Antonio Boggia: il primo serial killer di Milano
Una storia un po’ raccapricciante, ormai di quasi due secoli fa, ma che la Milano ottocentesca visse e che vogliamo raccontare oggi.
Il 26 febbraio del 1860 Giovanni Maurier, che lavorava come pittore di ceramiche presso la Richard ceramiche, si recò presso la polizia di Milano per denunciare la scomparsa della madre, Ester Maria Perrocchio, una vedova settantenne che viveva al numero 10 di via Santa Maria.
Alla polizia la denuncia suscitò subito molta preoccupazione, in quanto nelle vicinanze di quel quartiere erano già scomparse, in circostanze analoghe, molte altre persone.
Dalla denuncia di Maurier si venne a sapere che la madre, pochi giorni prima della sua scomparsa, gli aveva confidato di essere entrata in affari con uno degli abitanti del quartiere, che le aveva promesso di vedere alcuni pezzi di antiquariato molto rari e costosi.
L’uomo, che si chiamava Antonio Boggia, era nato il 23 dicembre del 1779 ad Urio, sul lago di Como e fin da giovane si era dedicato ad una attività di piccolo imprenditore edile, per poi perdere tutto per una serie di rovesci economici, e quindi emigrare in Piemonte.
Molti anni dopo il Boggia era tornato a Milano, dove aveva lavorato come carpentiere e muratore, finendo per essere molto stimato e benvoluto da tutti per la sua buona volontà e capacità di integrarsi con i suoi colleghi.
Inoltre aveva lavorato come addetto all’accensione delle stufe presso il palazzo Cusani ed era un assiduo frequentatore della chiesa di San Giorgio al Palazzo, a cui spesso aveva versato collette e donazioni per i più poveri.
Ma le prime indagini della polizia misero in luce che, alcuni anni prima, il Boggia era stato in manicomio per aver tentato di uccidere un contabile ed era stato liberato dopo adeguate cure mediche.
Questo spinse la polizia ad ordinare un’ ispezione nella casa del sospettato e, grazie alle portinaie di Santa Marta, il giudice Crivelli scoprì, in un nascondiglio nel sottoscala, i resti della Perrocchio, a cui mancavano le gambe e la testa.
Sentendosi perduto, il Boggia confessò di aver computo altri tre omicidi, sempre allo scopo di derubare le sue vittime dei loro pochi risparmi e rivelò anche che ne aveva nascosto i corpi nella cantina della sua casa, dove infatti la polizia trovò i loro scheletri.
Mentre i milanesi rimasero sconvolti nello scoprire che uno dei loro concittadini più stimati era un feroce assassino e ladro, il 18 novembre del 1861 si aprì il processo per direttissima contro il Boggia, che malgrado il tentativo del suo avvocato di farlo dichiarare pazzo, venne condannato a morte senza possibilità di appello.
Gli avvocati tentarono in tutti i modi di ottenere la grazia per il loro cliente, ma fu tutto inutile.
Il 6 aprile del 1862, alla presenza di una gran folla di cittadini milanesi, ansiosi di vedere con i loro occhi che giustizia era fatta, il Boggia venne impiccato all’angolo tra Porta Lodovica e Porta Vigentina.
Ma la storia del mostro di Via Bagnera non finì con la sua morte; infatti il suo cranio venne consegnato a Cesare Lombroso, allora insegnante presso il gabinetto anatomico dell’Ospedale Maggiore e che ne trasse spunto per i suoi studi sulla fisionomia dell’assassino, diventati una pietra miliare per gli studi criminologi del Novecento.
Il teschio del Boggia rimase nell’Ospedale Maggiore di Milano fino alla seconda guerra mondiale, quando andò disperso durante i bombardamenti tedeschi su Milano.
Leggi anche:
Milano inquietante: la classifica dei 5 luoghi più spaventosi della città
La storica rapina di via Osoppo a Milano: 27 di febbraio 1958