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Il pellegrinaggio come scoperta sul senso della vita

Iniziamo col dire che il termine deriva dal latino “peregrīnu(m) ”ossia “straniero”, poi nel tardo “peregrināre” col significato di “viaggiare all’estero”: da “pěregre” che indica il “viaggiare fuori città”. Quindi un pellegrino è colui che viaggia, mentre per pellegrinaggio si deve intendere sì un viaggio che però sottintende un cammino di penitenza e devozione ai luoghi santi.

L’umanità dagli albori della sua comparsa sulla Terra non è mai stata ferma ma in continuo movimento, allora come oggi dove il viaggiare ci ha portato nientemeno che sulla Luna; tuttavia il pellegrinaggio è diverso da un semplice viaggio di piacere o una scampagnata, è qualcosa di più intimo, di più profondo, di ricerca e di coraggio nel raggiungere la meta. Perché si attui un pellegrinaggio abbisogna di tre ingredienti: aver chiaro una meta da raggiungere e perché, avviarsi su una precisa strada e qualcuno o qualcosa che ci indichi il percorso. L’attrezzatura e l’abbigliamento adatto sono consequenziali alla meta prefissa.escursioni camminare pix

Il termine pellegrinaggio ci fa venire alla mente i pellegrini medievali che si mettevano in cammino per raggiungere le tre mete canoniche, Roma, Gerusalemme e Santiago di Compostela, mentre oggi le mete, sia di contenuto e finalità religiosa sia più laica, sono divenute innumerevoli e più che pubblicizzate. Una delle più conosciute è la via Francigena, ma ne nascono altre magari solo regionali come ad esempio la via di Carlo Magno in Lombardia. Cosa le differenzia? La meta che può essere a scopo religioso oppure semplicemente un cammino diciamo laico. Il fiorire di questi cammini è ovviamente un bene poiché porta ad una riscoperta di una propria appartenenza, di una riscoperta delle proprie origini e del proprio territorio. Ogni cammino comunque è sicuramente una scoperta, una avventura da vivere e raccontare.

Un pellegrinaggio ha un inizio e una fine, un inizio non solo materiale ma soprattutto spirituale, più intimo che deve rispondere alle domande: perché voglio iniziare questo cammino? Cosa cerco o ricerco? Qual è la meta che voglio raggiungere e perché proprio quella? Queste domande ovviamente se le può porre anche chi non si appresta a un pellegrinaggio, ma ad una semplice camminata, tuttavia che fa la differenza è la motivazione di fondo.

Una volta partiti continueremo ad essere coinvolti negli imprevisti che la vita ci mette di fronte e che simbolicamente sono rappresentati da una strada piana, non faticosa, oppure troppo assolata e calda o, viceversa, da un tempo inclemente e freddo; ecco adesso che la strada si fa faticosa, magari in salite a volte ardue, oppure che discende in maniera troppo artificiosa, e tutto questo non fa che mettere alla prova il pellegrino, la sua tenacia nel proseguire nonostante le fatiche, la sua coerenza e costanza nel tenere ferma la meta prefissa. Quanti che hanno fatto una semplice gita in montagna per raggiungere un rifugio hanno fatto fatica, qualcuno anche sul punto di rinunciare, poi però una volta giunti si ha provato una sensazione di felicità, di benessere, di soddisfazione di sé. Ricordo un mio zio che mi diceva: se vuoi provare la tua forza, ovviamente non solo fisica, rivolgiti alla montagna, essa ti darà la risposta.

Un altro dato significativo di un pellegrinaggio è l’apertura a relazioni interpersonali con persone mai conosciute ma che percorrono con te la stessa strada. La capacità di condividere con l’altro, di voler aiutare chi si trova in difficoltà, di aprirsi al dialogo, alla conoscenza dell’altro; tutte ricchezze che aiutano a crescere. Poi c’è l’aspetto del coinvolgimento interiore che ti interroga sul senso della vita, sulla bellezza del Creato riverberato nella natura, sulla capacità di superare egoismi senso di rinuncia. Ecco che allora la meta finale non è più vista solo come punto materiale da raggiungere, ma come meta che conduce al Trascendente, che mi porta a concepire che oltre quella meta percorsa ve ne è un’altra ancora più grande.

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