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Nuovi orizzonti nella cura dei pazienti diabetici

  • Mirella Elisa Scotellaro

L’editing genomico come nuova frontiera nella cura del diabete mellito.diabete pexels nataliya vaitkevich 6941879

Nel linguaggio comune il diabete mellito è spesso denominato semplicemente “diabete” per indicare la malattia metabolica che determina “iperglicemia”, cioè alti livelli di zucchero nel sangue, una condizione facilmente rilevabile mediante un rapido esame ematico.  

Per comprendere i meccanismi sottostanti all’insorgenza del diabete, va ricordato il ruolo chiave svolto dall’insulina, un ormone preposto a regolare i livelli di zucchero nel sangue, prodotto da alcune cellule del pancreas, le cosiddette “cellule beta delle isole di Langerhans.

Più precisamente, in alcuni soggetti l’insulina è insufficiente rispetto alle necessità dell’organismo, andando così ad integrare le caratteristiche del diabete di tipo 1; in altri, invece, l’insulina c’è, ma il corpo non riesce ad utilizzarla: in tal caso si parla di diabete di tipo 2. Con riferimento a questa seconda tipologia, può ulteriormente verificarsi un concorso di situazioni cliniche per cui, in taluni malati, alla scarsa quantità di insulina si aggiunge il fatto che questa non riesce a dispiegare la sua efficacia per via di una vera e propria “resistenza” che incontra nei tessuti.

In altre parole:

  • il diabete di tipo 1 è unamalattia su base autoimmune in cui l’organismo produce anticorpi che, invece di attaccare agenti patogeni esterni, finiscono con il colpire e distruggere le cellule betapancreatiche del paziente stesso, impedendo in tal modo la produzione di insulina;

  • il diabete di tipo 2, invece, consiste inuna risposta anomala del corpo nei confronti dell’insulina per effetto di una insulino-resistenza, a cui può talora sommarsi una reazione delle cellule beta-pancreatiche che arrivano a cessare quella produzione di insulina cui sono fisiologicamente deputate.

Le cause alla base del diabete sono a tutt’oggi oggetto di studio. Resta comunque acclarato presso la comunità scientifica un dato obbiettivo: il denominatore comune di ogni forma di diabete è senza dubbio la predisposizione genetica.

Nel caso del diabete di tipo 1 parrebbe che il fattore scatenante dei sintomi possa essere di tipo ambientale, per esempio un’infezione virale o una dieta scorretta, ma anche l’inserimento precoce di latte vaccino in età neonatale, un’alimentazione povera di vitamina D, ecc.; nondimeno, in assenza di un fattore scatenante, la malattia diabetica di tipo 1 potrebbe non manifestarsi affatto.

Nel diabete di tipo 2 i fattori di rischio sono molto più numerosi. Oltre alla familiarità diabetica, si va dall’obesità all’ipertensione, dalla dieta ricca di “zuccheri semplici” alla poca attività fisica, dall’età avanzata all’alta concentrazione di trigliceridi nel sangue.

Ci sono inoltre forme diabetiche definite “secondarie” in quanto indotte da assunzione di certi farmaci (ad esempio gli antiepilettici), o da malattie infettive (ad esempio il citomegalovirus), da malattie del pancreas (pancreatite cronica), da malattie endocrine che alterano la produzione di ormoni (come ormoni tiroidei, cortisolo, adrenalina), da malattie genetiche (ad esempio la sindrome di Down), o da forme varie di mutazioni di geni essenziali per la produzione di insulina; queste ultime forme colpiscono il giovane adulto, ma con andamento iperglicemico moderato.

Un caso particolare è quello del diabete gestazionale che insorge nelle donne incinte a quanto pare in seguito a squilibri ormonali indotti dallo stato di gravidanza: sembra infatti si tratti di una forma di insulino-resistenza determinata da ormoni placentari, una condizione comunque quasi sempre destinata ad avere un carattere transitorio.

Conclusivamente il diabete è una malattia importante, che in nessun caso può essere sottovalutata, e che nel lungo termine – se trascurata - può avere diverse complicanze anche vascolari assolutamente gravi, al punto da cagionare nel paziente il “piede diabetico” (con piaghe e ulcere di difficile guarigione) con rischio di amputazione, e complicanze di crisi glicemiche che possono portare a danni neurologici (anche cerebrali), o addirittura avere un esito fatale. Purtroppo ancor oggi il 30-50% dei pazienti diabetici non è seguito da un diabetologo, e questo è un grande errore poiché, se opportunamente curata e seguita da un Team multidisciplinare (diabetologo, cardiologo, oculista e nefrologo), questa malattia consente una buona qualità di vita, del tutto simile ad una situazione di normalità.

Il trattamento prevede l’assunzione di insulina come da prescrizione medica (magari con il ricorso a insuline innovative, ove ritenuto opportuno dallo specialista), il supporto di tecnologie come il monitoraggio glicemico tipo holter, l’educazione a uno stile di vita improntato ad una dieta appropriata e ad un’adeguata attività fisica quotidiana.

Con l’avvento dell’era genomica negli anni Ottanta, insieme al sequenziamento del genoma umano sono iniziati numerosi studi sulle possibili soluzioni terapeutiche per le malattie monogeniche, cioè quelle patologie per risolvere le quali basta la correzione di un singolo gene patogeno. Proprio l’evoluzione di questi studi ha consentito nell’ultimo decennio di ipotizzarel’impiego dellaterapia genica anche per talune malattie multifattoriali a tutt’oggi non debellate, tra cui appuntoil diabete mellito, responsabile di costi gestionali elevati e, come si è accennato, di importanti complicanze a carico dei pazienti. Il salto di qualità nella ricerca è stato possibile grazie alla raccolta di informazioni approfondite sulle alterazioni molecolari portatrici di patologie, circostanza che ha consentito la selezione di bersagli terapeutici molto precisi.

L’editing genomico è una tecnica estremamente sofisticata e tuttora in via di perfezionamento che impiega enzimi alla stregua di forbici molecolari in grado di “rompere la doppia catena del DNA in siti specifici del genoma, stimolando così l’avvio di processi di ricombinazione in quella sede”: in altre parole, il gene difettoso, responsabile della malattia, è isolato ed estrapolato dalla catena del DNA che viene interrotta nello stesso punto in cui poi si stimola la formazione di un gene perfettamente funzionante. Questo è ciò che accade nelle forme monogeniche di diabete(all’incirca il 5% dei casi di diabete), in cui appunto la correzione riguarda un solo gene malfunzionante (le cosiddette varianti Mody), le mutazioni di DNA mitocondriale e il diabete neonatale: si tratta di situazioni in cui la terapia genica non esclude una definitiva e completa remissione del quadro clinico.

Decisamente più complesso è il discorso che riguarda la correzione genetica del diabete di tipo 1. In questo caso, si può cercare di ingannare il sistema immunitario apportandogli modifiche che non gli facciano riconoscere le cellule beta-pancreatiche che così sfuggirebbero alla distruzione, oppure si può tentare di modificare geneticamente queste cellule in modo da renderle resistenti agli attacchi del sistema immunitario medesimo. Tutto questo sarebbe fattibile con possibilità di successo solo in una fase molto precoce della malattia diabetica, cosa di difficile attuazione se si tiene conto che quando i sintomi del male sono evidenti, l’80% circa del patrimonio beta-cellulare dell’organismo è ormai andato irrimediabilmente distrutto. Un nuovo approccio terapeutico, interessante, ma non ancora perfezionato, si orienta a creare modifiche genetiche di “cellule non-beta” che vengono “riprogrammate” geneticamente per la produzione di insulina, surrogando di fatto le cellule-beta.

Quanto alla terapia genica nel diabete di tipo 2, essa segue logiche diverse tendenti a compensare in questa classe di malati la carenza di una molecola - denominata GLP-1 (Glucagon-like peptide 1) – che ha un importantissimo effetto antidiabetico: la strategia genica in questo caso è quella di stimolare nei modelli animali la produzione di sequenze codificanti volte a creare una forma di GLP-1 in grado di allungare la sua resistenza alla degradazione. Altra categoria di molecole-bersaglio sono le adipochine, cioè molecole prodotte dal tessuto adiposo, coinvolte nella “regolazione” dell’ingresso di calorie nell’organismo e nel metabolismo delle sostanze nutrienti.

Infine, tra le cause di insulino-resistenza un ruolo determinante può essere svolto dallo stress ossidativo determinato dai famigerati radicali liberi: anche in questo caso, le terapie geniche promettono risultati interessanti. Le nuove cure cui si è fatto cenno, tuttavia, potranno dare i benefici prospettati in termini di certezza scientifica solo per il futuro. Al momento, la ricerca va avanti.

Mirella Elisa Scotellaro

Nota Bene: questo articolo ha carattere puramente informativo, e in nessun caso può sostituirsi alla valutazione e alla prescrizione del medico.

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