Gianna e Neri: amore e misteri della Resistenza
La storia di due partigiani che, uniti da uno strano legame tra amicizia e amore, giocò un ruolo importante nella fine di Benito Mussolini, per poi morire in circostanze ancora avvolte nel mistero nella Milano del secondo dopoguerra.
Nata ad Abbiategrasso il 23 giugno del 1912, Giuseppina Tuissi era una ragazza alta e bruna, dal carattere focoso e ribelle, tanto che veniva definita da molti “La Passionaria” per la fermezza delle sue posizioni politiche.
Dopo aver lavorato prima alla Borletti come operaia e all’ospedale di Baggio nel ruolo d’impiegata, la sua vita ebbe un drammatico scossone l’8 settembre del 1943, quando suo padre, il fabbro Umberto e il fidanzato Gianni “Galippo” Alippi, presero la decisione di unirsi alle colonne partigiane del Gap milanese, che stavano pianificando un attentato contro la sede della legione fascista Ettore Muti.
Ma il 30 agosto del 1944 Gianni venne arrestato da un drappello fascista, torturato per tutto il giorno e infine giustiziato in via Tibaldi, nel centro storico di Milano, con tre compagni di lotta.
Alla terribile notizia Giuseppina, che aiutava i militari che stavano cercando di non tornare a combattere al fronte, fuggì dall’ospedale di Baggio e rimase nascosta fino alla fine di settembre, quando venne assegnata dal comando partigiano di Milano alla brigata comandata da Luigi “Neri” Canali, con il ruolo di staffetta.
La ragazza prese il soprannome di Gianna, in ricordo del fidanzato.
Nato a Como il 16 marzo del 1912, Canali aveva combattuto prima in Etiopia e poi nella campagna di Russia, sempre mantenendo intatte le sue posizioni contro il fascismo e la crudeltà della guerra, tanto che dopo l’8 settembre fu uno dei primi a fondare una brigata partigiana a Milano.
Subito tra Neri e Gianna nacque un legame complesso da decifrare, che non sfociò mai in una vera storia d’amore, anche se i due vissero molte drammatiche esperienze insieme, come la prigionia nelle carceri di Como da gennaio a marzo del 1944, dove furono torturati a lungo, senza cedere mai alle pressioni del nemico.
Mentre Neri riuscì a fuggire, Gianna venne liberata poco tempo dopo e con il compagno fu processata nel febbraio del 1945 da un tribunale del popolo, che condannò entrambi a morte, condanna che non venne eseguita a causa delle proteste dei partigiani comaschi.
In poco tempo i due tornarono a essere i capi delle brigate milanesi, tanto che il 27 e 28 aprile del 1945 parteciparono alla fucilazione di Benito Mussolini e Claretta Petacci a Dongo.
Ma la sera del 6 maggio del 1945, dopo aver salutato la madre, il comandante Neri scomparve in circostanze misteriose dalla sua casa di Como.
Gianna, che era stata interrogata nelle carceri di San Vittore sul presunto tradimento del 1944, non appena seppe della scomparsa del suo compagno iniziò a fare un’indagine personale, convinta che in qualche modo c’entrasse l’oro di Mussolini, rubato da Dongo dopo l’esecuzione del capo fascista.
Il 23 giugno del 1945 Gianna venne uccisa da due uomini misteriosi presso il naviglio di Cernobbio, probabilmente perché aveva scoperto qualcosa che non avrebbe mai dovuto sapere sulla morte di Neri.
Tra il 1949 e il 1957 furono celebrati due processi per gli omicidi di Gianna e Neri, che ormai venivano connessi all’oro di Dongo, ma il suicidio di un giurato portò alla conclusione prematura dell’iter giudiziario e all’archiviazione di quello che rimane uno dei misteri della seconda guerra mondiale.