La vendemmia: un rituale antico quasi magico
La vendemmia, un momento quasi magico di un rito antico che non ha perso il suo fascino. Il termine vendemmia significa “levata, raccolta” e proprio di questo si tratta. Oggi vi sono mezzi meccanici per il trasporto dell’uva raccolta, ma una volta era fatto tutto a mano e a spalle, ed è proprio della storia popolare, ossia di canzoni, detti, proverbi della vendemmia che vi voglio raccontare.
Una precisazione: per vendemmia si intende la raccolta delle uva da vino, poiché per le uve da tavola il termine esatto è quello di raccolta.
La vendemmia era un momento di condivisione, di festa, anche se le mani cambiavano colore acquisendo quello del mosto, e dove la polvere volentieri vi si attaccava, con le braccia stanche nella ripetizione continua degli stessi movimenti. L’uva recisa veniva portata, a spalle, fino alle bigonce che si trovavano in cima al campo, nella viottola, accanto al carro dei buoi che provvedevano a trasferire il mosto sino alla cantina. Oggi i trattori hanno sostituito questa procedura, alleviando la fatica, ma facendo anche venir meno quei momenti di condivisione, di canzoni intonate da qualcuno/a più intonato che rallegrava nella fatica.
Uno dei detti da non dimenticare era questo che diceva:
chi vendemmia troppo presto
o svina debole o tutto agresto.
Un tempo c’era chi raccoglieva dopo la pioggia per avere più vino, ed ecco nascere il proverbio che dice:
Vendemmia bagnata
la botte è consolata.
Tuttavia non è cosa opportuna vendemmiare l’uva bagnata di pioggia, e questo perché sappiamo che l’acqua e il vino non vanno proprio d’accordo.
Come la mietitura e altri lavori anche per la vendemmia non mancavano le stornellate, alcune burlesche e irriverenti come questa che cantava così:
Fior di ricotta,
la vostra mamma per farvi la bocca
ha preso la misura a una ciabatta.
Fior di cannella,
tu hai una bocca che pare una stalla
che c’entrano dieci tori e una vitella.
Fior di limone,
tu hai la bocca che pare un tegame
e il naso come un corno di montone.
E volendo, ci si poteva continuare a sfottere aggiungendo strofe che si facevano venire alla mente.
Voglio citare una breve di Cesare Pavese, scrittore, poeta, che parla così della vendemmia:
“Sono i giorni più belli dell’anno. Vendemmiare sfogliare, torchiare non sono neanche lavori; caldo non fa più, freddo non ancora; c’è qualche nuvola chiara, si mangia il coniglio con la polenta e si va per funghi”.
Leggendo queste parole pare di essere immersi in quella atmosfera quasi magica.
Anche lo scrittore Italo Calvino ci lascia questa breve:
“Ma c’erano vaste pendici di vigneti, e ad agosto, sotto il fogliame dei filari d’uva rossese gonfiava in grappoli d’un succo denso già di color vino”.
Scipio Slataper, scrittore e militare, irredentista italiano, così descrive un momento della vendemmia che riporta a momenti lontani.
“Bella è la vendemmia. Oltre i vignaioli vanno grida e risate; i cani sbalzano, accucciandosi sulle zampe anteriori davanti, da questo a quel gruppo di vendemmiatori, e i passeri frullano sbandati. Le labbra e il mento sono appiccicose di miele stillato, e le mani, la maglia, il manico della roncola, i pampini, le brente (ceste per deporre i grappoli), i carri. Tutto e una gomma rossastra”.
Potevo tralasciare di citare il vate? Ecco allora cosa ci dice il D’Annunzio:
Prema co’l pié gagliardo un giovinetto,
entro il tino di quercia, le capaci
sacca ricolme d’uva succulenta;
ed all’urto gli scorra il mosto in rivi.
Ecco adesso alcuni proverbi nati dalla saggezza contadina.
Bella vigna, poca uva.
Chi di marzo non pota la vigna perderà la potatura e la vendemmia.
Chi pota bene vendemmia meglio.
Un canestro d’uva non fa vendemmia.
Pota corto se vuoi vendemmia lunga.
Vecchio tralcio fa buona vendemmia.
Per San Michele, l’uva è come il miele.
Molto ci sarebbe ancora da raccontare, ma per questa volta qui mi fermo, anche perché sono quasi le ore sedici, e a scrivere di vendemmia mi è venuta voglia di andare a fare merenda con un buon salame casereccio e un buon bicchiere di vino. A voi no?