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Prevenire l'Ansia in età adolescenziale: intervista al Dottor Davide Scheriani

L’ansia è considerata da molti esperti un disturbo della psiche, per tanti altri studiosi viene classificata come una patologia che si manifesta in un individuo attraverso un comportamento nervoso e disagiato.ansia adolescenziale dott scheriani1

    Ad essere soggetti a questo disturbo spesso sono anche i giovani adolescenti, costretti ad affrontare situazioni di insicurezza , oppure propensi ad una ricerca eccessiva della propria approvazione,  basta poco che si sentano delusi ed impauriti.

Abbiamo voluto chiedere al nostro esperto il Dottor Davide Scheriani, psicoterapeuta di Legnano, spesso impegnato nel supporto degli adolescenti attraverso numerosi progetti scolastici cosa ne pensasse di tutto questo.

Dottore, che cos’è l’ansia e perché spesso gli adolescenti sono ansiosi?

L'ansia è una risposta di allarme che il nostro organismo ha “imparato” a emettere in tutte quelle situazioni in cui viene percepito un pericolo. Ha quindi una funzione particolarmente adattiva e utile, perché consente di evitare rischi importanti per la sopravvivenza dell'individuo. Non coinvolge soltanto la dimensione della psiche con pensieri ed emozioni, ma sollecita anche il piano fisico e corporeo (o, per meglio dire, somatico). Ciascuno di noi quindi porta dentro di sé e obbedisce a meccanismi di regolazione dell'ansia che sono in parte filogenetici (cioè appresi nel corso dell'evoluzione della specie umana) ed in parte individuali, determinati dalla propria biografia e dalle modalità di contatto ed interazione con l'ambiente e con gli altri.

Alcuni di noi, nel corso della vita, si trovano maggiormente esposti a vissuti soggettivi di instabilità e mancanza di sicurezza; peraltro, vi sono specifiche fasi della vita che possiamo considerare generalmente più “esposte” a questo tipo di esperienze. L'adolescenza è senz'altro una di queste fasi, nel corso della quale ciascuno è chiamato a confrontarsi con temi esistenziali importanti per la crescita personale: ad esempio, l'emancipazione dallo stato di dipendenza dalle figure genitoriali o familiari, l'accettazione dei mutamenti fisici, il bisogno di maggiore autonomia e libertà, cui si accompagna una conseguente ambiguità ed incertezza inerenti le proprie capacità di “farsi strada nel mondo”, a scuola, con le amicizie, con le relazioni sentimentali. In questa prospettiva, allora, non vi è nulla da stupirsi se ritroviamo l'ansia tra i principali stati emotivi ricorrenti degli adolescenti, in particolare in questa specifica fase storico-sociale di contatto con un fenomeno così destabilizzante come una pandemia mondiale.

Quando parliamo di ansia spesso parliamo di un senso di paura.ansia adolescenziale dott scheriani2

Quali sono i sintomi e la cause di tutto questo?

Le cause che sottendono ad uno stato di ansia pervasiva e ricorrente sono, a mio parere, da ricercarsi nella “storia relazionale” della persona. La mia formazione professionale, di orientamento appunto sistemico.-relazionale, non può che indirizzare la mia attenzione verso le esperienze e le narrazioni che ciascuno di noi può riferire in merito a quanto, più o meno esplicitamente, ha sperimentato nel rapporto con gli altri nel corso della propria vita. Cosa abbiamo imparato (o, per meglio dire, “interiorizzato) nel corso dell'allenamento svolto in quella “palestra affettiva primaria” che è stata allestita negli anni di permanenza in seno alla nostra famiglia di origine? Come abbiamo riportato questi apprendimenti nelle successive storie di relazione che abbiamo incontrato? Le nostre credenze sono state rafforzate o modificate? Potremmo affermare di avere ricevuto una base tanto “solida” di conferma di noi stessi e del nostro valore da essere in grado di affrontare i rischi della vita e i momenti di difficoltà e solitudine che talvolta sopravvengono? Queste sono solo alcune domande che possono orientarci a comprendere meglio il nostro specifico modo di rapportarci all'ansia; in molti casi, però, la questione è ancor più complessa. Come detto poc'anzi, infatti, questo stato emotivo tocca delle corde molto profonde, strettamente radicate nel substrato fisiologico dell'individuo, che può manifestare sintomatologie di tipo vegetativo (cioè relative al sonno, all'alimentazione, al funzionamento gastro-intestinale, cardiaco, respiratorio) senza che vi sia un'esplicita correlazione con i pensieri razionali e le esperienze note. E' il caso di coloro che: “si sentono agitati e non sanno perché...”; in queste situazioni, l'intervento per il cambiamento e il ripristino dell'equilibrio e del benessere deve, a mio avviso, partire dalla premessa che mente e corpo siano strettamente connessi e vadano “curati” in parallelo: bisogna infatti tanto prendersi cura dell'uno che dell'altra, ripercorrendo con pazienza e fiducia i legami che tengono uniti le nostre percezioni con le nostre esperienze. E' un impegno quotidiano e spesso faticoso, ma di certo il gioco vale la candela, anche in quei casi in cui si ravvisi l'utilità di avere uno o più professionisti al proprio servizio, per capirsi e sentirsi meglio. ansia adolescenziale dott scheriani3

Esiste una cura definitiva per l’ansia, si guarisce definitivamente dall’ansia, si potrebbe fare anche prevenzione ?

Spero sinceramente che non prenda mai troppo potere un'istanza (scientifica o collettiva) che punti ad eliminare definitivamente l'ansia dal nostro vissuto quotidiano! Come già detto, ci abbiamo messo millenni per ottenere un meccanismo tanto utile di autoconservazione e non credo che valga la pena di abbandonarlo. Non auguro davvero a nessuno di “guarire definitivamente dall'ansia” e guardo con malcelato scetticismo a tutte quelle fonti, più o meno autorevoli, che promettono rimedi e tònici che azzerino la nostra naturale propensione a temere i rischi e i limiti imposti dalla società e dalla natura. E' però auspicabile che ciascuno di noi impari a fare i conti con questa sensazione, a dargli il giusto nome e gli appropriati confini. In tal senso, ritengo che la prevenzione sia tanto importante quanto la cura, o meglio che l'una sia compresa nell'altra. Credo che sia abbastanza condiviso il fatto che sia molto più difficile cercare di ridurre l'ansia quando questa si manifesta a livelli ingenti e con modalità “travolgenti”... E' quasi impossibile riflettere ed agire, in quelle situazioni.

Effettuando programmi di prevenzione e di training, possiamo imparare a riconoscere in noi stessi e negli altri i segnali e gli “anticipatori” di uno stato di ansia e procedere quindi ad effettuare tutte quelle azioni che più facilmente possono ristabilire l'equilibrio. Credo inoltre che queste azioni possano essere ancor più proficuamente indirizzate a fasce più “sensibili” e giovani della popolazione, per generare effetti benefici sul lungo termine. In tal senso, mi permetto di ricordare il progetto “AsTRi”, da me svolto in epoca pre-pandemica con la Dottoressa Elena Gasparri, indirizzato alla prevenzione di sintomi di ansia scolastica in alcuni istituti superiori della provincia di Milano. Un'esperienza veramente formativa e qualificante per tutti coloro che vi hanno partecipato (compresi i conduttori, ovviamente!). Mi auguro di poterla riproporre nel prossimo futuro presso quegli istituti che mostrino propensione al proseguimento della sperimentazione. ansia adolescenziale dott scheriani4

L’adolescenza è un periodo molto delicato della vita, Cosa può fare la famiglia oppure la scuola per aiutare questi ragazzi a superare questo disturbo?

Riprendo ciò che ho espresso più sopra: la famiglia di origine è la prima palestra ove impariamo a relazionarci con gli altri e con le emozioni. Da questo contesto traiamo le direttive principali per orientarci e definire quali esperienze possano essere riconosciute, nominate e condivise. Qui incontriamo anche la prima rappresentazione del mondo fuori dai confini domestici, come luogo accogliente piuttosto che minaccia da cui tenersi in guardia (ove non addirittura a debita distanza). Se questo è vero, risulta altrettanto ovvio che la fase dell'adolescenza sia un momento del ciclo di vita familiare cruciale per avere indicazioni e conferme in merito a quanto e come sia lecito e “sano” avventurarsi “fuori di casa”.

Diversi autori di area psicologica, antropologica e sociale concordano nell'affermare che nell'ultimo cinquantennio la famiglia abbia sempre più rappresentato un ambito di “conferma affettiva” piuttosto che etica. Per questo è sempre più importante che la scuola assolva al proprio compito di trasmissione di valori sociali e di convivenza comunitaria. In famiglia si interiorizzano aspetti come l'amor proprio e il dialogo con il mondo interno; a scuola ci si confronta in merito a come ottenere conferma di questi presupposti sul piano dell'efficacia sociale, prestazionale ed intellettuale. Le due “palestre” sono strettamente confinanti, ma non devono essere confuse: durante l'adolescenza, serve sapere di avere un “porto sicuro” in famiglia, per poter sperimentare la propria efficacia fuori dalle rassicuranti mura domestiche. E' bene che questi due mondi in cui vivono i ragazzi (in compagnia degli adulti) tendano a confermarsi a vicenda, evitando però di concorrere ad assolvere le medesime funzioni.

Oggi si sente tanto rivendicare, da parte dei genitori, il bisogno di rapportarsi ad una scuola più “affettiva”, pronta ad accogliere e legittimare le fragilità dei figli. D'altro canto, i docenti invocano maggiore “senso di responsabilità” nella gestione dei compiti genitoriali, affinché gli studenti e le studentesse siano più capaci di sopportare le costituzionali difficoltà di adattamento richieste dalla scuola. Io penso che queste tendenze siano l'indizio di un'eccessiva polarizzazione delle controparti, come se l'una chiedesse insistentemente all'altra di “assomigliarsi”... Proprio come accade nei matrimoni in crisi! E' necessario, a mio avviso, ripartire dalla legittimazione delle rispettive differenze tra scuola e famiglia, per approdare al riconoscimento delle affinità e degli obiettivi formativi che esse hanno in comune.ansia adolescenziale dott scheriani5

La pandemia ha rappresentato un periodo molto drammatico per tutti noi e soprattutto per i ragazzi, i quali hanno visto negarsi più di un anno della loro vita. Secondo lei Quanto sono aumentati i casi di disturbo d’ansia nell’ultimo periodo e perché?

Gli studi clinici più recenti in quest'ambito ci dicono che la richiesta di trattamento psicologico dei giovani ha conosciuto due distinte fasi: da marzo a giugno 2020 vi è stata un'impennata dei cosiddetti “disturbi esternalizzanti”, cioè di condotte maggiormente riconducibili a manifestazioni plateali di agitazione o rabbia, come ad esempio Disturbi del Comportamento, di Iperattività e Regolazione degli Impulsi e di Oppositività. A partire da dicembre 2020 a oggi, invece, abbiamo osservato l'aumento di sintomi più afferenti ad una dimensione fisiologica o addirittura esistenziale, tra cui Fobie, Ansia, Disturbi del Sonno e tendenze depressive. Ritengo che il prolungarsi degli effetti della pandemia abbia iniziato ad intaccare la fiducia nel futuro dei giovani, compromettendo la loro naturale inclinazione alla progettualità e all'autorealizzazione.

Non voglio però essere del tutto pessimista: sarei infatti tentato di associare questo fenomeno sociale alle dinamiche tipiche dell'elaborazione del lutto. Come sa chi ha dovuto rapportarsi a questa tipologia di evento nel corso della vita (per ragioni professionali e/o personali), è naturale, all'inizio, sperimentare rabbia, incredulità e frustrazione, prima di accedere ad uno stato più rassegnato e triste, a causa della perdita. I nostri ragazzi hanno perso tempo, relazioni, occasioni e libertà, nel corso di questa pandemia: credo che sia necessario riconoscerglielo! Ora però dobbiamo aiutarli a reintegrare questa perdita, esattamente come avviene nel processo di elaborazione di un lutto. Bisogna consentire loro di contattare le emozioni provate e di capire come farne tesoro per poter “andare avanti”, per poter recuperare un senso di Sé che ha ancora capacità di pensarsi e sentirsi sicuro ed efficace.ansia adolescenziale dott scheriani6

Cosa le piacerebbe consigliare ad un ragazzo che soffre di questo disturbo e non trova la forza per reagire?

Come ho già detto, penso che la prima cosa da fare con chi sente di aver perduto qualcosa di importante sia quella di riconoscere che effettivamente sia legittimo avere questa sensazione, soprattutto in quei casi in cui, purtroppo, vi siano state delle effettive perdite nell'ambito degli affetti. Mi riferisco ovviamente a persone care, ma tanti hanno anche perso anni di scuola, amicizie, ruoli, attività fondamentali per il benessere. Non sono meno importanti, durante l'adolescenza. E' poi necessario ricordare a costoro che, seppur hanno perso qualcosa di fondamentale, non sono “persi” essi stessi. E' questa la convinzione che può generare più ansia e tristezza: proprio su questo piano credo sia fondamentale agire per evitare di cadere nel gioco di conferme di una visione “disperata” di se e del mondo. Detto in altri termini, partirei proprio da qui: “Sì, è vero, hai perduto tanto. Ma non sei perduto”.ansia adolescenziale dott scheriani7

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