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Le più belle canzoni di Gaber

giorgio gaberZIGZAGANDO TRA LE CANZONI DEL SIGNOR “G”

Nella prossima ricorrenza del decennale della scomparsa dell’artista milanese Giorgio Gaber, ho pensato di dedicare un breve viaggio attraverso alcune sue, a volte ironiche, canzoni, interpretandole un po’ a modo mio, e coinvolgendo per questo anche le pagine di MilanoFree.

Ritento che tutti si sappia chi sia il signor G, ma, per chi ancora non lo sapesse o la memoria va a rilento, si tratta, come ho detto sopra, di Giorgio Gaber.

Non è possibile parlare della vita di Milano senza nominare quest’artista. Ecco, prima di iniziare il mio zig zag, una sua brevissima biografia.

 Il suo vero nome era Giorgio Gaberscik, Gaber è divenuto il suo nome d’arte, nasce a Milano il 25 gennaio 1939, in via Londonio, 28 – una strada questa che si trova tra Corso Sempione e via Luigi Canonica – da padre istriano e madre veneziana. È stato cantautore, regista e attore di teatro e cinema, commediografo. Sicuramente tra i primi interpreti del rock and roll italiano. L’auditorio al trentunesimo piano del Grattacielo Pirelli è dedicato a quest’artista. In occasione del decennale, cinquanta artisti hanno deciso, reinterpretando i suoi brani, di incidere un triplo CD col titolo “Per Gaber… io ci sono”. Il CD è uscito il 13 novembre. Detto questo, eccomi pronto a zigzagare tra le parole di alcune sue canzoni, ovviamente mi limito a citare una sola strofa e da questa fare delle mie considerazioni, così, a mente libera.

La prima canzone è IL CONFORMISTA. Il termine Conformismo, come da dizionario, è l’atteggiamento di chi si uniforma passivamente alle idee e alla mentalità correnti.  Ecco alcune parole della canzone:

Il conformista è uno che di solito sta sempre dalla parte giusta,

Il conformista ha tutte le parole belle chiare dentro la sua testa,

è un concentrato d’opinioni

che tiene sotto il braccio due o tre quotidiani,

e quando ha voglia di pensare pensa per sentito dire,

forse da buon opportunista,

si adegua senza farci caso e vive nel suo paradiso.

Il mondo è piano di conformisti, che a mio avviso comprende anche i pavidi, i leccapiedi e gli arrivisti. È quell’aggettivo “passivamente” che pesa come un macigno, e mentre sto scrivendo, mi sovvengono alla mente quei nostri politici che, magari in prossimità delle votazioni, si stracciano le vesti per far sapere che il loro partito A e la loro appartenenza a questa fazione è garanzia di bla, bla, bla, mentre i partiti B-C-D non sono all’altezza di condurre un paese; poi un bel giorno, senti il nostro politico che ha cambiato sedia e si è conformato alle idee del partito C. Ma come, non era il partito A che aveva le idee migliori? Chissà, forse nel partito C la fetta di torta è più sicura! “ Pensa per sentito dire”, canta il nostro Gaber, e purtroppo molti pensano proprio solo per sentito dire, senza usare la propria Ragione per cercare di capire. Sono troppi quelli che applaudono solo perché si è accesa una luce che t’invita a farlo; troppi che rinunciano alla propria identità, vivendo in un falso paradiso.

Un’altra sua canzone s’intitola L’OBESO.  Ecco una breve strofa.

L’obeso siamo tutti magri e grassi,

siamo i nuovi paradossi,

l’obeso è una presenza a tutto tondo

è il simbolo del mondo.

Ragazzi, se non sono parole azzeccate queste, ditemi voi! Qui chiaramente il termine non è da intendersi tanto fisicamente, ma credo rimandi a un’opulenza malandrina, una sazietà vergognosa di una società che spreca e getta nella spazzatura quintali di alimenti, anche per mantenere le quotazioni di mercato, altro atteggiamento che grida vendetta verso tutti quelli che fanno fatica ad arrivare alla fine del mese o, peggio, muoiono di fame. Una società cosi detta post industriale, dell’era super tecnologica, della scienza che si promuove a nuovo dio, che, per ingordigia, sta distruggendo i beni di madre natura. E l’ingordigia, la gola, non a caso è uno dei sette vizi o peccati capitali, non porta forse all’obesità?

La terza strofa è di una canzone che i più hanno senz’altro avuto occasione di ascoltare, s’intitola COM’E’ BELLA LA CITTA’.

Com’è bella la città,

Com’è grande la città,

Com’è viva la città,

Com’è allegra la città,

piena di strade e di negozi

e di vetrine piene di luce

con tanta gente che lavora

con tanta gente che produce.

Che sia la nostra Milano? Ebbene sì. La nostra città è bella, è grande, è certamente viva, anzi a volte è persino troppo agitata, è sicuramente allegra, anche se le tristezze non mancano e a volte, certa allegria, urta la realtà di persone che faticano per sbarcare il lunario. Piena di strade non v’è dubbio, anche se io ad alcune cambierei il nome, togliendo nomi di coloro che hanno fatto soffrire l’umanità, e metterei nomi di persone che hanno fatto del bene, e di negozi, e che negozi! Alcuni sono davvero superbi, affascinanti, con le vetrine che sanno attirare lo sguardo, poi magari di là dalle vetrine, lavora una commessa con un contratto di lavoro capestro e una paga tirata. Con tanta gente che lavora, per fortuna dico io, purtroppo ci sono, oggi, troppi giovani e non solo, che fanno fatica a trovarlo il lavoro, e, quando lo trovano, hanno contratti vergognosi per un paese civile. Con tanta gente che produce, anche il superfluo, e qui si ritorna alla canzone l’obeso.

E dalla città, passo a un’altra canzone dal titolo: I CANI SCIOLTI.

Da soli non si può far niente,

è giusto trovare una propria appartenenza,

un fondersi di idee e intenzioni

per distruggere un mondo di corruzioni;

per poter ricominciare

ci voglion nuovi volti

e non si può contare

sui cani sciolti.

Sentendo queste parole come si fa a non fare il paragone con la situazione politica del nostro paese di oggi? “ Per distruggere un mondo di corruzioni”, anche troppe per la verità. Qui se non si cambia direzione… per cambiarla occorre rivalutare a pieno quella virtù che si chiama ONESTA’, senza di questa non cambia nulla, perché chi non cambia resta come prima. “Ci voglion nuovi volti”, l’importante è che oltre ai volti ci siano anche nuovi cuori. In quanto ai cani sciolti è meglio starci molto attenti, perché si corrono dei rischi non indifferenti. Comunque deve prevalere una sana speranza, facciamolo almeno per i nostri nipotini.

“ VERSO IL TERZO MILLENNIO” è il titolo di un’altra canzone che dice:

E sento che hai ragione se mi vieni a dire

che l’uomo sta correndo

e coi progressi della scienza

ha già stravolto il mondo,

però non sa capire

che cosa c’è di vero

nell’arco della vita

tra culla e cimitero.

Il rischio è proprio questo, che si vive senza chiedersi il perché, il chi sono, chi voglio essere, dove voglio andare e cosa voglio fare. Penso che Benedetto XVI bene a fatto a indire l’anno della Fede, proprio per fermarsi e rispondere a quelle domande talmente importanti che il non rispondere è come lasciarsi trascinare dalle correnti. Domande che non riguardano solo il credente, ma tutti gli uomini-donne indistintamente; sprovveduto quel marinaio che prima di lasciare il porto non punta la bussola e tiene la rotta, finirà naufrago.

La penultima canzone è sicuramente da tutti conosciuta, io cito la canzone originale, perché esiste una versione modificata. La canzone è PORTA ROMANA.

Porta Romana bella, Porta Romana

è già passato un anno da quella sera

un bacio dato in fretta

sotto un portone

Porta Romana bella Porta Romana,

in un cortile largo e fatto a sassi

io fischio

tu t’affacci alla ringhiera.

Ogni milanese che si rispetti sa dove si trova Porta Romana, molti però non hanno vissuto le case di ringhiera, abitate da gente operaia, contadina, dove ci si conosceva tutti e dove, nelle sere d’estate, ci si ritrovava tra famiglie a raccontarsela e spettegolare, e siccome il telefonino era ancora di là da venire, spesso ci si chiamava col fischio o gridando il nome dal cortile. Vi garantisco che anche questo modo aveva un suo fascino.  

L’ultima canzone è anche questa piuttosto conosciuta, difatti s’intitola LA BALLATA DEL CERUTTI.

Il suo nome era Cerutti Gino,

ma lo chiamavan drago,

gli amici al bar del Giambellino.

Dicevan ch’era un mago.

Questa ballata popolare è un pezzo di vissuto della vecchia Milano; tra l’altro il bar del Giambellino, al quartiere Giambellino, esiste anche oggi, e in ogni bar non manca mai il tipo che diviene bersaglio della compagnia, nella canzone è il Cerutti, che comunque era un drago, e dare del drago a qualcuno è come riconoscergli una forza e una capacità non indifferenti, così come dargli del mago, a meno che sotto questi termini non si nascondeva una certa ironia, e mi sa che nel caso del Gino…

Ecco, ho terminato questo mio breve zigzagare, spero di non aver annoiato nessuno, tanto meno il signor G, che da una bianca nuvoletta osserva il nostro procedere nella sua e nostra grande Milano.

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