Le Maschere Milanesi di Carnevale
Tutte le città che si rispettino hanno le loro maschere, così non è da meno la nostra Milano. Quanti però sanno come si chiama la maschera carnevalesca di Milano?
Forse in parecchi ci sarebbe qualche titubanza nel rispondere, infatti, conosce Arlecchino, Pulcinella, ma non tutti il nostro Meneghino, che è una maschera della Commedia dell’Arte.
Questa nasce in Italia nel XVI secolo, e ottenne subito un buon gradimento di pubblico, anche se non è esattamente una rappresentazione teatrale come quelle cui noi siamo abituati ad assistere oggi, ma operava in modo diverso, almeno sino al secolo XVIII, dove avvenne una riforma, soprattutto per merito del commediografo veneto Carlo Goldoni.
Per l’esattezza la prima maschera di Milano fu un’altra, e precisamente “Beltrame da Gaggiano”, “Beltramm de Gaggian” in dialetto.
Gaggiano è un paese della bassa milanese. Questa fu la prima maschera milanese, ed era anche conosciuta come “Beltramm de la Gippa”, dove per Gippa s’intende una casacca molto ampia che solitamente indossava. È personaggio astuto, furbo, che però non ha voglia di fare nulla, per cui millanta.
La maschera di Meneghino fu introdotta in teatro nel 1600 dal commediografo Carlo Maria Maggi; scrittore e padre della letteratura milanese moderna. La sua produzione milanese comprende poesie e soprattutto commedie, infatti, è ricordato principalmente come commediografo. Tra le sue commedie ricordo “ I consigli di Meneghino”, e penso che proprio da questo titolo sia nata la maschera. Il nome Meneghino, in dialetto Meneghin, vuol dire Domenico.
Aveva anche un cognome, il nostro Meneghino? Certo che sì, si chiamava Pecenna, che in dialetto milanese vuol dire pettine. Qualcuno dirà, che cognome strano! Siccome però tutto ha un senso, anche questo cognome trova la sua giustificazione. Dovete sapere che Domenico, cioè Meneghino, era così chiamato chi accompagnava la nobildonna alla Santa Messa, o teneva loro compagnia durante una passeggiata. Era retribuito a giornata e, all’occorrenza, faceva anche da maggiordomo, con le mansioni che a questo spettano, compresa quella di accudire alle capigliature delle signore.
Ecco allora spiegato il cognome pettine. Ma il nostro Do-Menighin che tipo era?
Non appartiene certo all’aristocrazia, ma è più del popolo, anche se si trova, per lavoro, proprio a frequentare la nobiltà; nobile che il nostro Meneghin, con arguzia e un po’ di ben celata sfrontatezza, non disdegnava di mettere alla berlina. Insomma, un personaggio un po’ rozzo, ma che all’occasione sapeva essere raffinato. Era allegro, sbrigativo e non stava mai senza fare nulla; era altresì persona generosa, e qui vale il detto: “Milan cònt el coeùr in man”.
Questo era il suo abbigliamento, le scarpe erano tipiche dell’epoca, marrone con grosse fibbie centrali; le calze a righe bianche e rosse che salgono sin sotto le ginocchia. Le braghe sono corte e arrivano a toccare le calze, e di colore verde; la camicia è di un giallino e parzialmente coperta da un panciotto, tuttavia un'altra versione vuole che la camicia sia con pizzo e che intorno al collo vi fosse un ampio fazzoletto bianco.
Sopra portava una lunga giacca di color marrone, e, posato sopra una parrucca con codino, un cappello a forma di tricorno. In una mano tiene un ombrello di color rosa.
In epoca più tarda gli è affiancata una figura femminile come moglie, chiamata “Cecca”, diminutivo di Francesca. Il suo abbigliamento si compone di calze azzurre, un grembiule bianco sopra una sottana color granata a pallini bianchi, un corsetto di velluto nero con bianchi pizzi e bottoni d’oro.
Sulle spalle porta uno scialle di tulle e in testa la cresta pieghettata alla brianzola. Immaginate di vedere Lucia dei Promessi Sposi. Anche le calzature ricalcavano probabilmente quelle di Lucia.
Ecco, questa è la coppia milanese che ci rappresenta nel carnevale e, formulo un desiderio, mi piacerebbe che per il Carnevale ambrosiano tanti si vestissero da Meneghin e Cecca.
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