Santuario di Santa Maria alla Fontana
All’angolo tra le vie Boltraffio e Thaon di Revel, nel cuore del vecchio quartiere dell’Isola, sorge una chiesa storica, il Santuario di Santa Maria alla Fontana.
Innanzitutto viene da chiedersi il perché del nome “alla Fontana”. In origine qui sorgeva una fonte sotterranea, inferiore alle attuali fondamenta del Santuario, la cui acqua era considerata, secondo gli storici medievali, taumaturgica e consigliata per curare disturbi delle ossa e delle articolazioni, come artrosi e artriti.
Fu proprio a questa fonte che si rivolse, all'inizio del ‘500, il governatore francese di Milano, Charles d’Amboise, il quale riuscì a guarire grazie all'acqua taumaturgica.
Per ringraziare Dio dell’avvenuta guarigione, il politico transalpino fece erigere un oratorio: correva l’anno 1507 e questi volle che qui potessero essere condotti tutti “li richi che forse de ogni negritudine vorano essere curati”. Da un’idea di oratorio si decise di passare a uno schema monumentale basilicale, un misto tra una croce greca e latina. Il nome dell’architetto fu a lungo dibattuto, tanto che si parlò di Leonardo da Vinci, di Donato Bramante e di Cristoforo Solari a causa di influenze classiche in certi elementi decorativi che ricordano i monumenti romani, ma fu nel 1982 che l’archivista Grazioso Sironi trovò il nome del progettista in un atto del 17 marzo 1508: in questo contratto si fa il nome del pavese Giovanni Antonio Amadeo, che ne è descritto come progettista ed esecutore dell’opera (G. Sironi, Nuovi documenti su S. Maria alla Fontana, in Raccolta Vinciana, 1982, pp. 94 – 102).
La chiesa, opera dello stesso architetto della Cappella Colleoni di Bergamo e della Certosa di Pavia, rimase con un aspetto tra il rustico e l’incompiuto per secoli, finché negli anni ’50 Paolo Mezzanotte non realizzò l’odierna facciata in ibride forme neorinascimentali. Qualche anno dopo, nel 1956, Ferdinando Reggiori realizzò un restauro radicale del complesso, in grave stato di decadenza, restituendo al Santuario l’assetto originario, che ancora oggi possiamo osservare.
La facciata del Mezzanotte presenta un corpo centrale molto elaborato, che fa da contralto alle ali laterali semplici e spoglie. Al centro si apre un monumentale portale con arco e architrave, nella cui lunetta si trova un bassorilievo di tema mariano. Sopra un cornicione aggettante si aprono tre bifore cieche, di chiara imitazione bramantesca, concluse in alto da archi a tutto sesto con oculo, anch’esso cieco. Lo schema delle bifore è ripetuto nell’ordine terminale, con tre trifore cieche, anch’esse di ricordo rinascimentale.
La pianta del Santuario è ciò che colpisce di più: si tratta di un corpo a base quadrata, quindi una via di mezzo tra la croce greca, che in quegli anni era al centro del dibattito architettonico (si pensi ai trattati di Cesare Cesariano o delle dispute sulla nuova basilica di S. Pietro in Vaticano), e la croce latina della tradizione romanica lombarda e padana. Su tre dei quattro lati si aprono interessanti partiti architettonici, con archi su pilastri, arricchiti da oculi e formelle tonde in cotto, secondo la tradizione costruttiva meneghina dell’epoca, ma, qui più che mai, vicini ai modi di Bramante più che di Leonardo.
Gli stessi partiti si ripetono, ai lati, nei tre portichetti ad arcate su colonne, che formano due piccoli cortili in corrispondenza dei lati nord e sud del quadrato, mentre sulla parete di fondo, a ovest, l’ala porticata ha un valore ornamentale. Questi portici sono caratterizzati da muriccioli di contenimento in cotto e da volte ad arco ribassato, e anche tali elementi hanno indotto a ipotizzare, per l’architetto, un nome intermedio tra Bramante e Leonardo.
Gli elementi decorativi più significativi si trovano sotto i portici, con affreschi di anonimo del ‘600 e all'interno, con dipinti della scuola di Bernardino Luini e, nelle vele della volta, di un lombardo di metà XVI secolo.
Due curiosità, in conclusione: l’acqua taumaturgica della fonte miracolosa venne pesantemente inquinata nell’800 in seguito all’incendio di un’attigua fabbrica di bitume, e poi chiusa. L’antica fontana fu ripristinata dal Reggiori all’interno della chiesa, ma dagli undici ugelli presso il santuario, oggi, sgorga normale acqua di rubinetto proveniente dall’acquedotto del Comune. La seconda curiosità riguarda il fatto che già Cesariano, nel ‘500, indicava S. Maria alla Fontana come una delle tre strutture sanitarie principali di Milano, insieme a Ca’ Granda e al Lazzaretto.
Stefano Malvicini
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