I tesori della Basilica di Sant'Ambrogio. Un viaggio nel passato
Varcato lo spazio solenne della veneranda Basilica di Sant'Ambrogio ci accingiamo a intraprendere un percorso non solo fisico ma anche virtuale, attraverso i magnifici tesori custoditi al suo interno: uno spazio simbolico dove storia, arte e leggenda si fondono in un tutt’uno.
L’attenzione va subito focalizzata sulla colonna isolata a sinistra, sulla cui cima svetta una serpe di bronzo. La tradizione vuole che si trattasse del cosiddetto Serpente biblico, simbolo del peccato, innalzato da Mosè nel deserto affinché gli ebrei, osservandolo, potessero riconoscere ed espiare le loro colpe attraverso una miracolosa guarigione.
La scultura, di certa origine orientale, in realtà fu prelevata nel 1007 dalla spina dell’ippodromo di Costantinopoli per volere dell’imperatore bizantino Basilio e inviata in omaggio alla potente basilica milanese. Per numerosi secoli il cimelio fu oggetto di una continua venerazione paganeggiante, accresciuta dalla credenza che il rettile, antico simbolo di conoscenza e guarigione prima ancora che di peccato, potesse esorcizzare i malanni e perfino preannunciare la venuta dell’Apocalisse, nel giorno in cui fosse sgusciato giù dal suo piedistallo.
Sempre tenendoci sulla sinistra, sotto la terza campata ammiriamo un altro capolavoro: il sarcofago paleocristiano detto “di Stilicone”, rara testimonianza superstite della basilica voluta dal santo titolare in età paleocristiana (384 d.C).
La consuetudine dei sarcofagi romani scolpiti, adibiti alla custodia dei corpi di persone abbienti, in questo caso si cristianizza: i rilievi del sarcofago, attribuiti a officine locali, rappresentano scene pressoché inedite della vita di Cristo, forse dettate da sant'Ambrogio in persona: passando da una delle prime Natività conosciute, con il bue, l’asinello e il Bambino in fasce fino a un Cristo imberbe, ancora molto simile a una divinità classica, che invia i propri apostoli a convertire le folle.
Anche in questo caso la storia si fonde con il mito; il trascorrere dei secoli ha fatto sì che la tomba fosse intitolata al grande condottiero di origine barbarica che difese l’Impero romano dai Vandali proprio negli ultimi anni in cui Milano fu capitale d’Occidente (284-402 d.C). Dopo lo spostamento della sede a Ravenna, un complotto ordito dalla corte romana e sostenuto dallo stesso imperatore Onorio si concluse nella sconsiderata uccisione del carismatico Stilicone (408 d.C). L’annullamento delle difese sulla frontiera portò alla conseguente e incontrollata calata dei barbari in Italia e al famoso sacco di Roma dell’anno 410, perpetrato dal visigoto Alarico.
Il sarcofago è sovrastato, quasi inglobato, da un notevole ambone medievale, poggiante su colonnine di forme e dimensioni differenti. I pannelli, gli archetti, le cornici e gli spigoli sono densamente scolpiti a rilievo con motivi arborei, geometrici, umani e zoomorfi, certamente eseguiti tra i secoli XI e XII.
Si passa in questo modo, quasi senza soluzione di continuità, dall’arte romana a quella medievale; la cosiddetta scultura romanica, contraddistinta da una fitta vegetazione stilizzata, imponeva la rappresentazione di creature mostruose sull'esempio degli antichi bestiari medievali: raccolte scritte di animali fantastici, reinterpretazioni della natura e delle sue strane creature, a fine moraleggiante. Tra le spirali di foreste oscure è un continuo rincorrersi di forme in trasformazione, dove talvolta risulta complesso perfino riconoscere la bestia dall'uomo. Lupi gettati all'inseguimento delle prede ammoniscono i fedeli a non perdersi nella fitta trama dei peccati; la sirena dalla coda bifida sottolinea una volta per tutte la doppiezza insita nella specie umana.
Sulla facciata dell’ambone campeggiano due immagini: un’aquila e un personaggio assiso in trono, sbalzate nel rame dorato (secc. VIII-IX). Dietro le presunte immagini allegoriche dei due evangelisti Matteo e soprattutto “dell’aquila-Giovanni” (l’aquila è ancora il fiero simbolo araldico del ricostituito Sacro Romano Impero Germanico), si andava energicamente affermando la presenza di quei vescovi e imperatori di origine tedesca che dopo l’anno 800 elessero Milano capitale del Regno d’Italia, nonché sede illuminata di una fioritura culturale inaugurata da Carlo Magno, definita dagli studiosi col nome di “rinascenza carolingia”.
Espressione più straordinaria di quest’epoca è l’altare d’oro della basilica, forgiato da maestro Vuolvinius su richiesta del vescovo franco Angilberto II (850 d.C): ideale tomba del patrono, le cui spoglie sono custodite nella cripta sottostante insieme a quelle dei Santi Gervasio e Protaso.
L’altare è forse il maggior capolavoro di oreficeria alto-medievale d’Europa: una cassa rettangolare i cui pannelli, rivestiti di lamine d’oro e argento sbalzato e incorniciate da smalti e pietre preziose, narrano sulla fronte scene evangeliche e nel retro episodi della vita di Ambrogio: il patrono che, ricordiamolo, mise in difficoltà perfino l’imperatore Teodosio, negandone autorità e ponendo le basi per il futuro potere temporale della Chiesa.
Alle spalle dell’altare e del pregiato ciborio in stucco brilla il grande mosaico absidale (secc. IV-VIII), che a lato di un Redentore Benedicente vede di scena ancora Ambrogio e la sua miracolosa “bilocazione”, che per concessione divina avrebbe permesso al Santo di celebrare messa a Milano e presenziare allo stesso tempo ai funerali del celebre San Martino di Tours, suo contemporaneo, in Francia.
Le preziose tessere musive, insieme a quelle antichissime del vicino sacello di San Vittore in Ciel d’Oro (V secolo) e al piccolo museo ci ricordano ancora una volta il ruolo che la Milano ha rivestito nei secoli, a iniziare proprio dal venerato “Sant Ambroeus”: come ci hanno tramandato i nostri vecchi da generazioni, “quèll gran dutùr che l’ha scascià l’imperadùr".
Marco Corrias
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