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Milano e il suo San Carlo

Nel mese di novembre e dicembre, nel Duomo di Milano sono esposti i Quadroni di San Carlo, dipinti su tela che celebrano la vita e i miracoli del Borromeo.quadroni sancarlo duomo

Raccontare la storia di Milano senza citare il Borromeo è sicuramente fare un torto alla nostra città e alla verità storica. Il Santo ha lasciato un’impronta profonda, tanto che nella nostra diocesi ancora se ne ricalcano le orme.

Chi era Carlo Borromeo

Ma chi era questo signor Borromeo Carlo? E cosa ha rappresentato per Milano?

Inizio col precisare che la famiglia Borromeo non era milanese e neppure lombarda, ma di origine toscana, trasferitasi nella nostra regione perché aveva ottenuto il feudo di Arona – dove vi è la statua del San Carlone – dal duca Filippo Mari Visconti. Proprio ad Arona nacque, il 2 ottobre 1538 Carlo.

All’età di sette anni ricevette la tosatura e l’abito clericale dal vescovo di Lodi, nel palazzo Borromeo di Milano. Quattordici anni dopo, a Pavia, si laurea in “utroque iure”, locuzione latina che sta a significare “nell’uno e nell’altro diritto”, ossia in diritto civile e canonico. Grazie all’elezione al soglio pontificio dello zio Gianangelo de’ Medici, col nome di Pio IV, Carlo fu creato cardinale.

Questa carica gli portò incarichi prestigiosi e commende assai redditizie, fra le quali la nomina di amministratore dell’arcidiocesi di Milano, nomina che non poté esercitare poiché il Papa gli ordinò di restare a Roma, e Carlo ubbidì. Il 19 novembre 1562 avvenne un fatto che mise il Borromeo di fronte a una scelta definitiva, infatti, si spegneva il fratello Federico senza aver lasciato eredi maschi.

L’aspettativa di tutti, pare dello stesso Papa, era quella che Carlo rinunciasse alla carriera ecclesiastica per dare seguito a un buon matrimonio e perpetuare il nome dei Borromeo. Non era una decisione facile, soprattutto se consideriamo il tempo storico, e Carlo, dopo ponderata e sicuramente sofferta riflessione, scelse risoluto la via del sacerdozio. Dimostrò subito di aver fatto una scelta totalizzante, tanto che iniziò una vita di penitenze, digiuni e di quotidiana preghiera.

Eliminò ogni fasto e ogni vana mondanità dalla sua casa, dimezzando anche la servitù. Il 15 agosto 1563 Carlo celebra la prima messa nella cripta di San Pietro in Vaticano. Nel periodo romano, il Borromeo non aveva mai smesso di amare la sua Milano, tanto che, nelle sue funzioni, usava il rito ambrosiano.

Finalmente l’1 settembre 1565, Pio IV permise che il nipote si recasse a Milano, solo però temporaneamente, giacché doveva presiedere il convocato Concilio provinciale, e non come arcivescovo, ma unicamente come legato pontificio. Il Legato Pontifico o Legato del Romano Pontefice, è un inviato del Papa come suo rappresentante. L’ingresso in città avvenne il 23 settembre e fu conforme all’antico cerimoniale: partenza da sant’Eustorgio – basilica di Milano del IV secolo – su una giumenta bianca, il baldacchino retto dai nobili Confalonieri e il governatore spagnolo a qualche passo dietro il Borromeo. Il 10 novembre il Borromeo, finito il Concilio, deve rientrare in Roma.

Il mese successivo moriva Papa Pio IV e, dal nuovo Conclave, fu eletto il domenicano Michele Ghisleri, che divenne Pio V. a questo punto, il Borromeo rimise al nuovo pontefice i suoi incarichi e relativi benefici e il 16 aprile del 1566, senza preavviso entrava in Milano come arcivescovo. Subito modificò il suo stile di vita, per prima cosa eliminò ogni segno esterno che ricordasse onori e ricchezze; dal suo stemma doveva campeggiare una sola parola: “Humilitas”.

Vendette ogni cosa e distribuì il ricavato alla gente povera e bisognosa. Le esigenze della sua vita privata furono ridotte allo stretto necessario; preghiera e penitenza divennero il sostegno spirituale della sua alacre attività. Non per essere polemico, ma alcuni sacerdoti e prelati di oggi, farebbero bene a prenderne esempio.

A quarantasei anni morì, lasciando nel popolo milanese e in tutte le diocesi, un senso profondo di solitudine. Le sue spoglie si trovano sotto l’altare del Duomo di Milano, conosciuto come lo “Scurolo di San Carlo”. In San Pietro, da Papa Paolo V, l’1 novembre 1610 fu proclamato santo. Dopo questa doverosa introduzione vediamo le opere che l’Arcivescovo ha fatto per Milano. Una delle sue caratteristiche, per le quali da alcuni, che io definisco buonisti, era criticato, era la sua severità e il suo rigore. Tuttavia sappiamo che prima di esigerle dagli altri lo pretendeva per se stesso, e poi non dimentichiamo il periodo storico in cui si trovava la chiesa.

Proprio in merito alle difficoltà della chiesa cattolica a controbattere le varie eresie che imperversarono, si deve al pontefice Pio IV, al Borromeo unitamente al popolo milanese, se il governatore spagnolo non riuscì a portare a Milano la famigerata inquisizione spagnola, che era ben più temuta e crudele di quella Romana.  Per il Borromeo era necessario ricomporre l’unità ecclesiastica attorno alla sede vescovile, per cui suddivise il territorio in dodici circoscrizioni ecclesiastiche: sei in città, una per ogni porta cui è preposto un prefetto e sei nel contado. In città furono soppresse circa trenta parrocchie non più funzionanti. A ogni parroco si fece obbligo di tenere un’accurata anagrafe civile e religiosa, e questo oggi sappiamo quanto è stato importante per tutta la società. Nell’edificio san Giovanni Battista a Porta Orientale, vi trasferì i seminaristi, erigendo poi il complesso di Corso Venezia. Ottenne da Gregorio XIII l’erezione dell’Università di Brera, affidandola ai Gesuiti.

Ricordo che Milano non aveva l’Università giacché la città universitaria del ducato era Pavia. Si premurò affinché i lavori all’interno del Duomo avessero la precedenza. Cancellò l’abitudine di attraversare il Duomo, anche con merci e animali, per impiegare meno tempo. Fece innalzare i due grandi organi con cantorie e coretti. Il suo amore per il rito ambrosiano, non disgiunto da quello per le tradizioni ambrosiane, fu tanto convincente che ottenne l’approvazione di Gregorio XIII. Diede avvio al restauro dell’altare di san Simpliciano, che troviamo nell’omonima via che è una traversa di Corso Garibaldi. Convinto promotore della pietà popolare, favorì le processioni; fece si che anche i laici, di ogni ceto e categoria, potessero ricevere un’adeguata formazione, questa sua promozione portò alla nascita di nuove comunità, come ad esempio la compagnia di Sant’Anna per le vedove, quella dell’Obbedienza per l’assistenza ai mendicanti, le associazioni dei buoni padri e buone madri di famiglia.

Le confraternite trovarono largo spazio per promuovere i loro propositi, ad esempio quelle del SS Sacramento, del Santo Rosario, dei Disciplini, quelli della Santa Croce, e altre, tutte operanti in Milano.  Costituì delle scuole accessibili a tutti, senza distinzione di ceto sociale. Promosse “l’Ospedale dei poveri mendicanti e bisognosi della Stella”, sull’attuale Corso Magenta, dove oggi sorge il noto istituto delle Stelline. Fondò il “ Pio luogo del soccorso” per spose abbandonate o maltrattate, la casa di santa Maria Maddalena per l’accoglienza provvisoria delle prostitute.

Dopo la peste, per aiutare orfani o persone in pericolo, istituì il “Conservatorio di Santa Sofia”. Durante la peste, mentre le autorità civili fuggivano da Milano, lui, che era in visita pastorale, rientrò in città e si prodigò per portare aiuto, sotto ogni forma, agli appestati. Fece addirittura testamento, lasciando erede universale l’Ospedale Maggiore. Molto ci sarebbe ancora da scrivere, ma qui mi fermo, poiché ritengo quanto scritto sufficiente per affermare che la nostra città deve moltissimo a San Carlo Borromeo, il quale ha davvero amato, non solo a parole ma con i fatti, Milano.

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