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Cinque chiese milanesi assolutamente da visitare

Milano è la città della Moda, la capitale dell’economia italiana, ma anche una metropoli d’Arte, con il suo tessuto di gallerie e musei. E anche una città ricca di chiese storiche da visitare. I flussi turistici si orientano, in genere, su percorsi mainstream, visitando il Duomo, Santa Maria delle Grazie di Milano, Sant'Ambrogio, le due basiliche di Porta Ticinese (San Lorenzo e Sant'Eustorgio) e le due di Brera, San Marco e San Simpliciano.

Chiese di Milano: le 5 più belle da visitare

Ci sono, però, altre chiese milanesi che meritano una visita e che contengono storie da raccontare, al di fuori dei percorsi turistici principali: sarà mio piacere portarvi (virtualmente) in giro tra cinque di queste!

Chiesa di San Vincenzo in Prato

Partiamo da San Vincenzo in Prato. Ci troviamo in quel reticolato di strade tra Piazza Sant’Agostino e Corso Genova: qui, in posizione abbastanza nascosta, si trova questa antichissima chiesa, sorta su un'area funeraria, detta Pratum, in cui vennero tumulati corpi sia in epoca romana che in quella paleocristiana.

La curiosità più significativa della chiesa è proprio la sua origine, anche in rapporto alla datazione, che si fa risalire al IX secolo, quando un primo nucleo di monaci benedettini vi si stabilì, impostando la struttura paleocristiana della chiesa. Questa è ancora oggi visibile nella pianta basilicale a tre navate e altrettante corrispondenti absidi, poi modificata duecento anni dopo con elementi romanici particolarmente evidenti nell’abside centrale, ad archetti pensili, molto simile a quella della basilica di San Nazaro Maggiore.

In virtù delle sue origini, San Vincenzo è, oggi, una delle più antiche chiese della città, che conserva un mix di elementi paleocristiani e romanici decisamente originale. Un’altra curiosità si nota entrando all’interno dell’edificio, e osservando le colonne che separano le navate e i rispettivi capitelli, per i quali si è usato, spesso, materiale romano proveniente dalla vicina area dell’Arena e del Circo. Particolarmente notevole è il quinto capitello a sinistra, che reca una croce di epoca costantiniana con foglie d’acanto e si fa risalire all’VIII secolo.

CHIESA DI SAN VIttore al Corpo

basilica sanvittore alcorpo

Oltre il Museo della Scienza e Tecnologia, si trova la basilica di San Vittore al Corpo. Anch’essa ha origini antichissime, forse dell’VIII secolo, se non anteriori, e il suo nome (“ad corpus”) si fa risalire al luogo di sepoltura dei santi Vittore e Satiro, le cui spoglie vennero poi traslate in Sant’Ambrogio, nel sacello a loro dedicato. Una prima ricostruzione si ebbe poco dopo il 1000, quando vi si stabilirono i Benedettini, ma una seconda, ancor più radicale, nell’arco di tutto il Cinquecento, quando furono gli Olivetani a insediarsi nel monastero: i lavori durarono un secolo intero, e, tra gli architetti chiamati a lavorare all’edificio, che vediamo ancora oggi, vi furono nomi come Vincenzo Seregni, Galeazzo Alessi e Martino Bassi.

Accedendo all'interno dalla facciata incompiuta che si affaccia sulla piazza, si nota subito la curiosità di questa chiesa, ovvero la sua volta a botte ricoperta a cassettoni, di chiara ispirazione romana, in cui sono incastonati riquadri dipinti da Ercole Procaccini. Tale struttura, dalla navata centrale, si estende anche alla cupola, al transetto e al presbiterio. Il modello a cui si rifece l’Alessi fu proprio quello della basilica vaticana, secondo i piani di Michelangelo e di Antonio da Sangallo il giovane.

L’interno della basilica di San Vittore si può definire una perfetta antologia delle Arti figurative a Milano a cavallo tra ‘500 e ‘600, tra affreschi e tele presenti sia nella navata maggiore che in quelle laterali. I nomi presenti nel cantiere di San Vittore al Corpo testimoniano questa fortuna: Giovanni Ambrogio Figino, i Procaccini, il Cerano, Daniele Crespi ed Enea Salmeggia, con una piccola propaggine settecentesca nella terza cappella sinistra, dove si trova una tela del toscano Pompeo Batoni, oltre a due ovali del tiepolesco veneto Mattia Bortoloni e del francese Pierre Subleyras.

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CHIESA DI SAN Maurizio Maggiore

Tornando verso il Duomo, su Corso Magenta, troviamo, sulla destra, San Maurizio Maggiore. Definita “la cappella Sistina milanese”, è la chiesa rinascimentale più famosa della città e la più ricca e organica per il ciclo affrescato al suo interno nell’arco del secolo XVI da Bernardino Luini, dai suoi figli e da alcuni seguaci, come Callisto Piazza. La chiesa ha, già di per sé, una caratteristica unica, ovvero una netta divisione, mediante un tramezzo affrescato, tra la navata, dedicata ai fedeli, e il coro destinato alle monache che, un tempo, vivevano nell’attiguo monastero maggiore.

A Milano non si trovano altri esempi simili e il tramezzo ha sicuramente un’ascendenza francese, vista la somiglianza con i jubé di varie chiese d’Oltralpe, specie in Savoia e in Borgogna e che non è certo casuale, vista l’epoca di costruzione della chiesa, quel Cinquecento che, come non mai, segnò la vicinanza di Milano alla Francia. Tra le molte scene affrescate nell’interno, una desta l’attenzione per un’altra curiosità: nella terza cappella destra, il Luini raffigurò la Decapitazione di Santa Caterina d’Alessandria. Il volto della santa, però, dalle fattezze, potrebbe essere un ritratto di un personaggio molto controverso della Milano del Cinquecento: si tratterebbe di Bianca Maria Scapardone, ricca donna originaria di Casale Monferrato che, andata in sposa ancora adolescente a un rampollo di casa Visconti, poté entrare in contatto con la corte milanese. Rimasta vedova, si risposò con il conte Renato di Challant, ma questo matrimonio fallì, anche per la condotta dissoluta di Bianca, che ebbe vari amanti. La donna cercò di sbarazzarsi di uno di questi, Ardizzino Valperga, facendolo uccidere da un altro amante, Pietro Cadorna, ma questo, una volta arrestato, fece il nome di Bianca come mandante.

Per tale motivo la contessa di Challant venne decapitata nel 1526, a soli ventisei anni, sul Rivellino del Castello Sforzesco, e l’immagine di tale supplizio potrebbe aver ispirato il Luini nell’affresco di San Maurizio, come attesta anche una citazione di una novella di Matteo Bandello, che dice testualmente “E chi bramasse di veder il volto suo ritratto dal vivo, vada ne la chiesa del Monistero Maggiore, e là dentro la vedrà dipinta”.

CHIESA DI SANt'Alessandro in Zebedia

chiesa san alessandro milano

Alle spalle di Piazza Missori, troviamo Sant’Alessandro in Zebedia. Questa chiesa è il gioiello barocco della città, nonché una delle sedi più note di concerti di Musica sacra. La chiesa venne iniziata dal padre barnabita Lorenzo Binago nel 1601, anche se la costruzione si protrasse per circa un secolo, prima di essere terminata nella forma che vediamo oggi, con un passaggio di consegne dal Binago al più grande architetto del Seicento milanese, Francesco Maria Richini e poi a Giuseppe Quadrio, che eresse la grande cupola. L’interno, totalmente affrescato, è un vero e proprio compendio dell’Arte milanese tra il ‘600 e l’inizio del ‘700: vi lavorarono, oltre ai Procaccini e a Daniele Crespi, Filippo Abbiati e Federico Bianchi, che decorarono la cupola e il presbiterio, mentre il valtellinese Giacomo Pallavicino e il novarese Giorgio Bonola operarono nelle navate laterali e alcuni altri affreschi vennero realizzati dal piemontese Guglielmo Caccia, detto il Moncalvo e dai Fiammenghini.

La curiosità della chiesa sta nel suo pulpito, situato sulla sinistra dell’arco trionfale che immette al presbiterio: addossato a due pilastri, con relativi confessionali intagliati, e ornato di pietre dure, lascia un dubbio ai visitatori, in quanto, girandovi intorno, non si riesce a capire bene dove si trovi esattamente la porticina di ingresso per il predicatore. La porta c’è, ed è occultata, ma questo piccolo mistero merita la visita alla chiesa!

CHIESA DI SAN Francesco di Paola

Ultima tappa è San Francesco di Paola, situata su Via Manzoni, nel cuore del Quadrilatero della Moda. Si tratta del migliore esempio di Architettura sacra del Settecento a Milano e venne realizzata tra il 1728 e il ’35 da Marco Bianchi, architetto romano che si ispirò a Borromini e alle sue opere nell’Urbe. La chiesa venne intitolata al santo calabrese Francesco di Paola, fondatore dei Padri Minimi che, già da un secolo, si erano stabiliti dove, oggi, si trova l’edificio.

La facciata, lasciata incompiuta dal Bianchi, venne completata a fine Ottocento da Emilio Alemagna. La curiosità di questa chiesa è la sua forma che, vista dall’alto, ma anche alzando gli occhi al suo interno, richiama quella di un contrabbasso, a evocare una certa musicalità della struttura, analogamente a quanto avveniva a Venezia negli stessi anni con Santa Maria della Pietà, opera di Giorgio Massari. Le linee sinuose sono particolarmente evidenti nell’interno, ricco di strutture curvilinee, concave e convesse, in cui spiccano gli arredi rococò, il bellissimo organo e le opere pittoriche di artisti di scuola milanese e piemontese di fine ‘700, come Giudici, Cucchi e Guerrini. 

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