Peste a Milano: gli Untori e le loro ricette
Nella Milano manzoniana in occasione della Peste a Milano nel 1630 si usò questo termine per apostrofare coloro che erano sospettati di diffondere il contagio; ma procediamo con ordine.
Il sostantivo maschile untore prende origine da unto, dal latino unctus, ossia ungere, da cui untore cioè "colui che unge". In proposito, lo si apprende dai "Promessi Sposi", vi è il termine " va, va, povero untorello", che il popolino a poi addebitato a quelle persone che si atteggiano a gradassi, anche se poi in sostanza sono incapaci di fare del male ad alcuno.
È doverosa una precisazione, bisogna distinguere i Monatti che erano coloro che erano addetti al trasporto e seppellimento dei cadaveri degli appestati, alla sorveglianza degli infetti, e a pulire e bruciare gli oggetti infetti o sospetti di contagio.
Un lavoro penoso e rischioso, tanto che molti di loro erano "arruolati" perché avevano superato la malattie. Il Manzoni precisa che il loro arrivo era preannunciato dagli "Apparitori" che, con un campanellino legato alla caviglia, avvertivano alla gente di spostarsi.
Chi erano gli untori
Gli untori erano individui che secondo una falsa e diffusa credenza, andavano a spargere l'epidemia con intenzioni criminali. Si credeva che imbrattassero i muri, le porte, le strade con unguenti venefici e polveri malefiche. A tal proposito vediamo cosa scriveva il medico della peste Alessandro Tadino. Il Tadino nasce a Milano intorno al 1580, e fu medico, nominato, nel 1628, Conservatore del Tribunale di Sanità. Con l'arrivo della peste a Milano fu incaricato della sanità pubblica.
Scriveva così: gli untori si servono degli escrementi putrilaginosi delli buboni, carboni, et antraci pestilenti misti con altri ingredienti, li quali per hora non conviene riporgli in carta...
Anche il Mora sotto tortura dichiarava: si pigliavano tre cose, ovvero un terzo della materia che esce dalla bocca dei morti, un terzo dello sterco umano e un altro terzo dal fondo del ranno, detto smoglio. Indi si mischia il tutto per bene. Per ranno s'intende l'acqua passata per la cenere e bollita con essa per purgare panni e tele. Insieme al Mora vi era anche un altro implicato il quale a suo volta dichiarava: sono andato a cercare delle bisce, dei ramarri e dei rospi e altre bestiole come i ratti, e obbligati a divorare la morta creatura, quindi in un vaso chiamato "olla" si mettono gli unguenti e si depone sotto terra. Questi unguenti li danno poi a coloro che ungono le porte. È evidente che di scientifico non vi è nulla di serio, salvo i ratti che potevano trasportare trasmettere la malattia.
Eccovi ora una ricetta fatta dagli untori per proteggersi dal contagio. Questa ricetta fu dettata, dopo tortura, a un presunto untore che poi fu impiccato, tanto che la ricetta divenne famosa come "l'unguento dell'impiccato".
Una Ricetta degli untori:
Piglia i seguenti ingredienti: Cera nuova, tre once – Olio d'oliva, due once – Olio di Hellera, edera terrestre, una 1/2 oncia – Olio di sasso, una 1/2 oncia. Per Olio di sasso si intendeva un olio miracoloso, il sax oleum sassolese. - Foglie di Aneto, una 1/2 oncia – Orbaghe di Lauro peste, una 1/2 oncia – Saluia, una 1/2 oncia – Rosmarino, una 1/2 oncia – Un poco di aceto.
Ora falli bollire sino a ridurre il tutto a un unguento, poi con questo, dopo aver mangiato aglio e cipolle e bevuto aceto, ungersi le narici, le tempie, i polsi e le piante dei piedi.
Oggi queste cose ci paiono delle stranezze davvero strambe, eppure hanno fatto parte della storia della nostra Milano.
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