Pio IV: storia di un grande Papa
Quello che gli storici chiamarono “Piccolo nepotismo” costituì nei secoli un fondamentale apporto alla storia dell’arte e della letteratura in genere, in quanto, i parenti dei papi che assunsero questa carica furono, nella maggior parte dei casi, uomini preparati, colti e amanti delle Arti sotto tutti gli aspetti, i quali seppero usare le loro cospicue fortune per arricchire la città di opere insigni.
La terza “C” fu costituita dal Concilio, che languiva ormai da troppo tempo nella città di Bologna, oppresso da impedimenti politici di ogni tipo. Pio IV riuscì con fatica a rimuovere i contrasti dei vari governi e ad emanare la Bolla Ad Ecclesiae regimen, con la quale si stabiliva la riapertura dell’ultima sessione la domenica di Pasqua, il 16 aprile 1561, a Trento. Dal luglio 1562 al dicembre 1563 vennero emanati i decreti sui quali si basarono e si basano tutt’ora i pilastri della fede Cattolica. In primo luogo i valori sacramentali: “dell’Ordine, e quindi la specifica istituzione divina del clero (contro la tesi luterana del sacerdozio universale), del Matrimonio (vincolo perpetuo ed universale), della Comunione sotto una sola specie (lasciando la facoltà al Pontefice di concedere il Calice), della Messa (nel suo carattere sacrificale di Cristo stesso con fine propiziatorio di misericordia e di grazia per i credenti), del Celibato ecclesiastico (contro la tesi luterana del matrimonio dei sacerdoti)”. Altre norme fondamentali riaffermate dal Concilio furono l’obbligo di residenza nelle proprie diocesi e della visita pastorale ad Limina Apostolorum per i vescovi; la riaffermazione dell’esistenza del Purgatorio e dell’intercessione delle anime; l’importanza del culto dei santi e della venerazione delle loro reliquie; la conferma dell’importanza dell’uso delle Indulgenze per la remissione dei peccati (decreto De Indulgentiis).
Il 14 dicembre 1563 il Concilio si chiuse solennemente; tutti gli articoli erano stati votati all’unanimità da 250 Padri, i quali avevano compreso di essere ad una svolta epocale della storia della Chiesa. Il teologo L. von Ranke così si espresse a riguardo: “Si era infine arrivati in porto. Il Concilio, così ardentemente richiesto, evitato così a lungo, due volte sciolto, scosso da tante tempeste del mondo [...] era terminato con l’universale accordo del mondo cattolico. La Chiesa ne usciva frantumata sul piano dell’unità della Fede, ma rinsaldata nella dottrina dogmatica, riformata sul piano morale e disciplinare e confermata nella teoria della supremazia papale”.
Milano, nel frattempo, dopo un periodo di aspre guerre, combattute dai francesi e dagli spagnoli per il controllo del ducato, era ritornata sotto la Signoria di Francesco II Sforza nel 1521. Lo Sforza, lo stesso che abbiamo visto assegnare nel 1532 il Feudo di Melegnano a Gian Giacomo Medici, fratello del papa Pio IV, costituendolo 1° Marchese, cercò, durante il suo governo, di tenere un comportamento equidistante sia dagli spagnoli che dai francesi, ma il suo regno fu di breve durata venendo a morire nel 1535 senza eredi diretti. La Spagna cominciò così seriamente a pensare ad una annessione pura e semplice di Milano, dato che la floridezza dei commerci lombardi e la ricchezza agricola del suolo avrebbero costituito un ottimo introito per le casse spagnole. Nel 1546 l’Imperatore Carlo V investì il figlio Filippo II del ducato (la rinuncia formale della Francia si ebbe con la pace di Cateau Cambrésis nel 1559), dando così inizio al governo spagnolo durato fino agli inizi del XVIII secolo. Da un punto di vista delle istituzioni ecclesiastiche spicca il governo di Ippolito II d’Este, arcivescovo per tre volte. Eletto a soli 10 anni alla sede milanese nel 1519 non risiedette mai in diocesi, facendosi rappresentare, come purtroppo succedeva assai spesso all’epoca, da amministratori e procuratori. Rinunciò alla diocesi ambrosiana una prima volta nel 1550; al suo posto fu eletto Giovanni Angelo Arcimboldi (1550-1555), di antica famiglia milanese, energico, pubblicò le Ordinationes pro clero et sua diocesi per la moralizzazione della vita ecclesiastica e visitò moltissime parrocchie rivitalizzandone la cura delle anime.
Nel 1555 Ippolito II riprese l’incarico della Diocesi che cedette al milanese Filippo Archinto (1556-1558). Fervido propugnatore del Concilio di Trento, alle cui sessione aveva attivamente partecipato, l’Archinto, entrò subito in contrasto con gli ambienti della Curia per le sue energiche tesi riformiste, fu costretto a rifugiarsi a Bergamo dove riuscì ugualmente ad amministrare la sua diocesi. Nel 1559 Ippolito II, che aveva di nuovo ripreso le redini del governo ambrosiano, rimise il suo mandato nelle mani di papa Pio IV che, divenuto a pieno diritto arcivescovo di Milano, il 7 febbraio 1560 nominò amministratore della diocesi ambrosiana il nipote Carlo Borromeo, il quale, come è noto, vorrà risiedere a Milano e ne rifonderà e rinnoverà le istituzioni ecclesiastiche.
Federico Bragalini
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