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Bruno Oddera l'arte del tradurre

oddera 1Un grande traduttore milanese, spesso trascurato, addirittura dimenticato, ma che ci ha fatto conoscere grandi libri della letteratura statunitense.

Primogenito di una famiglia della borghesia milanese, Bruno Oddera, nacque a Milano il 31 ottobre del 1917.

Il piccolo Bruno trascorse l’infanzia in giro per l’Italia e l’Europa, seguendo gli spostamenti del padre, che lavorava come ingegnere meccanico all’Alfa Romeo con il compito di garantire i rapporti con l’estero.

Dopo aver conseguito il diploma di maturità classica a Tripoli nel 1935, Oddera iniziò a manifestare una grandissima passione per la scrittura e lettura dei più grandi scrittori classici e contemporanei, tanto che in poco tempo si costruì una piccola biblioteca che comprendeva anche  la collana Medusa della Mondadori,  pubblicata dal 1933.

Nel 1939 Bruno conseguì la laurea in giurisprudenza all’università di Napoli, per poi, durante la seconda guerra mondiale, lavorare come traduttore per l’esercito italiano e americano fino al 1945. Alla fine della guerra, quando ritornò a Milano, suo padre gli trovò un lavoro presso la Banca Commerciale Italiana.

Agli inizi del 1948 Oddera collaborò informalmente con il padre alla traduzione del saggio di Willy Ley “I razzi” poi pubblicato dalla Bompiani alla fine dello stesso anno.

Grazie al successo di quella collaborazione casuale, Bruno ricevette l’incarico di tradurre numerose opere di successo statunitensi e inglesi, mentre parallelamente continuò a lavorare in banca durante il giorno.

Nel 1952 sposò Mariagrazia Bianchi, con cui si stabilì nel quartiere giornalistico di Milano.

L’anno dopo Bruno decise di lasciare l’impiego in banca,  perché il lavoro come traduttore era ormai diventato parte predominante della sua vita e gli consentiva di mantenere la famiglia.

Come traduttore, Oddera, negli anni Cinquanta, si interessò molto alla nascente narrativa beat statunitense e a quella inglese dei giovani arrabbiati, tradusse titoli classici tra cui  “Il nostro agente all’Avana” di Graham Greene e “Lolita” di Nabokov per la Mondadori, oltre a romanzi più di cassetta come “Cielo cinese” di Pearl Buck e “La valigetta del dottore” di Cronin.

Ma non mancarono neppure i saggi, ricordiamo “Il rapporto Kinsey” di Alfred C. Kinsey, uscito nel 1955 per la Bompiani, considerato una pietra miliare degli studi sulla sessualità.oddera 2

Con l’arrivo degli anni Sessanta il lavoro di Oddera si intensificò, producendo traduzioni di Nabokov e Greene a ritmi serrati, ma anche opere importanti e sperimentali come “Big Sur” di Jack Kerouac e “Corri coniglio” di John Updike.

In quello stesso periodo Bruno strinse amicizia con Luciano Biancardi, Pier Paolo Pasolini e Giuseppe Marotta, anche se il suo unico vero amico fino alla morte rimase lo scrittore e studioso di storia delle religioni Paolo De Benedetti.

Negli anni Settanta e Ottanta, Oddera continuò a tradurre grandi autori, Gary Jennings con “L’azteco”, ma gran parte della sua attività si orientò intorno a libri da cui vennero tratti film e miniserie televisive di successo, i più noti “Dove porta il fiume” di James Dickey e “Uccelli di rovo” di Colleen McCullough, oltre a romanzieri di cassetta come Harold Robbins e una serie dedicata al classici per l’infanzia della Mondadori.

Malato da tempo, Bruno Oddera morì nella sua casa di Torino il 28 luglio del 1988, lasciando incompiuta la traduzione del romanzo “Acres in the sky” di Adrien Lloyd, poi completata dalla moglie Mariagrazia.

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