Relazioni a Milano: siamo legati a molti altri
Se sei una donna o un uomo e vivi in una grande città certamente fai parte di quella fitta rete di relazioni interpersonali che dominano la quotidianità di ognuno di noi.
Me ne rendo conto passeggiando lungo le vie del centro in preda ad attacchi da “maniaca del saldo al 70%”, mentre aspetto la metropolitana a Lanza o mentre scocca il 40esimo minuto di chiamata telefonica con la mia amica alle prese con tipi “sempre un po’ troppo strani”. Tutti, volenti o nolenti, abbiamo un sottile filo legato alle costole che tira, facendo un male atroce, quando cerchiamo di allontanarci troppo dagli altri.
Qualcuno disse: “sei nato solo e solo morirai”. Ma è davvero così? È davvero possibile non far parte della vita degli altri? Siamo microcosmi emozionali che fluttuano sfiorandosi senza però fondersi mai?
Pare proprio di no. Ci tormentiamo per uno sguardo, ci crogioliamo nel ricordo di un brivido, interpretiamo un sorriso donandoli la valenza di segno. Ogni giorno viviamo per un traguardo che coinvolge necessariamente molte altre persone. Non importa che lo si ammetta o meno, tutti noi abbiamo per lo meno bisogno di qualcuno che appoggi le nostre scelte, che ci supporti, che ci aiuti o anche solo che ci invidi. Perché in fin dei conti che valore diamo alle cose, se non quello di cui interpretiamo il riflesso negli sguardi altrui?
I discorsi di donne e uomini volano nell'aria, si perdono lungo i seggiolini di un tram, si interrogano per poi ritrovarsi ancora tra le pareti di un ufficio. Spesso questi pensieri sono silenziosi: deliziosi punti interrogativi leggibili attraverso una retina nascosta dietro ad un grosso occhiale scuro nel trambusto cittadino. E spesso ognuno di questi “tormentosi” pensieri riguarda altri individui: il capo, la fidanzata, la baby-sitter, la professoressa, il conducente del tram che ha fatto venti minuti di ritardo. La nostra persona è legata inevitabilmente a molti, molti altri esseri viventi. Una danza armoniosa composta dai “se” e dai “però” di donne che credono di aver perso tutto solamente perché la notizia di una promozione, di un viaggio, di un sogno non è poi così bella se non hai qualcuno con cui condividerla.
Così non posso fare a meno di chiedermi -in questa grande città che ci offre tutto a qualsiasi ora del giorno, che ci dona la possibilità di poter fare della nostra passione professione, che ci regala arte e divertimento, che ci abbraccia con il suo cielo plumbeo- è davvero necessario lo sguardo di qualcun altro per farci sentire belli e desiderabili, è davvero necessario qualcos'altro per essere felici?
Probabilmente quello che siamo è l’intersezione di una serie di elementi. Se ci riflettiamo ognuno di noi, per quanto creda di essere indipendente e per quanto pensi di avere già la risposta, non sarebbe dov'è in questo preciso istante se molti anni prima qualcuno non avesse deciso di fondersi con qualcun altro. In effetti noi stessi siamo l’emblema delle relazione. Ognuno di noi è il numero che corrisponde alla X di quell'equazione la cui unica soluzione dipende dall'addizione di più elementi. E forse possiamo decidere di estraniarci da tutto questo, tagliare il cordone ombelicale che ci unisce agli altri ma, in ogni caso, noi saremo comunque “traccia, graffio, numero, cuore” per qualcun altro: indipendentemente dal fatto che lo si scelga o meno.
E forse è davvero questo, quel piccolo e insignificante puntino che uniamo a tutti gli altri, che ci rende quegli esseri speciali che siamo. Forse l’essere parte di questo problematico sistema fa si che ognuno di noi sia la persona che è. Forse si nascerà soli e si morirà altrettanto soli: ma questo basta davvero ad essere felici?
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