'epoca, il centro della vita cittadina, e si trova tra il palazzo della Ragione, la Casa dei Panigarola e la Loggia degli Osii.

Diverse erano le modalità perchè si istruisse un processo criminale, o perchè si era colti sul fatto, oppure per querela, che è una denuncia presentata all'autorità competente da chi si ritenga offeso, o per denuncia degli Anziani. Su quest'ultima possibilità, va ricordato che era obbligo degli Anziani di denunciare ogni atto criminale di qualsiasi natura. Il venir meno a questo dovere era punito con pene severe.

L'accusato, se non era contumace, cioè non presente, per cui considerato colpevole a prescindere, veniva condannato solo se l'accusa riusciva a provarne la colpa. Il diritto alla difesa esisteva, vi erano in città molti avvocati, tuttavia o ci si difendeva da sé o, non esistendo il gratuito patrocinio, si doveva farne a meno, a meno che non si era in grado di pagarselo.

Ecco un elenco di come venivano attribuite le pene:

  • Chi era condannato a pene pecuniarie, se presentava uno o più fideiussori, che era la persona che si obbliga a pagare il debito altrui, era rilasciato, altrimenti inviato subito alle carceri della Malastalla. Queste si trovavano nell'isolato compreso tra le contrade degli Orefici e degli Armorari, vicino alla chiesa di san Galdino. San Galdino è stato un vescovo milanese, fervido sostenitore della gente milanese.
  • L'omicidio, sia volontario che accidentale, prevedeva una pena di morte mediante decapitazione.
  • Il furto andava distinto tra violento o clandestino, intendendo per clandestino probabilmente il furto senza offesa alla persona. Nel primo caso vi era la condanna alla forca, ossia all'impiccagione, nel secondo il condannato doveva subire la perforazione delle orecchie tramite ferro rovente dopo aver sofferto una pubblica fustigazione.
  • Il reo di furto modesto era condannato a una pena pecuniaria, qualora il ladro non avesse provveduto a saldare quanto richiesto, subiva l'amputazione di un piede.
  • A chi si macchiava di un reato di falso, ad esempio testimoni non veraci o notai che falsificavano documenti, veniva tagliata la lingua e mozzata una mano. La successiva medicatura era a carico del comune, cioè del popolo.

Per le violenze in genere e le offese corporali, il popolino veniva spesso alle mani, le pene erano pecuniarie. Erano così divise:

  • Minacce con o senza armi, con multa da 5 a 100 lire.
  • Percosse, pugni, schiaffi, multa da 5 a 100 lire.
  • Bastonate, multa da 10 a 100 lire.
  • Con strumenti domestici o da lavoro, multa da 20 a 950 lire.
  • Ferite causate da pietre, multa da 10 a 60 lire.
  • Le ingiurie prevedono una multa da 1 a 10 lire e con la messa alla berlina, che consisteva nel tenere il condannato esposto al ludribio della gente, in caso di insolvibilità pecuniaria. Era possibile anche la condanna alla fustigazione.

 Ecco un breve resoconto di quanto accadeva nella nostra amata Milano in quel periodo storico in cui i Visconti reggevano la città.

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