Canzoni milanesi sulla mala: la Ligera
Precisiamo subito che per "mala" s'intende la malavita, in questo caso milanese, quella che era nominata "Ligera", e che aveva un suo codice d'onore che evitava il maltrattamento gratuito di persone inermi o le inutili uccisioni.
Prima di descrivere alcune di queste canzoni è doveroso riportare i nomi di coloro che hanno scritto, musicato e cantato queste storie di mala. Ricordo, ad esempio, Nanni Svampa, Enzo Jannacci, Walter Valdi, Ornella Vanoni, Dario Fo. Ecco adesso alcune di queste canzoni, che consiglio però di ascoltare per entrare nello spirito della stessa.
La canzone "E con la cicca in bocca" sottolinea il periodo di povertà e operosità dove, per poter campare, ci si doveva anche adattare. Nel riportarne il testo tralascio la ripetizione delle strofe.
- E con la cicca in bocca
e la roeuda del pan de mej
la povera ligera, la povera ligera,
e con la cicca in bocca
e la roeuda del pan de mej
la povera ligera la va a portà i quadrei.
E con tucc i tramm che gh'è
la ligera la marcia a pè
amor amor amor
e la rosa l'è on bell fior.
Si ripete la prima strofa.
E i scarpett che lee la gh'ha
j'ha pagaa el padron de cà
amor amor amor, eccetera.
Si ripete tutta la prima strofa.
Un'altra canzone popolare della mala riferente però un fatto di cronaca accaduto realmente è "La povera Rosetta", il cui nome era Elvira Andrezzi, e sulla cui morte rimangono dubbi ancora da chiarire. Della canzone vi sono due versioni, nella prima, cantata da Svampa e dai Gufi, si dice che morì il tredici di agosto, mentre in una versione cantata da Milly la data è quella del ventisei di agosto. Tuttavia fu accertato che la Rosetta morì la mattina del ventisette del 1913. Nella versione di Svampa si accenna a una "colonnetta", che fa capire come fosse dove la ragazza "batteva" in piazza Vetra, tuttavia potrebbe anche essere un riferimento alla famigerata "colonna infame" eretta contro Gian Giacomo Mora vittima degli untori.
Ecco il testo di quella più cantata.
Il tredici di agosto,
in una notte scura,
commisero un delitto
gli agenti di questura.
Hanno ammazzato un angelo:
di nome la Rosetta.
Era di piazza Vetra,
battea la Colonnetta.
Chi ha ucciso la Rosetta
non è della Ligera:
forse viene da Napoli,
è della Mano Nera.
Rosetta, mia Rosetta,
dal mondo sei sparita,
lasciando in gran dolore
tutta la malavita.
Tutta la malavita
era vestita in nero:
per ‘compagnar Rosetta,
Rosetta al cimitero.
Le sue compagne, tutte,
eran vestite in bianco:
per ‘compagnar Rosetta,
Rosetta al camposanto.
Si sente pianger forte
in questa brutta sera:
piange la piazza Vetra
e piange la Ligera.
Oh, guardia calabrese:
per te sarà finita;
perché te l'ha giurata
tutta la malavita.
Dormi, Rosetta: dormi
Giù nella fredda terra;
a chi t'ha pugnalato,
noi gli farem la guerra;
a chi t'ha pugnalato
noi gli farem la guerra.
Il riferimento agli agenti di questura è perché in un primo momento due agenti furono accusati del pestaggio e del delitto, ma poi furono assolti perché il loro alibi li scagionava. È anche rimarcato nel finale della canzone, come emerge il senso di vendetta.
Altra canzone, questa volta più ironica, è quella cantata da Jannacci dal titolo "Faceva il palo"; fare il palo nel gergo della mala significava mettersi di vedetta per avvertire se arrivavano quelli della polizia o i carabinieri.
Faceva il palo nella banda dell'Ortiga
Ma l'era sguercio, non ci vedeva quasi più
Ed è stato così che li han presi senza fatica
Li han presi tutti... tutti, tutti, tutti, fuori che lui
Lui era fisso che scrutava nella notte
Quando gli passato davanti a lui un carabinier
Insomma on ghisa, trii carriba e on metronotte
Gnanca una piega lù l'ha fà, gnanca un plissé
Faceva il palo della banda dell'Ortiga
Faceva il palo perché l'era el sò mestee
Così precisi come quelli della Mascherpa
Sono restati lì i suoi amici, a vedere i carabinier
Han detto: Ma come, porco Giuda, mondo cane:
Il nostro palo, brutta bestia, ma dov'è?
Lui era fisso che scrutava nella notte
Ha visto nulla, ma in compens l'ha sentii nient
Perché a vederci non vedeva un'autobotte
Però a sentirci ghe sentiva on accident
Faceva il palo della banda dell'Ortiga
Faceva il palo perché l'era el sò mestee
Ci sono stati pugni, spari, grida e botte
J'hann menaa via che l'era giamò quasi mezzdì
Lui sempre fisso, lì, a scrutare nella notte
Perché el ghe vedeva istess de nòtt come 'n del dì
Ed è li ancora come un palo nella via
La gente guarda, gli dà cento lire e poi, poi va
Lui, circospetto, guarda in giro e mette via
Ma poi borbotta, perché ormai l'è un po' arrabbià
Ed è arrabbiato con la banda dell'Ortiga
Perché lui dice: Non si fa così a rubar
Dice: Ma come, a me mi lascian qui di fuori
E loro, loro chissà quand'è che vengon su
E poi il bottino me lo portano su a cento lire
Un po' per volta, ma a far così non finiamo più
Nò, nò, quest chì è pròppi on lavorà de stupid
Io sono un palo, non un bamba, non ci sto più
Io vengo via da questa banda di pistola
Mi metto in proprio, così non ci penso più
Faceva il palo della banda dell'Ortiga
Faceva il palo perché l'era el sò mestee
Molte altre ve ne sono che trattano l'argomento della mala, ma per ragioni di spazio qui mi devo fermare. Ve le racconterò un'altra volta.
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