La storia della Befana
A essere sincero me lo aspettavo. Cosa? Che anche la Befana, dopo Santa Lucia e Babbo Natale si facesse viva per avere la sua parte di notorietà.
Questa volta il suo scritto mi è arrivato volando, ma non come a Harry Potter con un bel gufo, ma tramite un corvo che, transitando sopra il mio cortiletto, mi ha lasciato cadere una busta, e che una volta aperta ha subito lasciato capire l’antifona. Perciò non posso far altro che procedere e raccontarvi anche di lei.
Inizio con una precisazione sul nome befana, che deriva dal termine Epifania, parola di origine greca che significa manifestazione, apparire, e legato alla festività religiosa dei Magi che, seguendo l’apparizione della stella, portarono i doni a Gesù Bambino.
Da questo termine ecco nascere, dal volgare latino Befanìa, il nome dato a un fantoccio di cenci che i bambini mettevano sul davanzale della finestra il giorno dell’Epifanìa. Tuttavia diverse sono le leggende e le tradizioni che ne rivendicano l’appartenenza.
In alcune terre vige ancora l’uso di bruciare un fantoccio a mo’ di befana, come ben augurante, rito propiziatorio legato ai ritmi della natura. Questa figura femminile si vuole, salvo rarissime eccezioni, vecchia, curva, vestita molto miseramente, con un nero cappellaccio o fazzoletto sul capo dove capelli figurano bianchi in disordine e uno scialle sgualcito sulle ricurve spalle, porta con sé una scopa di saggina che gli serve come destriero sulla quale, cavalcioni, e con un sacco sulle spalle, se ne invola per raggiungere paesi e città.
La somiglianza iconografica con l’immagine della strega, come si può intuire, è molto forte. Il suo compito è di portare dei piccoli regali, soprattutto dolciumi, a tutti i bambini/e che fanno trovare, una volta si metteva sopra il caminetto, una calza che lei riempie, sempre con la clausola che prevede un po’ di carbone a tutti quelli che non sono stati proprio buoni – attenzione al buono, non al bravo -.
Oggi in commercio si trovano calze già confezionate e più o meno impreziosite, tuttavia una volta si ricorreva alle calze di lana realizzate dalle nonne, questo soprattutto nelle zone montane e di campagna. Moltissime sono le filastrocche che la raccontano, cito quella che ancora ricordo dai tempi dell’asilo, diceva così:
La Befana vien di notte
con le scarpe tutte rotte
coi rattoppi alla sottana
viva, viva la Befana.
Simpatica è anche la canzone di Nicola Palladino, dal titolo: La Befana, così come la poesia di Gianni Rodari dedicata ai bambini dal titolo “Alla Befana”. Molti sono gli aneddoti e le barzellette che si raccontano su questa caratteristica figura, in parte anche come sfottò verso le donne, simpatiche battute purché contenute nella decenza e nel rispetto e, visto che l’ho detto, ve ne regalo qualcuna.
- Ciao, potresti inviarmi una tua foto? I miei amici non credono che io conosca di persona la befana. (di anonimo).
- Cara, tra le carte ho trovato questo documento con la tua foto. L’intestazione dice: A.B.I. Associazione Befane Italiane. Ne sai niente!
- Oh bella, io pensavo che la festa delle donne fosse solo l’otto marzo, invece scopro che è anche il 6 gennaio! Non si è mai finito d’imparare!
Prima di terminare vi lascio questo termine meneghino, che la apostrofa così: “mòffa strangòssera”, che tradotto vuol dire “vecchia deforme, Befana”, da cui si evince che purtroppo la protagonista non è una bella e giovane signora ma proprio una d’età vetusta.
Comunque sia, buona befana a tutti i bambini.
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