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Sandro Iovine e la sua FPschool a Milano: un invito a leggere e a fare fotografia guidati dalla luce creativa che è in ognuno di noi

sandro iovine

Sandro Iovine siamo lieti di averla con noi, ci parli un po’ dei suoi inizi: come è nata la sua passione per la fotografia e come si è sviluppata?

La mia passione è nata un bel po' di anni fa, quando mi regalarono per Natale una macchinina fotografica di quelle che c'erano all'epoca, quella che oggi sarebbe un usa e getta all'epoca si cambiava la pellicola, così la prima foto la feci da Castel Sant'Angelo verso il fiume.
Era una cosa inguardabile onestamente, classico errore da principiante, passava un kayak là sotto, ovviamente era un puntino microscopico, del resto c'è anche da dire che avevo tipo nove anni, per cui quasi giustificabile.
Poi la mia passione è proseguita, anche favorita da mio padre che, appassionato di fotografia, ha cominciato a stampare le mie foto.
Quando facevo le medie fu segnalato dal Messaggero il mio nome per una partecipazione ad un concorso.

Fatto il liceo, dopo una decina d'anni, uscì fuori una richiesta di personale in redazione presso l’editrice Reflex e io partecipai e scelsero me, probabilmente perché, al di là delle conoscenze che potevo avere, ero sicuramente l'unico che si presentava dichiarando di aver studiato giapponese, cosa che all'epoca, stiamo parlando dell’89, era abbastanza utile nel settore. A quei tempi non c'era il web, oggi una notizia viene data contemporaneamente in tutto il mondo, all'epoca poter leggere le riviste in lingua giapponese ti permetteva un anticipo di qualche mese sulla concorrenza, per cui riuscivamo ad avere delle informazioni in più rispetto agli altri.

Ho iniziato questo lavoro con passione, sono stato nove anni in redazione e poi sono venuto a Milano.
Nel giro di un anno mi hanno dato la direzione del “Il fotografo”, l'ho tenuta per 15 anni insieme ad altri speciali di fotografia e, dopo 15 anni, ho deciso di lasciare la casa editrice per dedicarmi ad altre cose.
Ho creato una mia testata on-line e contemporaneamente ho dato vita all’Fp School, la scuola di Fotografia che ha sede qui a Milano, parliamo del 2014.

Quanti studenti accoglie la sua scuola?

Diciamo che, nell'ultimo anno, abbiamo avuto circa 200 alunni nei vari corsi. Il corso è in presenza e anche online. Ieri, per esempio, al corso base avevamo online una persona dal Brasile e una dalla Tunisia. E’ stato il regalo della Pandemia, perché prima io ero assolutamente contrario a tenere corsi a distanza, poi si è fatto un esperimento con una ragazza che viveva in Svizzera e si è visto che non cambiava nulla per come era impostato il corso. Non tutti i corsi si possono fare online tutti quelli di sala di posa no. Il base l’intermedio, l’avanzato,quello di comunicazione visiva e storia della fotografia si possono seguire online. Nel corso base sono comprese due uscite fotografiche , di solito andiamo in piazza Gaudolenti, perché offre un panorama di situazioni abbastanza ampio per poter sperimentare un po’ di cose.

La fotografia è un mezzo per esprimersi, cosa rende bella una fotografia secondo lei?

Non la prendere sul personale ma che vuol dire bello? Per chi? E’ assolutamente soggettivo il concetto di bellezza.
Nella nostra cultura è bella una donna magra, nella cultura araba è bella una donna grassa. Non ha senso parlare di bello, io preferirei che si parlasse di fotografia che funziona o non funziona in relazione allo scopo per cui è fatta.
E non mi piace neanche che si parli di arte.
La fotografia non è arte, è fotografia .
Può essere arte, ma non lo è di default. Purtroppo nella nostra cultura degenerata molti amano definire la fotografia arte e a me viene molto da pensare al sillogismo aristotelico di tipo a: la fotografia è arte- io faccio la fotografia- io sono un artista.
Ma manco per sogno! L'idea che le persone hanno della fotografia che corrisponderebbe ai canoni dell’artisticità non corrisponde minimamente all’uso che l’arte fa della fotografia.

La fotografia entra nel mondo dell’arte come testimonianza di performance o come utilizzo dell’immagine che non è necessariamente l’immagine che appaga l’occhio, l’immagine bella . Eviterei quindi di parlare di arte, a prescindere, in fotografia. Ci sono una serie di autori che fanno arte con la fotografia, ma la fotografia in sé non è arte per grazia ricevuta.

Ci soffermiamo sempre più sulle forme che catturano la nostra attenzione mentre scorriamo le immagini e sempre meno sul loro contenuto, l’immagine ci colpisce per la sua immediatezza, non dovremmo tornare ad una lentezza, ad una maggiore riflessione sull’ immagine anche in questa società dove tutto va alla velocità della luce?

Assolutamente sì.
Il problema non è solo la velocità. Il problema è molto più complesso: da una parte c’è la velocità di fruizione che è una frazione di secondo.
E’ molto interessante vedere come, quando si pubblicano foto, foto che sono universalmente riconosciute come di alto livello , di autori riconosciuti anche in campo artistico, con quotazioni importanti, esse ottengano meno riscontro di immagini in cui magari, molto banalmente, c’è il gruppo del corso.
Perché per comprendere quelle immagini è necessario un background minimo di cultura visiva che non è quella del “mi piace”. Purtoppo la fruizione che si ha attraverso i cellulari, attraverso i social media, è una fruizione che passa attraverso l’identificabilità immediata che è figlia non solo della fretta e del tempo veloce ma anche figlia del fatto che il telefono ha delle dimensioni limitate

Perché un’ immagine ti faccia fermare deve essere molto semplice non deve avere molti dettagli, deve avere dei forti contrasti sia del gradiente cromatico, sia della gamma tonale, per cui ti colpisce ed è immediata. Ma questa immediatezza finisce lì, non rimane, non si sedimenta all'interno.

Poi ci sono altri fenomeni che trovo drammatici per cui l'emulazione attraverso l’immagine è una spirale che va verso il basso. Se ci fai caso, quando sfogli un Feed di qualcuno, molto spesso trovi sempre le stesse cose declinate in maniera formalmente corretta, ma sempre le stesse: quanti spritz quanti piatti di pasta o torte vedi? Cosa dice di te quella foto di diverso da quello che potrebbe dire quella di un altro?

Insegnando anche in Accademia la cosa drammatica che vedi è che i ragazzi arrivano con un livello di cultura generale che è deprecabile, ti senti dire cose del tipo che la Francia era alleata della Germania nella Seconda Guerra Mondiale.
E quando tu gli poni una domanda, se gli chiedi di pensare- Cosa pensi di questa foto?- non ti rispondono.
Quando cominciano a risponderti ti descrivono quello che vedono, non quello che pensano.
Non c'è un pensiero elaborato.
Peggio ancora ti guardano per cercare di capire cosa ti vuoi sentir dire, quando tu gli stai chiedendo:- Cosa pensi tu? -
C’ è un sistema educativo sbagliato alla base, per cui sono stati educati a dire quello che diceva il professore e non sono abituati a pensare con la loro testa.
La mia lezione frontale è: ti faccio vedere una foto, cerco di farti capire qual è il valore della foto, di inserirla in un contesto ma poi si sceglie un autore e mi rifai le foto come lui, che all'inizio significa: provo a copiare, ma a fine corso significa: mi ispiro al suo modo di, per raccontare qualcosa di mio.

Vai a rielaborare, certo, ma per poterlo rielaborare devi averlo capito, per averlo capito devi averlo guardato in profondità, devi averlo letto.

C'è un grande equivoco, ci sono tante fesserie che circolano dal mio punto di vista intorno alla fotografia, una di queste è che sia un linguaggio universale. Non è affatto vero questo. Perchè? In ogni fotografia, come dice anche Roland Barthes, c'è sempre un elemento culturale e un elemento storico e l'elemento culturale non è uguale qui o in Corea.

Se tu vedi una pittura e riconosci che c’è un bisonte questo non significa che tu abbia capito che significato abbia questa pittura. Se vai in Friuli Venezia Giulia e osservi la pavimentazione fantastica della navata centrale a mosaico della Basilica di Aquileia, riconosci in quel mosaico i pescatori, la tartaruga ecc.. Ma se non sei laureato in storia dell'arte, magari con specialistica in medioevale o non hai una guida che te lo spiega, pur essendo una persona con un minimo di cultura ti limiti a dire che è una tartaruga, ma non sai cosa significa, perché noi abbiamo perso ormai i codici che ci portano a leggere questa immagine.
Mentre un contadino del 1300, che non sapeva nemmeno scrivere, conosceva invece il significato di questa tartaruga, perché vi leggeva i codici del suo tempo .
Esiste quindi tutta una serie di fattori che influiscono sulla percezione di un'immagine. Per esempio io ti descrivo un'immagine e tu mi dici la prima cosa che ti viene in mente: una donna con un vestito bianco lungo? Una sposa. Una donna con un vestito rosso lungo? Un film, forse o una festa o una serata.
Devi sapere che in Estremo Oriente le donne si sposano in rosso...sandro iovine francesca capri

Come sta evolvendo la fotografia e come cambierà la professione con l’avvento dell’intelligenza artificiale?

Dipende come verrà utilizzata l’intelligenza artificiale, ci sono tanti livelli, dall'ausilio in post produzione con funzioni generative, alla creazione di immagini dal nulla, e poi non è mai un nulla, perché c'è sempre una programmazione dietro e c'è un archivio di riferimento grazie al quale viene addestrata l'intelligenza artificiale per produrre queste immagini.

Un aspetto positivo potrebbe essere che, forse, ci allontaneremo da questa idea che ci ha accompagnato per un sacco di tempo relativa al fatto che la fotografia racconta la realtà, non è assolutamente vero .

Io come fotografo posso scegliere di raccontare quello che voglio della realtà che vedo davanti, e come ricorda Susan Sontag a fronte di ogni selezione c’è un’esclusione.
L’uso dell’IA porterà probabilmente ad un allontanamento da quella verosimiglianza con la cosiddetta realtà che genererà un certo tipo di immagini più di fantasia, in un certo senso si tornerà di più all'idea del quadro. La battaglia dipinta dal pittore non è certo la battaglia fotografata dal fotografo nel Vietnam per mille motivi, questo forse ci allargherà questo tipo di prospettiva.
Come nella storia della fotografia, all'inizio, nei primi decenni, la fotografia veniva usata per tutto, comprese le diagnosi mediche o quelle psichiatriche, oggi mi pare stia accadendo la stessa identica cosa con l'intelligenza artificiale, c’è un fiorire di articoli come: la classifica delle 10 migliori squadre secondo l'intelligenza artificiale, ecc..
Peccato che l'intelligenza artificiale ogni tanto si inventi delle cose...
E’ una cosa da seguire, perché sicuramente accelererà tutta una serie di processi a vari livelli trasversali. Dove andremo? Dove arriverà? Con le conoscenze che posso avere io, per me è impossibile dirlo.

Quanto una fotografia può essere manipolata e quanto può essere vera?

Ribadisco, si fa un gran parlare di queste cose. Basta che io sposto l'inquadratura da una parte o dall'altra e già sto manipolando, perché l'idea del fotogiornalista come neutro (o anche del giornalista) non è verosimile, perché tu comunque avrai un tuo punto di vista, per quanto cerchi di metterlo da parte, puoi cercare di essere neutrale ma non sarai mai oggettivo.
Faccio un esempio molto banale: un mio ex studente con idee di sinistra, nel 2014 si è trovato in Ucraina dalla parte degli ucraini del Battaglione Azov, quindi un po’ discordanti dalle sue ideologie. Ad un certo punto arriva un razzo, un missile russo; il tizio ucraino lo prende lo sbatte per terra e gli salva la pelle e lui racconta: - Per quanto io non condividessi le loro idee, una cosa del genere fa subentrare un cameratismo e anche se chi mi aveva salvato la vita la pensava in un altro modo, che io non condividevo, non potevo non stare dalla sua parte-.

Torniamo al buon vecchio Eugene Smith che diceva: usate la verità come pregiudizio, Qual è la verità?

Ci sono esempi storici di fotografie usate da Repubblica, Manifesto e Corriere della Sera: stessa foto di cui una è manipolata e dicono cose diverse: una ti dice che sono gli ebrei cattivi che attaccano i palestinesi, l’altra ti dice che sono i palestinesi cattivi che attaccano gli ebrei buoni .

Il problema è questo: la fotografia non è portatrice di un significato univoco e può essere addomesticata in tutte le forme con un ancoraggio testuale o di altra natura. L’immagine in sé non è latrice di un significato univoco.

Quali sono i criteri per cui uno studente dovrebbe scegliere di fare questo lavoro? Cosa può trasmettere il suo corso a chi vuole imparare davvero a fare fotografia in modo professionale?

Perché uno studente dovrebbe scegliere di fare questo lavoro? Oggi è l'ultima cosa che consiglierei. Detto questo, soprattutto in certi campi, oggi come oggi gli unici campi in cui ancora si produce denaro sono la moda e tutto ciò che è legato al commerciale, per il resto è veramente dura.

Ora per quello che riguarda i nostri corsi cosa cerchiamo di dare in più?

Dare innanzitutto la coscienza che la fotografia è uno strumento per comunicare.
Questo significa che tutta la parte tecnologica e strumentale non è il fine. Noi ci distacchiamo cioè da quello che è stato sempre propagandato dalle riviste di settore, dove tutto è condizionato alla pubblicità, la pubblicità la avevi solo se parlavi bene dei prodotti. Il problema è che la proposizione pubblicitaria delle case è stata : se tu compri una data macchina fotograferai come un professionista.
Io credo che questa deriva consumistica muova le economie ma non fa crescere culturalmente la società, anzi la vincola a dei desideri indotti, non naturali.

Nei miei corsi e fin dal corso base comincio ad introdurre alcune figure di fotografi che hanno fatto delle cose che io ritengo interessanti e cerchiamo di far vedere un po’ di immagini, ad esempio nel corso di storia non vedi meno di 1.200 immagini prima di finirlo. C’è un'educazione all’immagine seguendo però il proprio punto di vista.
La fotografia si basa sulla mediazione di uno strumento e lo strumento devi poterlo governare quindi la tecnica serve, ma serve non perché quello è il fine o ti fa vedere quanto sei bravo. Serve perché ti permette di esprimere quello che TU vuoi.
Secondo me ci sono tanti tanti falsi miti, faccio un esempio, per tutti diffusissima è l'idea che se tu fotografi in manuale le foto vengono meglio. Mentre l’importante è imparare a controllare l’automatismo a fargli fare quello che dico io.
Ad un certo punto dei corsi c'è sempre qualcuno che ti dice che ha scoperto questa cosa incredibile e non ci aveva mai pensato: che prima di scattare una foto devi avere un'idea.

Ecco a questo proposito volevo rifarmi al testo" Fotocronache" di Munari proprio partendo dall’importanza di quanto detto. Munari diceva: “La fotocronaca è un modo di esprimersi più con le immagini che con le parole, le immagini possono essere scolpite, disegnate o fotografate, il mezzo non conta”.

Nel corso di Comunicazione visiva partiamo infatti proprio dal testo fotocronache di Munari per fare dei lavori
Lui era una persona assolutamente geniale, con delle intuizioni, sulla didattica, fantastiche. Lo usiamo per la destrutturazione delle immagini. Ho modificato la prassi di Munari, la parte quando lui ritaglia dei frammenti di foto per creare una storia, io li obbligo a usare il formato ma sempre della stessa proporzione, per ragionare in termini fotografici, ma è il processo di destrutturazione che conta e che uso. Cosa voglio trasmettere agli studenti? Che imparino a -guardare-.

Nel corso di comunicazione visiva facciamo un sacco di cose divertenti e destabilizzanti. Per esempio si lavora sui gradienti cromatici . Io dico loro -Rosso (esercitazione a trabocchetto): -Fotografate in rosso- e tutti arrivano con le cose rosse e io dico:- Ragionate cosa vuol dire rosso? A cosa colleghiamo questa parola ?- E lì si collegano il linguaggio e le emozioni. Lavoriamo anche sul fotografare la stessa cosa, cose inanimate. Per es: -Fotografate una cosa e rendetela triste allegra o moderna, senza intervenire se non sulle funzioni d'uso, sull'oggetto, ma con lo strumento fotografico-. Vediamo anche una serie di film. Poi facciamo un lavoro che prende spunto dall’opera di fine secolo scorso di Fontcuberta. Per esempio: dico:-Inventatevi una storia che non può essere vera ma rendetela vera con le foto imitando un modello, che può essere la rivista scandalistica, il rapporto di polizia, ecc. Se lo rifate bene deve essere una cosa credibile-.
Calcola che i nostri studenti che partono da zero nell'arco di cinque, sei mesi arrivano a produrre i loro libri nel senso che se li immaginano, devono trovare l'idea, progettare, acquisire le foto, impaginare e stampare. E queste secondo me sono le cose che fanno un po' la differenza con altri corsi analoghi.fotocronache munari

Chi è SANDRO IOVINE oggi ?

In poche parole probabilmente uno che si illude ancora di poter fare le cose in un certo modo. E non è più consono al tempo attuale, come tutte le persone che a un certo punto diventano anziane, continuano a legarsi a un modo di pensare che poi non è più coerente con il tempo in cui vivono. Nel senso che, tornando a quello che si diceva prima, c’è questa velocità di fruizione, ecco io chiedo alle persone che vengono qui di fermarsi, perché ritengo sia ancora fondamentale.
D'altra parte mi pongo anche il problema di quanto questo sia figlio del fatto che io sono nato qualche decennio prima di tante persone che vengono qui e quindi quanto anche possa essere sensato quello che io propongo nell’economia di un mondo che ha altri ritmi che dal mio punto di vista non portano a niente di positivo, portano solo a una superficialità e a una manipolazione di pensiero.
Ecco io qua insegno l’Importanza di coltivare il proprio pensiero, di avere un’idea, la propria, e se è buona seguirla fino in fondo, nella fotografia come nella vita.  
Foto di Mauro Zorer 

https://maurozorer.it/
Per info: https://www.fpschool.it

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