Giorgio Ambrosoli: un uomo in cui credere
Non vorrei che queste righe fossero lette come mera campagna elettorale, perché non lo sono.
Però un paio d’anni fa ho letto un libro che mi è rimasto nel cuore, che negli ultimi tempi mi è tornato spesso alla mente generando qualche riflessione che mi piacerebbe condividere.
Lo ha scritto nel 2009 Umberto Ambrosoli, raccontando la storia di suo padre, perché secondo lui farlo era un modo per dare punti di riferimento positivi a coloro che credono si possa rovesciare il sistema dei privilegi, in favore del bene comune e del diritto. (U. Ambrosoli , 2009, p. 301)
Umberto- che alla morte del padre aveva 8 anni, ed era l’ultimo dei suoi tre figli – racconta la sua storia sulla base di ricordi personali, familiari, di amici e collaboratori e attraverso le agende del padre, le carte processuali. Ne esce un libro biografico, ma che ripercorre la storia dell'Italia in anni difficili. Nei primi capitoli l'autore riesce con grande semplicità a disegnare un quadro della situazione in cui Giorgio Ambrosoli nacque e visse fino al 1974, arrivando a mettere in evidenza e a far capire, anche a chi quel periodo non lo ha vissuto, i punti fondamentali degli anni di piombo.
Nel 1974 arrivò il decreto di liquidazione della Banca Privata Italiana, apice dell’impero economico (ormai traballante da diversi anni) di Michele Sindona. Solo qualche giorno prima si parlava di una proposta riorganizzativa che prevedeva che un consorzio di banche desse vita ad un nuovo istituto che si accollasse attività e passività della BPI.
A Giorgio Ambrosoli venne affidato l'incarico di liquidatore unico.
Nei successivi 5 Ambrosoli diede prova di un carattere esemplare e di grande coerenza, mentre faceva emergere gli snodi di un sistema politico-finanziario corrotto. Ambrosoli agiva in una situazione di isolamento, difficoltà e rischio di cui era ben consapevole. Già nel febbraio 1975 scritto alla moglie: "Pagherò a caro prezzo l'incarico: lo sapevo prima di accettarlo e quindi non mi lamento affatto perché per me è stata un'occasione unica di fare qualcosa per il Paese".
Il 12 luglio 1979 Giorgio Ambrosoli avrebbe dovuto sottoscrivere una formale dichiarazione: l'inchiesta che l'aveva occupato per tanti anni era finita. Ma l'11 luglio 1979, mentre l'avvocato tornava a casa dopo una serata trascorsa assieme agli amici, viene raggiunto da un sicario. Non fece in tempo ad aprire il portone di casa.
Al funerale ci fu la pesante assenza di tutte le autorità di governo.
Concludo riportando poche righe di quella lettera che Giorgio Ambrosoli scrisse alla moglie nel 1975, lasciando a voi le riflessioni….
“Qualunque cosa succeda, comunque, tu sai che cosa devi fare e sono certo saprai fare benissimo. Dovrai tu allevare i ragazzi e crescerli nel rispetto di quei valori nei quali noi abbiamo creduto [...]. Abbiano coscienza dei loro doveri verso se stessi, verso la famiglia nel senso trascendente che io ho, verso il Paese, si chiami Italia o si chiami Europa”
Per approfondire: Umberto Ambrosoli, Qualunque cosa succeda, Milano, Sironi Editore, 2009, 319 pp.
Tutta la prima parte della lettera è riprodotta a p. 316 del libro.