Vecchie storie sul Carrobbio
Largo del Carrobbio, in milanese el Caròbi, deriva dal termine latino "quadrivium" , incrocio di quattro vie, poi prenderà anche il nome di "Carraria". Per capirci è lo slargo tra via Torino e via C. Correnti, via del Torchio e via San Vito. Ebbene, vi voglio raccontare alcune curiosità del passato attinenti proprio il Carrobbio.
Vi sorgeva Palazzo Visconti, oggi è rimasta solo la facciata che si affaccia su via Lomazzo, dove si è trovata una epigrafe, che è una breve sentenza scritta su un monumento, medaglie o altro, su cui si precisava che in loco esisteva un "Antro Aciliano" dedicato al culto del dio Mitra, che sappiamo essere praticato dai Romani.
Il Carrobbio, in tempi passati, si prestava a luogo dove si leggevano le condanne e si proclamava l'avvenuta concessione agli schiavi della possibilità di essere liberi.
Un tempo vi sorgeva anche una chiesa dedicata a San Materno, che pare fosse stato Vescovo della città nella prima metà del IV secolo. Un altra costruzione dell'epoca era la Torre detta la "Malsana", poiché vi erano ricoverati i lebbrosi. La Torre la si può vedere, ormai inglobata, nell'edificio di via C. Correnti incamminandosi verso via S. Sisto.
Un altra curiosità era la presenza di un'osteria chiamata "dei Tre Scanni", così chiamata perché vi erano tre scanni, ossia tre panche o seggi, per permettere ai tre prelati che portavano in solenne processione le reliquie dei Magi, di poter effettuare una sosta, in quanto la strada da percorrere era piuttosto lunga. Di quest'osteria ne parla anche il poeta Carlo Maria Maggi, dove dice: "il vostro caro Meneghino fugge in un paese lontano; se non ci vedremo più, arrivederci. Mortadelle dei Tre Scanni, trippa della Gobba, passeretti dei Tre Merli".
Ecco ora una storia curiosa. Al Carrobbio abitava una giovane fruttivendola di nome Ghita, andata in sposa a un certo Battista Pollaiolo, al quale aveva dato un bel bambino. Il Battista era un venditore di polli e spesso si recava in campagna per il suo commercio, lasciando a casa la moglie e il bimbo. La Ghita era solita cantare al marmocchio, che si chiamava Riccardino, questo ritornello: Fà ninin popò, vegnarà a cà el papà el portarà el cocò.
All'improvviso si presenta uno strano personaggio che si mette a fare incantesimi e sortilegi; Ghita, in preda allo spavento stringe a sè il bimbo ma, non resistendo alla paura, sviene. Lo sconosciuto allora la prende e la porta con sè. Il marito intanto si era recato sino a San Donato e, con alcuni amici, si ferma a un'osteria. Alcuni personaggi invitano con troppa insistenza il Battista a restare e a bere, e questo atteggiamento insospettisce l'avventore il quale decide di rientrare precipitosamente a casa, dove si avvede del disordine e intuisce che qualcuno ha rapito sua moglie e suo figlio. In realtà la faccenda è molto più complicata di quanto non sembri, poiché il tutto riporta a fatti avvenuti in quel di Venezia tra due giovani amanti le cui famiglie non vedono di buon occhio questo amore, tanto che ci scappa un omicidio.
L'assassino è tale Mago Sabino, praticante di negromanzia, orge e ruberie. Poiché da molti odiato e ricercato, decide di scappare dalla Romagna dove si era stabilito, e arriva a Milano, acquista un bellissimo palazzo e vi si stabilisce. Anche qui riprende le sue oscure attività, e un giorno, passando per il Carrobbio, nota la giovane Ghita, e poiché assomiglia alla donna veneziana da lui desiderata, decide di rapirla. La tiene prigioniera nel suo palazzo in attesa che la giovane gli si concedesse. Intanto invia un suo servo al Pollaiolo, facendogli credere che la moglie e il figlio sono stati rapiti da un nobile veneziano che vuole fare rotta verso l'isola di Corfù.
Grazie alle conoscenze del servo, il marito riesce a imbarcarsi e una volta giunto a Corfù, capisce che è stato ingannato. Tuttavia destino vuole che il servo sia ferito a morte e, prima di chiudere gli occhi, rivela al Pollaiolo l'inganno, il quale a sua volta è venuto in contatto con il giovane a cui era stata uccisa la fidanzata. I due, che ormai hanno capito che il Mago è il vero colpevole, decidono di rientrare a Milano per saldare il conto una volta per tutte. Per farla breve, il Mago Sabino, grazie anche alla Ghita, capisce del male che ha compiuto e si ravvede, però viene ucciso dai suoi servi che gli rubano le sue ricchezze.
Quando i due arrivano a Milano non possono che prendere atto di quanto accaduto, così il Battista con sua moglie e il figlio Riccardino possono rientrare nella loro casa al Carrobbio.
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